Negli archivi catastali censiti 76,5 mln di immobili di cui 66 mln con rendita .
Ad analizzare la dimensione del patrimonio immobiliare italiano, sul quale sta infuriando la polemica politica relativa alla riforma del catasto, è un dossier elaborato per l'Adnkronos dal Centro Studi Enti Locali (Csel), basato su dati dell’Agenzia delle Entrate aggiornati al 31 dicembre 2020
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Lo stock immobiliare censito negli archivi catastali italiani è composto da poco meno di 76,5 milioni di immobili o loro porzioni. Quasi 66 milioni di questi immobili – spiega Csel – sono censiti nelle categorie catastali ordinarie e speciali, con attribuzione di rendita. La somma delle rendite catastali (cioè la somma imponibile dal fisco) degli edifici di gruppo A, eccezion fatta per gli uffici, è di 17,2 miliardi di euro.
Circa 3 milioni e mezzo sono, invece, censiti nelle categorie catastali del gruppo F, che rappresentano unità non idonee, anche se solo temporaneamente, a produrre ordinariamente un reddito, e circa 6,8 milioni sono beni comuni non censibili, cioè di proprietà comune e che non producono reddito, o unità ancora in lavorazione. Gli immobili censiti nel gruppo F sono quelli che, per varie ragioni, non producono reddito – ricorda Csel – e che non risultano pertanto avere una rendita ai fini della tassazione. Vi rientrano: aree urbane (F/1), lastrici solari (F/5), unità in corso di costruzione (F/3), di definizione (F/4) o in attesa di dichiarazione (F/6), cioè unità che trovano in queste categorie una collocazione temporanea, alla quale dovrà seguire una classificazione rispondente alle definitive caratteristiche che assumeranno quegli immobili.
Nel 2020, gli immobili che risultavano essere in corso di costruzione erano 692.035 e quelli in attesa di dichiarazione 149.764. L’iscrizione nelle categorie F/3 e F/4 dovrebbe avere carattere esclusivamente temporaneo: da 6 a 12 mesi, prorogabili solo previa presentazione di una dichiarazione che dimostri che effettivamente i lavori di costruzione o ristrutturazione non sono stati completati. “Nella prassi, però, questa norma è largamente disapplicata e la permanenza, per anni o addirittura decenni, in queste categorie è diventata uno stratagemma diffuso per godere indebitamente dell’esenzione dalla tassazione che ne deriva”, avverte Csel.
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