I senatori Pd a Cartabia: «Basta con le intercettazioni agli avvocati»
Monica Cirinnà, Anna Rossomando e Franco Mirabelli hanno presentato un’interrogazione alla ministra della Giustizia per chiedere che vengano interrotte le intercettazioni dei dialoghi tra legali e clienti
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Stop alle intercettazioni dei dialoghi tra avvocati e assistiti: lo hanno chiesto i senatori del Partito Democratico Monica Cirinnà, Anna Rossomando e Franco Mirabelli attraverso una interrogazione a risposta orale al Ministro della Giustizia, Marta Cartabia.
Lo spunto, come si legge nel documento di sindacato ispettivo, è arrivato da una comunicato della Camera penale di Roma dello scorso 24 febbraio, nel quale i penalisti hanno fortemente stigmatizzato il «modus operandi che dimostra ancora una volta come le Procure abbiano in spregio la norma dell’art. 103 c.p.p.», il cui comma 5 prevede che «non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite».
La nuova riforma delle intercettazioni ha fatto qualche passo avanti quando ha previsto il divieto di trascrizione, anche in forma riassuntiva, delle comunicazioni con il difensore casualmente captate. Eppure la non distruzione automatica delle stesse – in linea teorica – non impedirebbe al pubblico ministero di ascoltare e venire a conoscenza della linea difensiva. Pertanto, scrivono i tre nell’interrogazione, «al di fuori del caso in cui l’avvocato sia soggetto a intercettazioni nella qualità di indagato per reati in relazione ai quali l’uso di tale strumento di indagine sia consentito, è dunque necessario assicurare l’inviolabilità delle comunicazioni tra avvocato e cliente». I senatori Cirinnà, Rossomando e Mirabelli hanno chiesto quindi al Guardasigilli «se non ritenga opportuno intraprendere iniziative per accertare che sia sempre garantita la riservatezza delle conversazioni tra difensore e indagato e dunque la piena tutela del diritto inviolabile di difesa, costituzionalmente garantito in ogni fase del procedimento penale». Proprio alla senatrice Cirinnà chiediamo se come partito non intendano intraprendere una iniziativa politica per migliorare ulteriormente la riforma: «l’interrogazione – ci spiega il Segretario della Commissione Giustizia – serve per capire cosa pensi e intenda fare in merito la nostra nuova Ministra della Giustizia. L’azione politica potrebbe essere della stessa Ministra, magari interessando anche le commissioni competenti. Noi al momento ci troviamo in una maggioranza molto larga e molto scomoda. Ma, come Partito Democratico, dobbiamo fortemente connotare la nostra azione ad un ritorno pieno del garantismo. E questo percorso passa attraverso segnali concreti: questo è un segnale concreto sull’inviolabilità del diritto di difesa». Però la convivenza con i Cinque Stelle potrebbe convertire questo obiettivo in velleità: «la convivenza con i Cinque Stelle – prosegue Cirinnà – l’avevamo già con il Governo Conte. Noi dobbiamo essere in grado di far proseguire al Movimento Cinque Stelle questa trasformazione volta ad abbracciare pienamente tutti i canoni della democrazia previsti dalla nostra Costituzione, tra cui il diritto di difesa. Loro devono in qualche modo abbandonare la visione giustizialista e devono aiutare tutti noi a frenare, a contenere e a regolare in qualche modo questa onnipotenza che troppe Procure hanno in questo periodo e non solo. Su questo si può ricostruire un accordo di maggioranza, almeno della vecchia maggioranza. Io ho in testa di fare questo, spero che in tanti mi seguano». Il casus belli, come vi avevamo raccontato, all’origine del comunicato della Camera Penale di Roma ha riguardato l’avvocato Piergiorgio Manca, 75 anni, uno dei più noti penalisti del foro romano, indagato dalla Procura di Roma con l’accusa di associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Il suo legale, l’avvocato Cinzia Gauttieri, proprio al Dubbio criticò il metodo degli inquirenti, «trattandosi di una imputazione strumentale all’utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali di un difensore che trovano giustificazione solo con la contestazione di reati contenuti in un preciso catalogo. Si tratta di una concezione distorta della figura del difensore perché lo identifica con il suo assistito e con il reato da questo commesso». Prima di questo caso, c’era stato quello dell’avvocato Roberta Boccadamo, difensore di Giovanni Castellucci, coinvolto nell’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi a Genova: in quel caso l’intercettazione fu addirittura trascritta, utilizzata dal gip, e giustificata dalla non veritiera circostanza per cui la Boccadamo fosse la compagna del suo assistito. Non dimentichiamo anche quanto accaduto all’avvocato Francesco Mazza, sempre del foro di Roma, che si era ritrovato citato in un’informativa di cui era entrato in possesso dopo la notifica della chiusura delle indagini preliminari a carico di tre suoi assistiti. Anni prima era stato l’avvocato Giosuè Naso a denunciare di essere stato intercettato e addirittura pedinato insieme ai suoi clienti nell’ambito dell’inchiesta (ex) Mafia Capitale, condotta dalla Procura di Roma.
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