Più posti a medicina fanno discutere gli addetti ai lavori.
A mancare sono le borse di specialità
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Notizia che piacerà ai 50-60 mila aspiranti medici attesi al test d’ingresso all’università il prossimo 3 settembre: aumentano di quasi 1600 unità gli studenti immatricolabili ai corsi a numero programmato di Medicina, da 9979 a 11568. E di 137 unità (da 1096 a 1133) i futuri odontoiatri. Lo annuncia il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti che ha firmato i decreti sui concorsi poi ratificati dalla conferenza stato regioni; per inciso, si tiene il 12 settembre il test per Medicina in lingua inglese e il 25 ottobre quello per le 22 professioni sanitarie, 28 mila posti in palio di cui 16 mila tra infermieri ed ostetrici e 12 mila tra tecnici ed altri professionisti di prevenzione, terapia, riabilitazione. La novità però non piace agli addetti ai lavori. Se pure il ministro Bussetti non si è nascosto che serve un contestuale incremento delle borse di specializzazione mediche («non ha alcuna utilità avere più laureati se poi non si specializzano e non possono esercitare») non convincono quei 1600 posti in più. «Sarà reso vano il meritorio tentativo di aumentare il numero delle borse preannunciato dal Ministro Grillo – protesta il presidente della Federazione degli Ordini Filippo Anelli -perché un altro Ministro, il professor Bussetti, sta aumentando il numero dei laureati. Nel Ssn mancano gli ortopedici, i neurochirurghi, i pediatri, i cardiologi, i generalisti, gli anestesisti, non i medici!». Anelli chiede al premier Giuseppe Conte di dirottare le risorse individuate per l’aumento dei posti a medicina al finanziamento di borse di specialità e in Medicina generale. Anche il segretario della Conferenza nazionale dei corsi di laurea delle professioni sanitarie Angelo Mastrillo concorda nel definire drammatica la situazione dei medici. Mastrillo non si lascia incantare dai dati che vogliono i medici al 94% al lavoro dopo un anno ma fa un’analisi a partire dal confronto con le analoghe percentuali Almalaurea sui sanitari delle 22 professioni. Questi ultimi testimoniano uno stop del trend positivo degli ultimi anni, una ripresa soprattutto in professioni precedentemente falcidiate come tecnici di radiologia ed ostetrici, e soprattutto un calo del 2% per infermieri ed ostetrici tra 2007 e 2017: in sette di questi dieci anni il servizio sanitario intanto perdeva unità lavorative senza rimpiazzarle. «I dati non sono positivi sia per gli infermieri sia per i medici. Per i 400 mila infermieri abbiamo una carenza strutturale di 60 mila unità denunciata da Fnopi, in Inghilterra sono 7 volte i medici operativi, in Italia specie al Sud il rapporto è 1 a 1, e il calo dell’occupazione a un anno registrato da Almalaurea non dovrebbe esserci. Tuttavia, se pure la situazione è lungi dall’essere buona, non appare emergenziale sotto il mero aspetto occupazionale – a due anni quasi il 100% degli infermieri trova lavoro – e per l’altissima qualità con cui l’infermiere italiano sopperisce ai vuoti in organico. Certo, finché si regge. Andrebbe pianificato nell’arco di più anni un numero di immatricolazioni ai corsi, maggiore rispetto a un turn over di 12 mila unità annue, 3% del totale degli infermieri. La mia opinione personale è che sia più drammatica la situazione dei medici: stiamo qui a parlare di carenza generalizzata quando ci sono 10-12 mila laureati sottopagati, rimasti fuori dal circuito delle specialità, che generano 8-10 mila concorrenti al test di specialità ai quali si aggiungono ogni anno 8 mila laureati e tra un anno si aggiungeranno almeno 6 mila laureati della tornata a suo tempo ammessa a Medicina dopo aver ricorso contro irregolarità del test d’ingresso. Avremo una pressione di 24 mila laureati su 8 mila posti disponibili nelle specialità. Peggiorerà la situazione dei medici nel “limbo” e intanto avremo iniziato a sentire i vuoti in specialità impegnative e basilari come la chirurgia». Per Mastrillo, «non ci sarebbe stato bisogno di inserire un 15-20% in più di aspiranti medici nei corsi di laurea. Tra l’altro la preparazione di un medico si valuta dopo 10 anni, mentre il tema delle carenze in certe discipline è emergenziale. Certo, per lo stato le borse di specialità hanno un costo ben più alto rispetto al sostegno degli studi di un iscritto a medicina…» Un cenno alle altre professioni sanitarie: nel giro di un anno fisioterapisti, logopedisti, terapisti neuroriabilitazione trovano posto; infermieri, ostetrici, educatori ci riescono in due anni; altri professionisti tendono ad essere sempre più a partita Iva, «vogliono essere liberi, questo li porta talora fuori dal circuito del Ssn, che pure avrebbe bisogno di loro. La “mina” in questo caso è più per il servizio pubblico che per la carriera del singolo. Le professioni che hanno subito negli ultimi anni contrazioni occupazionali sono in pur modestissima ripresa».
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