La casa è sempre sotto attacco
Due lunghi anni di pandemia e una sola settimana di conflitto in Ucraina hanno trasformato l'economia domestica degli italiani in un'economia di guerra.
Due lunghi anni di pandemia e una sola settimana di conflitto in Ucraina hanno trasformato l’economia domestica degli italiani in un’economia di guerra. Tutto si tiene, ma tralasciamo le ripercussioni a monte sulle imprese e concentriamoci sulle conseguenze tra le mura di casa, quelle patite a valle dagli utenti-consumatori. Sugli scaffali dei supermercati l’incremento dei prezzi investe anche i beni primari e alimentari, dal pane alla pasta fino alla frutta e al caffè. L’Istat certifica che un simile livello di inflazione (al 5,7% su base annua) non si registrava da novembre 1995. È come se le lancette dell’orologio fossero tornate indietro di ventisette anni, quando però nel portafoglio non c’erano euro, ma lire. A ciò si somma l’aumento delle tariffe di luce e gas, che sta avendo un impatto impressionante sulle bollette. In un contesto del genere, solo per il fatto di dover far fronte al pagamento delle utenze e delle imposte, possedere un immobile è quanto di più lontano ci sia dal concetto di rendita e di ricchezza.
In queste ore le fibrillazioni nella maggioranza riguardano il progetto di riforma del catasto, che tecnicamente sarebbe più corretto chiamare «modifica della disciplina relativa al sistema di rilevazione catastale». Eppure basta pronunciare le parole magiche «riforma» e «catasto» per mandare in ambasce milioni di proprietari e contribuenti. Il governo Draghi, dopo decenni di tira e molla, intende mettere finalmente mano alla materia e non transige, anzi attorno a questo totem ha deciso di giocarsi il proprio futuro. Al di là delle schermaglie tra i partiti, a vacillare non è tanto la tenuta di Palazzo Chigi – la caduta dell’esecutivo adesso non è né probabile, né auspicabile – quanto la tenuta «psicologica» dei cittadini, già impoveriti dalla spirale di aumenti e di perdita del potere d’acquisto. Il Mef continua a ripetere a chiare lettere che lo scopo della riforma è prettamente «statistico», cioè non quello di alzare le tasse sul mattone o modificare i parametri per la determinazione dell’Isee, ma di fare ordine nella mappatura degli immobili così da far emergere irregolarità e abusivismo. Grazie a un patto con i Comuni, insomma, almeno fino al 2026 non ci sarebbero effetti diretti sulle tasche dei proprietari. Il condizionale, quando si tratta di soldi (nostri), è d’obbligo.
Resta però una questione di tempismo e di fiducia. Primo: è davvero il momento opportuno per intervenire in un settore così strategico, per giunta proprio mentre la politica dei bonus, pur tra mille criticità, stava ridando ossigeno all’edilizia? Secondo: non esistono solo conti e tabelle, ci sono ambiti in cui il fattore «umano», se non il sentiment di una comunità, è fondamentale. In un mondo in cui crollano certezze, dal lavoro alla salute, la casa resta l’ultima àncora di salvataggio, l’ultimo porto sicuro quando tutto il resto viene meno. Anche soltanto il rischio di ritrovarsi di nuovo minacciato il bene «rifugio» per eccellenza, a maggior ragione in tempo di guerra, convince gli italiani a non cedere di un metro (quadro) e a mettere le mani avanti. Anzi, giù le mani dalla casa.
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