Per cercare la sostenibilità attuariale Cipag ha abolito la pensione di anzianità
E Cassa Forense studia di limitare la integrazione al trattamento minimo della pensione?
Per CF si torna alla riforma Dini (La Legge 8 agosto 1995, n. 335 di “riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”, c.d. riforma Dini) introduce il sistema di calcolo contributivo, disponendone la totale applicazione nei confronti di tutti gli assicurati a decorrere dal 1° gennaio 1996.
Il sistema contributivo rappresenta una forma più equa di determinazione della prestazione pensionistica, in quanto pone in diretta correlazione quanto versato con quanto il soggetto verrà a percepire; i contributi accantonati (c.d. montante) vengono, infatti, convertiti in rendita attraverso coefficienti di trasformazione calcolati in ragione dell’età di pensionamento e della conseguente attesa di vita. La transizione al modello contributivo è stata completata con l’entrata in vigore del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214 (c.d. riforma Fornero). Il sistema contributivo è stato esteso infatti a tutte le anzianità maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012, con applicazione del calcolo “pro rata”).
La CIPAG, con decorrere 1° gennaio 2022, ha abolito l’istituto della pensione di anzianità di cui all’art. 3 del Regolamento per l’attuazione delle attività di previdenza ed assistenza a favore degli iscritti e dei loro familiari e la contestuale introduzione, all’art. 34, commi 6-bis e 6-ter del citato Regolamento, della facoltà di anticipare la fruizione della pensione di vecchiaia con calcolo misto di cui all’art. 34, comma 6, rispetto al requisito anagrafico di 67 anni. Coloro i quali abbiano maturato 60 anni di età anagrafica e 40 anni di effettiva contribuzione potranno fruire infatti di un trattamento pensionistico anticipato con una riduzione della sola quota di prestazione calcolata con il sistema reddituale, in misura pari all’1% per ogni mese di anticipo rispetto al requisito anagrafico di 67 anni di età con una riduzione minima del 12%.
Cassa Forense, invece, ha iniziato la discussione generale sulla bozza di riforma che non è stata resa nota, salvo qualche anticipazione qua e là, spesso contraddittoria.
Il regolatore previdenziale ha due leve sulle quali poter intervenire: la leva delle entrate (contributi) e la leva delle uscite (pensioni).
Aumentare la contribuzione oggi mi sembra molto difficile stante la contrazione dei redditi dell’avvocatura italiana già in difficoltà, per circa 100 mila avvocati, a versare anche la sola contribuzione minima.
La riprova sta nell’aumento progressivo del volume di crediti di Cassa Forense verso gli iscritti e nelle procedure di recupero massivo che tante lamentele stanno cagionando.
È di questi giorni, infatti, la notizia che il COA di Napoli ha chiesto a CF:
- di prevedere la sanatoria o condono delle sanzioni, concedendo la possibilità di pagare i contributi dovuti maggiorati dei soli interessi;
- prevedere che il termine sino al 31.07.2022, concesso con le missive di sollecito, sia allungato quantomeno sino al 31.12.2022 con la possibilità straordinaria di accedere ad una rateazione fino a 10 anni, ovvero pari alla rateazione concessa al contribuente da parte di Agenzia Entrate Riscossione;
- prevedere che alle fattispecie che hanno formato oggetto della campagna di recupero e delle lettere di sollecito sia, in via eccezionale, estesa la disciplina della “regolarizzazione spontanea”, dando così la possibilità all’iscritto – anche se ha in corso altra procedura di rateazione – di avvalersi di un istituto che consente di ripristinare con sufficiente serenità la regolarità amministrativa della propria posizione previdenziale.
Ho già espresso il mio pensiero, negativo,
Si può comunque intervenire modificando il sistema vigente delle aliquote contributive.
Oggi l’aliquota è regressiva perché diminuisce all’aumentare della base imponibile. Infatti, l’aliquota del contributo minimo è molto alta per poi discendere e restare costante sino al tetto pensionabile una volta che si esce dalla soglia della contribuzione minima.
Oggi l’aliquota è proporzionale perché è costante indipendentemente dal valore assunto dalla base imponibile.
Si può quindi cambiare sistema per transitare ad un’aliquota progressiva che è tale quando cresce all’aumentare della base imponibile.
La nostra Costituzione prevede che il sistema tributario italiano sia informato al criterio della progressività.
Ma è noto a tutti, dopo gli interventi giurisprudenziali, che il contributo previdenziale non è un’imposta ma una prestazione patrimoniale destinata al finanziamento della previdenza.
Se però l’obiettivo è quello di una redistribuzione diretta a garantire l’equità intergenerazionale si può transitare ad una contribuzione progressiva per scaglioni di reddito con abolizione dei minimi.
Si tratta di fare bene i conteggi anche alla luce delle proiezioni attuariali.
Non ho sentito rumors in tal senso e quindi direi che è da escludere.
Mi è stato invece riferito che Cassa Forense eserciterà l’opzione al sistema di calcolo contributivo.
Tale opzione, che a mio giudizio è tardiva per l’accumularsi di 30mila pensionati, comporta due problemi di non facile soluzione: il primo: come si finanziano le pensioni in pagamento; il secondo: che strada prenderà il contributo integrativo che è pur sempre un contributo previdenziale versato dal professionista ancorché con possibilità di ripeterlo dal cliente.
Ho l’impressione che CF nella sostanza voglia introdurre la gabbia previdenziale su base reddituale non sostituendo la pensione retributiva con quella contributiva a far data da una certa decorrenza ma affiancando alla pensione retributiva quella contributiva che, da residuale com’era sino ad oggi per chi non traguardava i requisiti pensionistici al fine di non lasciare silenti i contributi versati, diventa un’opzione esercitabile dall’iscritto.
È evidente che l’opzione al contributivo sarà esercitata dai titolari di redditi bassi perché avrà una contribuzione inferiore ma bisogna sapere che porterà ad una pensione mediamente pari al 50% di quella retributiva.
Con l’estensione del calcolo contributivo della pensione alle fasce a minor reddito, Cassa Forense limita l’operatività dell’integrazione al trattamento minimo della pensione, che con il contributivo è vietata per legge (n. 335/1995).
Di qui il grande risparmio da calcolare ai fini attuariali della sostenibilità.
È comunque in discussione l’abbassamento nel quantum della pensione minima così da risparmiare ulteriormente sull’integrazione al trattamento minimo per gli aventi diritto alla pensione retributiva che sarà ridotta agendo sul coefficiente di calcolo.
La gabbia previdenziale a me pare contra legem perché attua una differenziazione del trattamento pensionistico esclusivamente su base reddituale il che è vietato dalla legge n. 247/2012.
Mi pare difficile pensare che una gabbia previdenziale di tal genere, all’interno di una stessa categoria, possa essere assentita dai Ministeri vigilanti.
In ogni caso prevedo un ricorso massiccio all’Autorità giudiziaria anche perché sul montante contributivo della pensione contributiva non sarà calcolato per tutti il contributo integrativo il che confligge con gli stessi criteri che regolano la pensione contributiva e quindi la formazione del montante contributivo.
Il montante contributivo è l’importo complessivo dei contributi versati durante la propria carriera lavorativa, rivalutati sino al momento della liquidazione della pensione. Si tratta di un parametro di fondamentale importanza nel calcolo delle pensioni che rientrano nel sistema contributivo, poiché il montante individuale rappresenta il capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso degli anni di lavoro ai fini pensionistici.
Ho letto che l’obbligazione contributiva dell’assicurato iscritto alla Cassa trova fondamento nella prescritta tutela previdenziale del lavoro e si giustifica in quanto è diretta a realizzare tale finalità.
L’obbligazione tributaria, invece, si fonda sulla capacità contributiva e non ha necessariamente una desti-nazione mirata, bensì si raccorda al generale dovere di concorrere alle spese pubbliche e può anche rispondere a finalità di perequazione reddituale nella misura in cui opera il canone di progressività del sistema tributario.
Stante questa differenziazione, la contribuzione dovuta alla Cassa, fin quando assicura l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici alle esigenze di vita, anche con un indiretto effetto di perequazione, non eccede la solidarietà categoriale di natura previdenziale, né trasmoda in una obbligazione ascrivibile invece alla fiscalità generale e quindi di natura tributaria.
Né, con specifico riferimento al contributo integrativo, la natura giuridica è diversa per il fatto che lo stesso viene traslato su un terzo, in quanto il soggetto passivo rimane sempre il professionista e lo stesso è tenuto al versamento alla cassa di previdenza.
La natura giuridica del contributo soggettivo (ed integrativo) è desumibile, peraltro, anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, in cui viene chiarito, proprio con riferimento alla previdenza dei liberi professionisti, come non è ipotizzabile una violazione del principio della capacità contributiva (art. 53 Cost.) non avendo le contribuzioni natura tributaria.
Pertanto, poiché i contributi, soggettivo ed integrativo, costituiscono il “mezzo” necessario al raggiungimento dei fini istituzionali della Cassa Forense, in quanto l’erogazione delle prestazioni pensionistiche a favore dei professionisti avviene grazie alle entrate contributive (che costituiscono la voce più rilevante in bilancio), at-teso il collegamento (e non la corrispettività) tra le prestazioni pensionistiche e i contributi, si può concludere che i contributi, soggettivo ed integrativo, adempiono alla funzione di precostituire i mezzi finanziari necessari al raggiungimento dei fini istituzionali di un ente privato esercente funzione pubblica (D.C., Natura giuridica dei contributi soggettivo e integrativo, Prev. Forense 1/2020).
Ma se viene meno la solidarietà che si fa con l’integrazione al trattamento minimo soprattutto, perché non implementare il montante con il contributo integrativo?
A ulteriore riprova ricordo che ove sia adottato il metodo di calcolo contributivo, vi è già la norma ad hoc per consentire di destinare una parte del contributo integrativo all’incremento dei montanti individuali.
La legge “Lo Presti“, consente alle Casse di previdenza dei liberi professionisti, di cui al decreto n. 103/1996 e 509/1994 che adottano il sistema di calcolo contributivo, di deliberare l’aumento del contributo integrativo, a partire dal 24 agosto 2011, fino a un limite massimo del 5%.
Mi riferisco alla legge n. 133/2011 (la stessa norma che ha limitato anche l’autonomia normativa delle Casse con la introduzione del tetto, per la contribuzione integrativa, del 5% sul fatturato lordo del professionista iscritto), che ha modificato il comma 3 dell’art. 8 del d.lgs. n. 103/1996. Tale norma, all’espresso fine di migliorare i trattamenti pensionistici degli iscritti alle sole casse privatizzate (ex decreti n. 103/1996 e n. 509/1994) che adottano il sistema di calcolo contributivo, ha riconosciuto agli enti la facoltà di destinare “parte del contributo integrativo all’incremento dei montanti individuali” con delibere la cui approvazione dovrà essere valutata dai Ministeri vigilanti verificando “la sostenibilità della gestione complessiva e le implicazioni in termini di adeguatezza delle prestazioni”.
Non ci resta che attendere la pubblicazione del testo riformatore per altre compiute analisi, oggi non possibili, proprio perché il testo della riforma non è stato diffuso e si ragiona sulle voci probabilmente lanciate ad arte per vedere le reazioni che provocano.
Traducendo le tante voci che si susseguono, cosi riassumo lo stato dell’arte:
passaggio al contributivo per anzianità.
Si creeranno tre classi di iscritti:
- A) chi rimane nel retributivo;
- B) misto;
- C) contributivi puri.
Riduzione dei minimi soggettivi e conseguente riduzione delle prestazioni minime.
Reintroduzione del minimo integrativo assai ridotto.
Esenzione dai minimi solo soggettivo per i primi 4 anni e riconoscimento dell’anzianità in base al versato, dimezzamento per gli ulteriori 4 con riconoscimento di sei mesi (su base volontaria possibilità di integrare fino ai minimi i primi otto anni).
Modulare fino al 15%.
Riduzione del coefficiente per chi rimane nel retributivo.
Retrocessione di parte dell’integrativo sul montante per misti e contributivi puri (con aliquote diverse tra le due coorti).
E tanto altro di dettaglio.
Ma lo schema dovrebbe essere questo con altri particolari alla attenzione del CDD.
Poiché, come detto più sopra, l’opzione avverrà esclusivamente sulla base del dato reddituale, con scelta quindi coatta, a mio giudizio, la riforma nasce contra legem.
Diritto e giustizia
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