Fuga da giurisprudenza: la massificazione del diritto volge al termine
Il rapporto dell’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca) del 2018 non lascia alcun margine di dubbio: le facoltà universitarie del ramo giuridico sono quelle che hanno vissuto la maggiore contrazione di immatricolati negli ultimi anni, con un dato percentuale assolutamente unico e in controtendenza rispetto a quasi ogni area di istruzione superiore
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Dal 2011 al 2018 gli immatricolati nelle facoltà giuridiche italiane sono scesi dall’11,1 % al 7,2% del totale degli iscritti: un esodo che non accenna a fermarsi e che ha ragioni evidenti, che affondano nella massificazione dello studio del diritto. In particolare, se si analizzano i dati che vanno dal 2006 al 2018, il calo degli immatricolati tocca il 38%, essendo passato da 29.000 a 18.000 unità. A questo calo imponente degli iscritti corrisponde la difficoltà occupazionale che investe chi riesce a conseguire una laurea in materie giuridiche: a un anno dal conseguimento del titolo di studio, solo poco più un quarto dei laureati nel settore risulta occupato. Giurisprudenza ottiene il 26,5% per i propri laureati, contro una media nazionale del 53%. In pratica, conseguire una laurea in legge consente di impiegarsi, almeno nei primi tempi, con una probabilità dimezzata rispetto a quella offerta da qualsiasi altra laurea conseguita. La fotografia di questa situazione è facilmente analizzabile: in Italia il diritto ha vissuto una devastante banalizzazione, che lo ha portato ad essere una materia svilita, ritenuta un ripiego rispetto ad altre, di maggiore difficoltà e percepite con un’aura di maggior rigore. Il risultato di questo svilimento è stata una corsa alle lauree del settore giuridico, che ne ha drammaticamente minato il valore e la qualità degli insegnamenti. Gli sbocchi occupazionali offerti dalla pubblica amministrazione hanno fatto da volano al boom dei laureati in giurisprudenza, ma quando è venuto a mancare questo naturale sbocco occupazionale, per moltissimi laureati si sono chiuse delle prospettive occupazionali concrete. Il notariato e la magistratura hanno potuto mantenere un certo appeal, anche e soprattutto per via delle possibilità reddituali di chi riesce ad inserirsi in questi settori occupazionali, ma l’avvocatura, che ha visto sestuplicarsi il numero dei suoi appartenenti, dagli anni 80 ad oggi, ha subito un vero e proprio crollo dei redditi dei suoi esponenti, concorrendo a far decidere gli aspiranti dottori in legge a ricercare diversi percorsi di studio. Ovviamente la formazione dei laureati in giurisprudenza italiani non ha saputo adeguarsi alle necessità del mercato del lavoro contemporaneo. I corsi di studi giuridici guardano al passato, accumulano un’idea nozionistica e mnemonica del diritto, non curano le skills legate alla logica ed alla visione multidisciplinare del fenomeno giuridico. Mancano le basi linguistiche e tecnologiche, ma anche le conoscenze legate al business aziendale, all’economia, alla filosofia del diritto contemporaneo. Il giurista del futuro dovrà affrontare un diritto completamente diverso da quello che viene raccontato ed insegnato nelle università italiane e questa evoluzione dovrà necessariamente porsi il problema della massificazione e banalizzazione della fenomenologia giuridica. Una drastica riduzione del numero di figure occupate nel settore giuridico è praticamente inevitabile ed impone che il concetto di riconversione e ridimensionamento diventino i cardini della programmazione futura per quanto attiene alla formazione dei giovani giuristi italiani.
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