La minoranza profetica e il contributivo puro
Dopo “Il mito del deficit” di S.K., oggi consiglio il libro di A.V. “Il capitalismo finanziario oltre il capitalismo. Lotta per la libertà e il socialismo”, febbraio 2021, Mondadori.
In evidenza
Viviamo in una tornata di tempo dove la finanza, come il Re Sole in allora, regna sovrana incontrastata.
Il capitale finanziario ha costruito un sistema complesso, una piovra che condiziona la vita politica, quella economica, quella culturale e quella della comunicazione perché la diffusione del pensiero unico è la chiave del successo della affabulazione globalizzata.
È un processo inarrestabile?
Certamente no.
La finanza ha indubbi meriti che non vanno sottovalutati ma non può sostituirsi all’economia reale per costruire un castello di illusioni destinato, come la sabbia, a disintegrarsi al primo stormir del vento.
Su questo tema si veda S.Z., economia civile, La crisi in atto come crisi di senso, in Symposium, (2009), anno III, n. 4, pag. 5.
Secondo il Prof. Z. una crisi è dialettica quando nasce da un conflitto fondamentale che prende corpo entro una determinata società e che contiene, al proprio interno, i germi o le forze del proprio superamento. Per converso, entropica, è la crisi che tende a far collassare il sistema, per implosione, senza modificarlo. Questo tipo di crisi si sviluppa ogni qualvolta la società perde il senso – cioè, letteralmente, la direzione – del proprio incedere. Non si esce da una crisi entropica con aggiustamenti di natura tecnica o con provvedimenti solo legislativi o regolamentari – pure necessari – ma affrontando di petto, risolvendola, la questione del senso.
A tale scopo sono indispensabili minoranze profetiche che sappiano indicare alla società la nuova direzione verso cui muovere mediante un supplemento di pensiero e soprattutto con la testimonianza delle opere.
Proprio questo problema della invasione del capitale finanziario è stato affrontato da Benedetto XVI nella sua Enciclica “Caritas in veritate” e ripreso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Per Benedetto XVI occorre recuperare il primato della politica che non è quello di una politica accentratrice, a servizio di pochi gruppi clientelari propensa a favorire, sprechi, consumismi, illegalità, deficit astronomici nei bilanci pubblici.
È bensì il primato di una politica che svolge il suo compito favorendo uno sviluppo sostenibile e qualitativo per tutti, ponendosi a servizio della società civile, del bene comune, perseguendo una welfare society sulla base della solidarietà e della sussidiarietà, nonché di una democrazia partecipativa e non solo rappresentativa in un contesto di globalizzazione.
L’analisi della crisi e della struttura degenerata dell’attuale capitalismo finanziario, deregolato e globale, mostra che ad esso sono di fatto subordinati i volumi degli investimenti produttivi mondiali, dell’occupazione, dei redditi, dei consumi, della coesione sociale, degli stessi equilibri istituzionali delle democrazie.
E veniamo al nostro microcosmo della previdenza dei professionisti.
Il regime è imbecillocratico (F. B., 1850) e sfrutta l’ignoranza degli iscritti nel senso di non conoscenza delle regole della previdenza.
Poi vi è il patrimonio accumulato, di oltre 100 miliardi di euro, che fa gola a molti.
Sopra i falchi che volano sulla preda nella speranza di farne un boccone.
Intorno le sirene che, a seconda del timing, suggeriscono nuove e redditizie strategie per gli investimenti.
I pastori, con i loro cani lupo, lasciano fare per non turbale l’autonomia.
Così facendo sono a rischio le pensioni ma chi lo dice appartiene ad una minoranza profetica.
Il sistema è ben oliato e i protagonisti cercano di tenerlo in piedi rattoppandolo qua e la ove necessario ma il problema vero è che gli iscritti, obbligati per legge ad esserlo, versano contributi che finiscono sui mercati finanziari assumendo in proprio tutti i rischi dei mercati finanziari e ci troviamo nella previdenza obbligatoria di primo pilastro e non già in quella volontaria di secondo pilastro tanto per essere chiari!!
Dopo più di dieci anni di traccheggiamento, l’ultima relazione della Corte dei Conti su Cassa Forense ha creato un po’ di panico tra gli iscritti e CF così scrive sul suo sito istituzionale:
«allo stesso modo, grazie proprio alle indicazioni fornite dalle proiezioni annunciate dal bilancio attuariale, Cassa Forense ha avviato un processo di studio della riforma del sistema previdenziale forense, per l’evoluzione verso un sistema contributivo puro, per evitare ogni rischio – anche remoto – di erosione della base contributiva».
Il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Il sistema retributivo di calcolo delle prestazioni perviene a regime con la Legge 30 aprile 1969, n. 153.
Nel modello retributivo la pensione è commisurata alle retribuzioni percepite negli ultimi anni di attività. La sostenibilità finanziaria del sistema dipende, sostanzialmente, dall’equilibrio tra lavoratori attivi e pensionati.
Nel corso degli anni, il costante invecchiamento della popolazione italiana unitamente all’andamento demografico, hanno segnato la crisi del modello retributivo, avviandone il processo di rivisitazione.
La Legge 8 agosto 1995, n. 335 di “riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare” (c.d. riforma Dini) introduce il sistema di calcolo contributivo, disponendone la totale applicazione nei confronti di tutti gli assicurati a decorrere dal 1° gennaio 1996.
Il sistema contributivo rappresenta una forma più equa di determinazione della prestazione pensionistica, in quanto pone in diretta correlazione quanto versato con quanto il soggetto verrà a percepire; i contributi accantonati (c.d. montante) vengono, infatti, convertiti in rendita attraverso coefficienti di trasformazione calcolati in ragione dell’età di pensionamento e della conseguente attesa di vita.
La transizione al modello contributivo è stata completata con l’entrata in vigore del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214 (c.d. riforma Fornero).
Il sistema contributivo è stato esteso infatti a tutte le anzianità maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012, con applicazione del calcolo “pro rata”. (dal sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali).
Cassa Forense, dopo il tentativo andato a vuoto nel 2008, ha avuto la possibilità della opzione al contributivo dapprima nel 2011 e poi con la legge 247/2012 ma non ha inteso esercitarla cosi aggravando il debito previdenziale latente per l’aumento dei pensionati che oggi cubano 30 mila unità.
Traccheggiando, la situazione è diventata esplosiva al punto che, a mio giudizio, il passaggio ora al sistema di calcolo contributivo puro spazza via per almeno 100.000 avvocati ogni affidamento su di una pensione adeguata secondo i parametri costituzionali.
La previsione poi di tre opzioni oltre ad un periodo transitorio verrà a discriminare una intera categoria sulla base del reddito il che si pone, ancora una volta, in contrasto con le vigenti normative e i parametri costituzionali.
Come è noto, il criterio di calcolo contributivo puro è vantaggioso per chi dispone di redditi alti mentre per i cd. sottominimali la pensione contributiva sarà di poche centinaia di euro, ben al di sotto del cd minimo vitale (soglia di povertà) ma la cosa molto significativa, ai fini della sostenibilità di lungo periodo, sarà l’abolizione dell’integrazione al minimo che per legge con il contributivo puro è vietata mentre oggi è prevista come risulta da ciò che si può leggere:
Art. 48 Integrazione al trattamento minimo
- Su domanda dell’avente diritto, qualora applicando i criteri di calcolo di cui agli artt.47, 49 e 61 del presente Regolamento la pensione annua sia inferiore ad euro 11.949,00, preso come base l’anno 2019, è corrisposta un’integrazione sino al raggiungimento del suddetto importo.
- Tale importo è rivalutato annualmente con i criteri di cui all’art.60. È escluso ogni collegamento automatico di tale importo minimo con il contributo soggettivo minimo.
- L’integrazione al trattamento minimo compete solo nell’ipotesi in cui il reddito complessivo dell’iscritto e del coniuge, non legalmente ed effettivamente separato, comprensivo dei redditi da pensione, nonché di quelli soggetti a tassazione separata o a ritenuta alla fonte, non sia superiore al triplo del trattamento minimo. Essa compete solo sino al raggiungimento del reddito complessivo massimo pari a tre volte il trattamento minimo di cui sopra, salvo quanto previsto al successivo quarto comma del presente articolo.
- Ai fini del computo del reddito massimo di cui sopra non si considerano il reddito della casa di abitazione del titolare della pensione, anche se imputabile al coniuge, il trattamento di fine rapporto e le erogazioni ad esso equiparate. Per i fini di cui alla presente normativa si considera la media dei redditi effettivamente percepiti nei tre anni precedenti quello per il quale si chiede l’integrazione al trattamento minimo della pensione.
- All’atto della presentazione della domanda di integrazione al trattamento minimo il richiedente dovrà sottoscrivere autocertificazione relativa ai requisiti reddituali di cui ai precedenti commi, impegnandosi a comunicare le variazioni che comportino la perdita del diritto all’integrazione. In ogni caso ogni tre anni il pensionato dovrà ripetere la domanda di integrazione con le modalità di cui sopra.
- La quota modulare e gli eventuali supplementi di pensione assorbono, sino a concorrenza, l’integrazione al trattamento minimo della pensione.
- Qualora risulti che il pensionato abbia ricevuto l’integrazione al minimo a seguito di dichiarazioni non rispondenti al vero, egli è tenuto, oltreché alla restituzione delle somme indebitamente percepite, maggiorate degli interessi, al pagamento di una sanzione, come prevista dal comma successivo.
- La sanzione di cui al comma precedente è pari al 30% delle somme lorde indebitamente percepite, ferme le eventuali sanzioni previste dalle leggi penali.
- In caso di anticipazione della pensione ai sensi degli artt. 45 e 47 ultimo comma, l’importo annuo integrato al minimo verrà ridotto nella misura dello 0,41% per ogni mese di anticipazione rispetto al requisito anagrafico previsto dall’art. 44. La riduzione di cui innanzi non si applica ove l’iscritto, al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, ovvero al momento successivo della trasmissione della domanda di pensione, abbia raggiunto il requisito della effettiva iscrizione e integrale contribuzione per almeno quaranta anni.
Tutto questo con il contributivo puro è vietato per legge.
Esula poi dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di previdenza di emanare un contributo di solidarietà in quanto, al di là del suo nome, non può essere ricondotto ad un criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
Lo afferma la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza n. 28054 pubblicata il 9 dicembre 2020.
Ecco che proprio quella minoranza visionaria era lungimirante ma non è mai stata considerata, anzi a volte ignorata altre volte dileggiata!
Ora, come si dice, i nodi stanno venendo al pettine e non sarà agevole venirne a capo.
Tratto da Diritto e Giustizia
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