Spese condominiali, tutela rafforzata e immediata
Il condomino che si sia visto notificare un ordine di pagamento può contestare già nel giudizio di opposizione la legittimità della deliberazione assembleare. Queste le conclusioni della sentenza del Tribunale di Torino, che, tra le prime, applica il principio di diritto espresso in materia dalle sezioni unite della Corte di cassazione
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Stop agli incroci pericolosi tra impugnazione della delibera e opposizione al decreto ingiuntivo. Il condòmino che si sia visto notificare un ordine di pagamento relativo alle spese condominiali può contestare già nel giudizio di opposizione la legittimità della deliberazione assembleare sulla quale le stesse si fondano, anche se non ha precedentemente provveduto a impugnarla. Quanto sopra a condizione che nel giudizio di opposizione sia formulata, nel termine di cui all’art. 1137 c.c., la domanda volta all’annullamento della delibera. Cosa che non è necessaria ove si tratti di un vizio di nullità, poiché esso può essere semplicemente dedotto tra i motivi di opposizione o essere rilevato incidentalmente d’ufficio dal giudice al solo fine di paralizzare la pretesa creditoria infondata. Queste le conclusioni che si possono trarre dalla recente sentenza n. 198 del Tribunale di Torino del 19 gennaio scorso, che merita una segnalazione per essere una delle prime applicazioni del nuovo principio di diritto espresso in materia dalle sezioni unite della Corte di cassazione nella recente e nota sentenza n. 9839/2021.
I fatti di causa. Con atto di citazione un condòmino si opponeva al decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti dal condominio sulla base di svariati motivi, tra i quali la presunta annullabilità delle deliberazioni assembleari poste a fondamento delle richieste avanzate con il ricorso monitorio per l’errata indicazione della quota di spese imputatagli. Si costituiva in giudizio il condominio, eccependo, per quello che interessa in questa sede, il fatto che il condòmino non avesse mai impugnato le delibere assembleari relative al riparto delle spese ingiunte.
Incroci pericolosi tra i diversi giudizi. I rapporti tra il giudizio di impugnazione della deliberazione assembleare e quello di opposizione al decreto ingiuntivo fondato su di essa hanno sempre sollevato numerose difficoltà interpretative e creano spesso degli incroci processuali davvero complicati. L’amministratore ottiene il decreto ingiuntivo nei confronti del condòmino moroso sulla base delle risultanze del consuntivo e/o del preventivo deliberato dall’assemblea. Spesso il condòmino non impugna quest’ultima decisione ma, una volta che gli sia stato notificato il decreto ingiuntivo, magari a distanza di mesi o addirittura di anni, provvede a opporlo in sede giudiziaria, sollevando una serie di questioni di invalidità della delibera presupposta.
Il primo dubbio che si è posto in questi casi è se il giudice possa sindacare la validità della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese su cui è fondata l’ingiunzione di pagamento ovvero se tale sindacato gli sia precluso, per essere riservato al giudizio di impugnazione. A questo quesito la giurisprudenza di legittimità ha dato, in un primo momento, risposta negativa, affermando il principio secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per le spese condominiali, il condòmino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale, ma solo fatti riguardanti l’efficacia della medesima. Il giudice dell’opposizione dovrebbe limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia della delibera assembleare, senza poter sindacare, neppure in via incidentale, la sua validità, essendo tale valutazione riservata al giudice davanti al quale detta delibera sia stata impugnata. Il giudice dell’opposizione potrebbe quindi revocare l’ordine di pagamento solo se la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per essere stata annullata o per esserne stata sospesa l’esecuzione dal giudice dell’impugnazione.
Negli ultimi anni si è però sviluppato un nuovo indirizzo giurisprudenziale in base al quale la Suprema corte ha affermato che nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità d’ufficio dell’invalidità della sottostante delibera non opera allorché si tratti di vizi implicanti la sua nullità, in quanto la sussistenza di un valido titolo costituisce un elemento costitutivo della domanda di pagamento. Si è quindi aperta una breccia nel principio di diritto graniticamente seguito fino a quel momento, seppure limitato ai motivi di nullità che, come è noto, costituiscono una casistica limitata nel panorama dei vizi di legittimità delle deliberazioni assembleari. Ma su questo nuovo filone si è innestato l’innovativo ragionamento svolto nella primavera dello scorso anno dalle sezioni unite della Cassazione e al quale si è richiamato il Tribunale di Torino nella citata sentenza.
Il nuovo principio di diritto. La Suprema corte ha infatti ritenuto che il primo orientamento debba essere superato, mancando ragioni sufficienti per negare al giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo il potere di sindacare la validità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione. In effetti a favore di questa soluzione militano evidenti ragioni di economia processuale, in linea col principio costituzionale della ragionevole durata del processo. Infatti, come si è puntualmente verificato in questi anni, negare al giudice dell’opposizione la possibilità di sindacare l’invalidità della deliberazione posta a base dell’ingiunzione provoca una moltiplicazione dei giudizi, con l’ulteriore rischio di possibili contrasti di giudicato.
Ma le sezioni unite non si sono limitate a confermare il potere del giudice dell’opposizione di accertare in via incidentale gli eventuali motivi di nullità della delibera presupposta al provvedimento monitorio. Hanno compiuto un passo ulteriore, per certi versi inaspettato. Per le stesse ragioni sinteticamente indicate in precedenza, si è infatti ritenuto che il giudice dell’opposizione possa anche conoscere dei motivi di annullabilità della deliberazione presupposta dal decreto ingiuntivo opposto, non sembrando ragionevole e giustificata la limitazione ai soli motivi di nullità.
Questo ampliamento della cognizione del giudice dell’opposizione comporta però un’importante conseguenza, come correttamente rilevato dal Tribunale di Torino nella recente sentenza. Se, infatti, il giudice dinanzi al quale viene contestata la validità del decreto ingiuntivo può conoscere dei motivi di nullità della delibera presupposta sia su semplice eccezione del condòmino opponente sia d’ufficio, lo stesso non può avvenire in caso di presunta annullabilità della medesima. Le ragioni di ciò sono molte e tutte di immediata evidenza, laddove si faccia mente locale alla tradizionale distinzione tra le categorie della nullità e dell’annullabilità. L’atto nullo è improduttivo di effetti e il giudice chiamato incidentalmente a farne applicazione può rilevare d’ufficio la questione, ove la stessa non sia stata sollevata dall’opponente. Nel caso di un vizio che possa comportare l’annullabilità dell’atto, quest’ultimo è viceversa efficace sino a che intervenga la pronuncia di annullamento, che può originare soltanto da una domanda ad hoc del soggetto interessato. Tanto più in caso di deliberazioni assembleari, laddove il diritto dell’interessato a ottenere l’annullamento della delibera si consuma una volta trascorso il noto termine di decadenza di trenta giorni di cui all’art. 1137 c.c..
Ecco allora che, come indicato dalle sezioni unite, la pronuncia sull’annullabilità della delibera su cui si fonda il decreto ingiuntivo può essere emessa anche dal giudice dell’opposizione a condizione che vi sia una specifica domanda in tal senso da parte dell’opponente, il quale, nel proprio atto di citazione, oltre a richiedere in via principale la revoca del decreto ingiuntivo opposto, dovrà necessariamente sollecitare in via riconvenzionale l’accertamento del predetto vizio e, quindi, impugnare la relativa deliberazione assembleare. Quanto sopra è però possibile soltanto a condizione che l’opponente non sia nel frattempo decaduto da tale diritto. Ovvero, in altri termini, che non siano trascorsi più di 30 giorni dall’assemblea, ove il condòmino fosse presente, o dal ricevimento del relativo verbale. Dal punto di vista operativo, è però anche evidente che la situazione sopra descritta ricorre poco frequentemente, con la conseguenza che, nella pratica, le opposizioni fondate sull’annullabilità della delibera presupposta continueranno nella maggior parte dei casi a essere respinte, proprio come avvenuto nel caso deciso dal Tribunale di Torino.
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