Un’occasione persa per tacere
Mentre tutti applaudono alle parole di Beatrice Venezi, che ha scelto di dare un calcio al politically correct definendosi direttore d'orchestra, la voce fuori dal coro è quella di Laura Boldrini.
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L’esponente del Pd, intervistata dall’Adnkronos, è tornata sulla questione di genere criticando la scelta della Venezi, pur ammettendo di non aver neanche visto la diretta di Sanremo.
“Non ho seguito in diretta, ma dico in primis bravo Amadeus a rispettare il genere femminile – ha commentato la Boldrini all’Adnkronos – Più che una scelta individuale della direttrice d’orchestra Venezi, è la scelta grammaticale a prevalere e quella italiana ci dice che esiste un genere femminile e un genere maschile. A seconda di chi riveste il ruolo si fa la declinazione. Chi rifiuta questo lo fa per motivi culturali”. Il commento dell’ex presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini arriva il giorno dopo le parole di Beatrice Venezi, che nella quarta puntata del Festival – dopo essere stata chiamata direttrice – ha puntualizzato sul suo mestiere: “La posizione ha un nome preciso e nel mio caso è quello di direttore d’orchestra, non di direttrice. E così voglio essere chiamata, me ne assumo la responsabilità”.
Parole che Laura Boldrini ha voluto subito commentare in tono critico, forte della battaglia personale che sta conducendo, insieme ad altre cento donne, contro la Treccani sul termine “donna”. E così ecco arrivare la lezione di linguistica: “La declinazione femminile la si accetta in certe mansioni come ‘contadina’, ‘operaia’ o ‘commessa’ e non la si accetta quando sale la scala sociale, pensando che il maschile sia più autorevole. Invece il femminile è bellissimo”.
La Boldrini non si è risparmiata, alla fine, la critica diretta alla 31enne: “Direi che è un problema serio che dimostra poca autostima. Inviterei la direttrice Venezi a leggere cosa dice l’Accademia della Crusca, la più alta autorità linguistica del nostro paese. Se il femminile viene nascosto, si nascondono tanti sacrifici e sforzi fatti. Un atteggiamento che non rende merito al percorso che tante donne hanno fatto per raggiungere queste posizioni. Mi permetto di invitarla a riflette su queste cose. Anche perché non è affatto brutto o cacofonico ‘direttrice’, ma rappresenta l’affermazione di un traguardo. Spero si renda coto che usare il femminile possa aiutare tante ragazze ad avvicinarsi a questo lavoro che per secoli è stato solo di uomini”.
Sulla polemica di Sanremo è intervenuta la Crusca
“Ognuno ha il diritto di essere chiamato come vuole nell’ambito della pluralità degli usi esistenti nella lingua italiana: scegliendo la definizione ‘direttore’ Beatrice Venezi – ha dichiarato all’Adnkronos il professore Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca. – ha adoperato un maschile cosiddetti inclusivo o non marcato. Una soluzione tradizionale, ben nota alla lingua italiana e che viene considerata tuttavia come una bestia nera da taluni, perché a loro giudizio non riconosce o occulta gli avanzamenti del dibattito di genere. Sul piano propriamente lessicale – ricorda Marazzini – Beatrice Venezi aveva tre possibilità per definirsi: “una più tradizionale (direttore) che però taluni accusano di essere ideologicamente arretrata; una declinata al femminile (direttrice) ed una più innovativa (direttora). Ognuno ha quindi il diritto di fare la propria scelta, ma non può pretendere di imporla agli altri in maniera assoluta, nè può pretendere che lo faccia qualche istituzione”. Secca la battuta della Venezi: “«Le lotte sono altre. I nomi al femminile non risolvono nulla». La Boldrini è servita
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