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EQUO COMPENSO SENTENZA GROTTESCA

Confprofessioni, ora intervenga la politica

EQUO COMPENSO SENTENZA GROTTESCA

 

La recente sentenza del Consiglio di Stato sull’equo compenso per le prestazioni professionali, in relazione ad un bando del ministero dell’Economia, è “grottesca, offensiva e lesiva della dignità di ogni lavoratore, intellettuale o meno.

Prevedere, infatti, che “laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo”, lascia intendere che nulla vieti che lo stesso compenso non sia previsto e che, quindi, il committente possa bellamente pretendere una prestazione professionale a titolo gratuito”.

Lo si legge nella nota di due sindacati, l’Adc (Associazione dottori commercialisti) e Ungdcec (Unione giovani dottori commercialisti), presieduti da Maria Pia Nucera e Matteo De Lise, secondo cui è “difficile trovare parole adatte a postulare commenti ad una sentenza che cade come una scure delegittimante sulle nostre competenze, sui nostri codici deontologici, sui nostri crediti formativi e anche sulle nostre persone. Ci riteniamo offesi, professionalmente e personalmente: Palazzo Spada – dichiarano i vertici delle associazioni professionali – ci sta dicendo che il nostro lavoro non ha valore, che la Pubblica amministrazione ha tutto il diritto di chiederci di lavorare gratuitamente, pretendendo, però, un’ineccepibile qualità della prestazione e un comportamento corretto e ossequiante”, si chiude la nota di Adc ed Ungdcec.

“Una sentenza che definisce un quadro paradossale: il professionista ha diritto a un compenso equo, ma soltanto a condizione che venga pagato”: a pensarla così il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, sulla sentenza del Consiglio di Stato legata a un bando del ministero dell’Economia del 2019.

“È sconcertante che la stessa sentenza riconosca il diritto del professionista a essere pagato secondo il principio di equità, ma allo stesso tempo che tale principio divenga esigibile soltanto nel caso in cui il compenso sia effettivamente previsto”, aggiunge.

Il pronunciamento, “a parità di condizioni contrattuali, sancisce di fatto l’illegittimità delle prestazioni sottopagate e la contestuale liceità di compensi pari a zero. Una contraddizione che se può trovare qualche appiglio nella legislazione vigente, mette la politica di fronte alla necessità di intervenire al fine di garantire anche ai professionisti il diritto a ricevere compensi proporzionati alla qualità della prestazione resa”, prosegue Stella. “Assume, quindi ,ancor più rilevanza – dice il presidente di Confprofessioni – il lavoro che il Senato sarà chiamato a svolgere sulla proposta di legge recentemente approvata dalla Camera, correggendo le criticità che avevamo già evidenziato nelle scorse settimane; a cominciare dalla norma che in caso di affidamento di incarichi sotto soglia vedrebbe sanzionato il professionista sottopagato invece del committente inadempiente”, si chiude la nota.

Inammissibile per ProfessionItaliane, l’associazione che racchiude al proprio interno le rappresentanze professionali che aderiscono a Cup e Rpt, la decisione del Consiglio di Stato che consente alla P.A. di emettere bandi senza stabilire sempre un compenso

Se i professionisti possono dare un contributo importante, in termini di competenze e affidabilità, alla Pubblica Amministrazione, è necessario attribuire loro il giusto compenso. Un principio trasversale, quest’ultimo, che dovrebbe applicarsi a tutti i rapporti intrattenuti con i professionisti. Ma non è così per il Consiglio di Stato, che con la sentenza n.07442/2021 pubblicata ieri, ha stabilito che la Pubblica Amministrazione può emettere bandi senza necessariamente prevedere una paga per il professionista. La decisione di Palazzo Spada pone fine, in realtà, alla vicenda inerente al bando del Mef del marzo 2019 per il conferimento di incarichi di consulenza altamente qualificata a titolo gratuito. Il Consiglio di Stato, sebbene annulli l’avviso pubblico per una mancanza di criteri di trasparenza nel processo di selezione dei professionisti, riconosce che lo stesso non violi la norma sull’equo compenso, perché non è stato pattuito un indennizzo al momento del conferimento dell’incarico. «Una decisione di questo tipo è inammissibile per i professionisti» hanno sottolineato Armando Zambrano e Marina Calderone, rispettivamente presidente e vicepresidente di ProfessionItaliane, l’Associazione che racchiude al proprio interno le rappresentanze professionali del Comitato Unitario delle Professioni e della Rete delle Professioni Tecniche. «Viene calpestata ancora una volta la dignità dei professionisti che, invece, la Costituzione ha inteso proteggere con l’articolo 36. Consentendo l’applicazione dell’equo compenso solo in alcuni casi, si sceglie di mettere ancora una volta in difficoltà i lavoratori autonomi e di creare una netta distinzione fra professionisti tutelati e altri no. Non è giusto – continua l’Associazione – sostenere che possano esservi dei lavoratori a cui venga richiesto di prestare la propria opera gratuitamente, perché tutti hanno diritto di trarre dal proprio lavoro i mezzi per il sostentamento per sé e per la propria famiglia, soprattutto in questo periodo in cui si risente degli effetti della pandemia. Ribadiamo, dunque, la nostra contrarietà a qualsiasi forma di quantificazione a zero delle competenze professionali e la necessità di dare maggiore valore ad un principio di civiltà come quello dell’equo compenso, facendo applicare in modo più stringente la norma da parte delle pubbliche amministrazioni”. Elevare il principio di adeguatezza fra corrispettivo e qualità e quantità del lavoro svolto a “diritto” del professionista nei confronti di tutti i committenti così come arrivare, entro fine Legislatura, ad una disciplina più inclusiva della norma, con un’estensione ampia a tutte le realtà economiche, sono i due moniti lanciati in questi mesi da ProfessionItaliane. Ad oggi, infatti, il dibattito parlamentare sul ddl sull’equo compenso, interrotto dalla Ragioneria dello Stato, è fermo alla previsione che questo si possa applicare solo alle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro

 

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