Liberi professionisti: tra connessione lenta e burocrazia, l’Italia è il terzo peggior paese al mondo
La graduatoria, stilata dalla società di servizi finanziari Tide, prende in considerazione otto indicatori. Solo Giappone e Cina fanno peggio di noi
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L’Italia è il terzo peggior Paese al mondo per i liberi professionisti. Tra burocrazia, struttura del mercato del lavoro, connessioni lente e care e altra difficoltà, solo Cina e Giappone fanno peggio di noi. La speciale classifica è stata redatta da Tide, una società britannica di servizi finanziari e ci vede, appunto, terzultimi con un punteggio di 4,54, laddove i primi tre Paesi registrano 7,35 (Singapore), 7,20 (Nuova Zelanda) e 6,53 (Spagna).
Sono otto i parametri analizzati:
Velocità media della banda larga al luglio 2021 (dati di Speedtest global index);
Costo medio mensile della banda larga al 2020 (usando il comparatore Cable.co.uk);
Domanda per posti di lavoro freelance ogni 100.000 (i dati sono stati estrapolati da un’analisi delle ricerche Google);
Diritti del lavoratore. In realtà un indicatore misto, che considera sia i tempi della burocrazia che il rispetto di alcuni diritti, basati su dati della Banca Mondiale;
Posizione in classifica nel Global gender gap basato sul rapporto 2020 del World Economic Forum;
Costo della vita (dati Numbeo);
Disponibilità di spazi di co-working ogni 100.000 (dati Coworker);
Posizione in classifica nell’indice mondiale della felicità di Countryeconomy.com.
L’Italia non brilla in nessuno di questi indicatori, ma a trascinarci in basso sono soprattutto la velocità media di connessione (97.34 Mbps), un abisso rispetto ai 257 di Singapore ma anche, per restare in Europa, ai 208 Mbps della Danimarca e i 199 della Francia e dell’Ungheria. E bassa è anche la posizione nella classifica della Banca Mondiale su protezione legale e burocrazia, dove otteniamo un 2 contro il 12 di Nuova Zelanda, l’11 di Usa e Australia, il 9 di Ungheria e Russia (dove però i problemi nel rispetto dei diritti dei cittadini sono ben più gravi che da noi).
Nel nostro Paese la connessione costa in media 32,7 dollari (28 euro), contro i 12 della Cina che oltretutto viaggia a doppia velocità, i 7,5 della Russia, i 13,3 della Lituania, i 16 della Polonia. Va comunque peggio ai liberi professionisti olandesi che ogni mese devono sborsare, in media, 52 dollari per una linea che però rimane molto più veloce della nostra (161 Mbps contro i nostri 97).
Tuttavia il mercato del lavoro non è poi così disattento a queste figure in Italia. E’ vero che i datori di lavoro cercano 548 freelance ogni 100.000 ricerche, poco rispetto alle 1.300 ricerche in Olanda, le oltre mille di Singapore ma anche in confronto alle 800 del Portogallo. Però andiamo comunque meglio di altri Paesi più in alto di noi nella classifica generale. Come la Russia (solo 204), Israele (457) e Thailandia (149). Spicca il misero 2 della Cina, che si dimostra un paese ancora chiuso al lavoro indipendente.
Nel nostro paese non è facile trovare lavoro, ma neanche individuare una sede dove lavorare insieme ad altri professionisti. Gli spazi di co-working in Italia sono una rarità: 0,52 ogni centomila. Neanche i Paesi in cima a questa graduatoria, per la verità, ottengono performance straordinarie, ma i 2,50 della Svizzera, i 2,31 del Portogallo e gli 1,7 dell’Irlanda – solo per citare Paesi Ue – costituiscono comunque un passo in avanti.
La classifica di Tide dimostra (ancora una volta) che molti sono i passi da fare per raggiungere l’uguaglianza di genere. Nel Gender gap index l’Italia ottiene lo 0,707, punteggio che ci tiene fuori dalla top 10 ma non di molto, visto che il Canada in decima posizione ha lo 0,772. La Scandinavia si conferma l’area più equa in questo senso, con Norvegia e Svezia ai primi due posti (rispettivamente 0,842 e 0,820) mentre va molto male il Giappone (0,652).
Non siamo ben piazzati neanche nella graduatoria del costo della vita, con 878 dollari a persona al mese: qui non ci può essere competizione con India (326), Brasile (459) e Messico (483), mentre il primo Paese Ue è l’Ungheria con 576.
Infine, l’indice di felicità: si mangerà anche bene, ma nel nostro Paese il livello è molto più basso che in tanti altri Paesi, soprattutto del nord Europa. Nell’happiness index infatti registriamo un 6.3, non disastroso ma comunque lontano dal 7,65 della Danimarca, poco di più della Svizzera, della Norvegia, dell’Olanda e della Svezia.
Da La Repubblica
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