L’equo compenso riparte al Senato. Gli Ordini: va esteso a tutti i rapporti contrattuali
Al via l’iter in Commissione giustizia con una serie di audizioni, ascoltati: Aiga, Cup, Confprofessioni e Adepp
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È ripreso nella mattinata di mercoledì 24 novembre in Senato, dopo aver incassato in prima lettura l’approvazione il 13 ottobre scorso dell’Aula della Camera, il disegno di legge per rafforzare il principio dell’equo compenso per i liberi professionisti nei rapporti con la clientela pubblica e privata (introdotto nel nostro ordinamento grazie ad una legge del 2017, non sempre correttamente applicata).
Il disegno di legge, prima firmataria la leader di Fdi Giorgia Meloni, unisce altre iniziative siglate dal centrodestra (Lega e Fi) ed è passato con 251 voti a favore, nessun contrario e 9 astenuti (i parlamentari di Leu, che hanno auspicato miglioramenti in seconda lettura, al Senato).
A partire dalle 9, dunque, sono stati ascoltati, tra gli altri, il presidente dell’Aiga (l’Associazione dei giovani avvocati) Francesco Paolo Perchinunno che ha definito «ingiustificata la mancata inclusione delle prestazioni rese in favore di società veicolo di cartolarizzazione e a quelle rese in favore degli agenti della riscossione». Il presidente dell’Adepp (l’Associazione delle Casse di previdenza private) Alberto Oliveti che ha ricordato come «talvolta il cliente più ostico è la Pa». Per il presidente del Consiglio nazionale del Notariato, Valentina Rubertelli che ha parlato a nome del Cup (Comitato unitario delle professioni) invece: «occorre estendere il principio dell’equo compenso a tutti i rapporti contrattuali, ivi compresi quelli tra professionisti ed utenti consumatori». Per il consigliere del Cnf (Consiglio nazionale forense) Stefano Bertollini “ad oggi si contano oltre 103 violazioni della norma. Inoltre con il limite minimo di 50 dipendenti la norma non verrebbe applicata alla maggior parte delle imprese italiane”. Il presidente di Confprofessioni Gaetano Stella ha infine evidenziato le «incomprensibili previsioni di sanzioni disciplinari a carico del professionista che sia parte di un rapporto contrattuale lesivo dell’equo compenso».
«Numerose sono state le criticità nella fase attuativa» della disciplina del 2017 che ha introdotto nel nostro ordinamento il principio dell’equo compenso per le prestazioni professionali, giacché «continuano ad esser pubblicati dalla Pa bandi per il reclutamento di professionisti con la previsione di compensi pari allo zero», dunque «va ampliata la platea dei soggetti tenuti all’applicazione dell’equo compenso» ed «occorre estendere il principio dell’equo compenso a tutti i rapporti contrattuali, ivi compresi quelli tra professionisti ed utenti consumatori, al fine di ristabilire un corretto equilibrio economico nelle transazioni professionali». Lo si legge nella memoria che il Cup (Comitato unitario delle professioni) ha depositato in Commissione Giustizia, al Senato, e che è stata illustrata stamattina dalla presidente del Consiglio nazionale del Notariato, Valentina Rubertelli.
«L’abrogazione delle tariffe professionali non ha prodotto i risultati sperati, anzi, ha determinato un’ingiusta esposizione del professionista al rischio di mancato pagamento da parte dei clienti nonché ad una concorrenza sleale tra colleghi. Effetti positivi non sono derivati neppure per i consumatori – viene evidenziato – che, invece, di fronte ad una guerra al ribasso dei compensi professionali, si trovano nella condizione di non poter valutare la competenza e la preparazione del professionista, essendo indotti ad avvalersi di coloro che offrono il prezzo più basso». Nel testo viene, infine, annoverato fra gli “elementi positivi” del disegno di legge «la legittimazione per gli Ordini ad adottare disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione da parte del professionista dell’obbligo di convenire, o di preventivare un compenso che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinato in applicazione dei parametri» previsti da appositi decreti ministeriali, nonché a «sanzionare la violazione dell’obbligo di avvertire il cliente, nei soli rapporti in cui la convenzione, il contratto o, comunque, qualsiasi accordo con il cliente siano predisposti esclusivamente dal professionista, che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare in ogni caso, pena la nullità della pattuizione, i criteri stabiliti dalla disposizione della legge».
«Dobbiamo sottolineare che, talvolta, il committente, o il datore di lavoro, più ostico sia proprio quello pubblico»: parola del presidente dell’Adepp, l’Associazione degli enti previdenziali privati, Alberto Oliveti. «Il settore delle professioni sta attraversando una crisi prolungata ed una trasformazione di forte rilievo, a causa degli eventi demografici, economici e tecnologici», nonché legati allo scenario post-pandemico, prosegue, annunciando che «presenteremo dei dati dell’Adepp in cui questi verrà dimostrato» (il 21 dicembre prossimo, quando verrà illustrato l’XI rapporto dell’Associazione delle Casse, ndr). Per Oliveti «sono particolarmente interessati da questa crisi quei professionisti che operano nelle regioni del Meridione d’Italia, che sono giovani e che sono di sesso femminile», mette in luce.
Confprofessioni: paradossale punire autonomi
Il provvedimento «contiene diversi passi in avanti rispetto al quadro, del tutto inefficace, della legislazione vigente. Al contempo, tuttavia, permangono ritrosie incomprensibili nella prospettiva della piena tutela dei diritti dei professionisti, si avallano distinzioni poco comprensibili tra professioni regolamentate in forma ordinistica e professioni non regolamentate, e si introducono strumenti operativi che rischiano di essere perfino controproducenti, rispetto agli obiettivi che si intende perseguire, con esiti paradossali e punitivi per gli stessi professionisti che si vorrebbe, in principio, tutelare». Questo il pensiero espresso da Confprofessioni, rappresentata dal presidente Gateano Stella e dal componente dell’organismo Andrea Dili che hanno poi evidenziato le «incomprensibili previsioni di sanzioni disciplinari a carico del professionista che sia parte di un rapporto contrattuale lesivo dell’equo compenso. È, questo – si precisa – un approccio punitivo inaccettabile, che lascia trasparire l’intento di ritorno ad un mercato controllato e di reintroduzione di tariffe vincolanti».
Cnf: 103 violazioni della norma attuale
Il disegno di legge «sicuramente mira a migliorare i profili della disciplina già in vigore sull’equo compenso», e poiché il Consiglio nazionale forense (Cnf) può portare all’attenzione, ad oggi, «103 violazioni della norma, ciò dimostra che, attualmente, occorre «un’importante revisione». Lo ha sottolineato il consigliere del Cnf Stefano Bertollini che ha parlato anche delle «criticità» del ddl, in primo luogo per la «limitazione del campo soggettivo di applicazione della disciplina alle imprese di una certa dimensione» (quelle cioè, recita il testo, che impiegano più di 50 dipendenti, o fatturano più di 10 milioni di euro all’anno, ndr) dunque accadrebbe, ha affermato il rappresentante degli avvocati, che il provvedimento «non verrebbe applicato alla maggior parte delle imprese presenti sul territorio nazionale».
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