La vittoria dell'ala governista ora indebolisce Conte
La mediazione è difficile, «restano le distanze» dicono i pontieri alla ricerca di un accordo tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo, eppure è già ricominciato lo scontro interno al M5s, come se tutto fosse sistemato, la scissione evitata.
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Scaramucce tra correnti. Da un lato Conte, dall’altro il vasto fronte dei «governisti». Da una parte l’avvocato che per tornare a Palazzo Chigi punta su una solida alleanza con il Pd, dall’altra il gruppo dirigente che vorrebbe mantenere il Movimento il più autonomo possibile. Mentre sulla Rai Mario Draghi annuncia di voler fare da solo su presidente e Ad, con i grillini che ancora non riescono a trovare un nome per il Cda, il nodo di giornata è stato sulla riforma della giustizia della Guardasigilli Marta Cartabia. Come ampiamente prevedibile, il partito si è spaccato. I «contiani», guidati dal capogruppo al Senato Ettore Licheri e dal ministro per le Politiche Agricole Stefano Patuanelli, hanno provato fino all’ultimo a marcare le distanze con il resto della maggioranza. «Ci dobbiamo astenere, questa mediazione è inaccettabile», tuonano per tutta la giornata dalle parti dell’avvocato di Volturara Appula. Licheri, nella riunione con i big di governo, chiede ai ministri di non votare il testo che manda in soffitta la «spazzacorrotti» dell’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Davide Crippa, presidente dei deputati, vicino a Grillo, dice che bisogna andare a vedere la proposta del duo Draghi-Cartabia. Vince la linea dei «governisti». Il M5s vota a favore in consiglio dei Ministri, convinto dall’allungamento dei tempi per la prescrizione in Appello a tre anni e a un anno e mezzo in Cassazione per alcuni reati contro la Pubblica Amministrazione, tra cui corruzione e concussione. «Qui nessuno ha intenzione di andare a casa prima del tempo, la maggioranza dei parlamentari non vuole mettere in difficoltà il governo», spiega la situazione un deputato grillino. Alessandro Di Battista arringa dalla Bolivia, bollando la riforma-Cartabia come «un maxi-regalo all’impunità. Ovvero ai ladri!». Delusi i contiani, che provano a rilanciare promettendo miglioramenti del testo in Parlamento. Di fatto, vince la linea governativa, tutt’altro che ostile a Draghi, incarnata anche dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Parte dei gruppi parlamentari continua a essere sospettosa nei confronti di Conte. «Tutti quelli che sono stati a Chigi hanno l’ossessione di tornarci», sottolinea con Il Giornale una fonte pentastellata di alto livello. Secondo quanto circola in ambienti del Movimento, anche Conte ha il pallino di tornare premier. Una strategia che passa, giocoforza, da un rapporto simbiotico con il Pd. Tanto che i beninformati suggeriscono che l’avvocato abbia già in tasca un accordo per correre da presidente del Consiglio con il segretario dem Enrico Letta e con lo stratega Goffredo Bettini, tra i massimi estimatori di Conte. Il percorso passa dai territori, oltre che dal controllo contiano del Movimento. Cruciale la Sicilia, dove si andrà al voto nel 2022. Nell’Isola l’ex premier punta su Giuseppe Provenzano, ministro giallorosso, ala sinistra del Pd. Un candidato che sarebbe gradito a Letta ma non ai tanti eletti siciliani del M5s. Che già sono in fibrillazione e accusano Conte di voler «svendere il Movimento» in cambio di Palazzo Chigi. Al centro delle accuse anche l’atteggiamento alle prossime amministrative. Con la resa di Milano e Torino, l’appoggio ufficiale al candidato di sinistra Matteo Lepore a Bologna e la corsa unitaria a Napoli, dove il civico Gaetano Manfredi è considerato emanazione del Pd. Resiste Virginia Raggi a Roma, nonostante Conte.
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