Il 25 aprile dei marziani elogi per Putin e fischi per la brigata ebraica
Sembra quasi che scimmiottino la “denazificazione” sognata da Putin, convinti realmente che un Paese di 45 milioni di abitanti, sia rappresentato dai duemila esaltati del battaglione Azov
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Stavolta non c’era neanche il pretesto della Palestina, la cauzione ideologica dietro cui storicamente il pregiudizio giudeofobico si nasconde e si fa bello. I fischi della piazza di Milano alla Brigata ebraica sono venuti fuori così, gratis, per contorto senso di appartenenza, per ottusa assimilazione e forse per riflesso condizionato. Lo stesso che da qualche anno trasforma l’anniversario della liberazione in una cronaca marziana, con gli ebrei, prime vittime del nazifascismo, contestati a muso duro dalla sinistra “dura e pura”, costretti a sfilare con la “scorta”, protetti dal servizio d’ordine.
La guerra di Putin poi ha complicato il quadro, già di per sé demenziale: «Servi della Nato!», gridavano ieri i contestatori ai reduci dei campi di sterminio hitleriani e ai loro familiari quando le due parti del corteo si sono incontrate. Ma perché?
In piazza i soliti vecchi gruppettari, ma anche molti giovani, ragazze e ragazzi che urlano nei megafoni mentre passano le bandiere con la stella di David. Un’immagine davvero pietosa. Accanto alla Brigata ebraica le comunità ucraine milanesi con tantissime bandiere blu e gialle, naturalmente anche loro fischiate dagli pseudo antifascisti. Qualcuno gli grida in faccia senza alcuna vergogna: «Nazisti!!», altri intonano per diversi minuti l’angosciante e sibillino slogan: «Ucraina antifascista solidarietà internazionalista!».
Sembra quasi che scimmiottino la “denazificazione” sognata da Putin, convinti realmente che un Paese di 45 milioni di abitanti, sia rappresentato dai duemila esaltati del battaglione Azov, Ci mancano solo i simboli della Federazione russa e delle repubbliche separatiste del Donbass per completare il rovesciamento perfetto.
E poi ci sono i vessilli dell’Unione europea, degli Stati Uniti e dell’odiata Nato, altri bersagli d’elezione delle avanguardie antagoniste che nella loro singolare interpretazione della Storia riescono nel capolavoro di gettare fango su tutti coloro che hanno combattuto contro il Terzo Reich. A parte la Russia che nell’universo parallelo in cui vivono essere ancora la gloriosa Urss.
«Fuori la Nato dal corteo!» ringhiano grintosi, ma vola anche un iperbolico «Assassini, assassini!», rivolto praticamente a tutti gli altri dimostranti, dal segretario del Pd Enrico Letta, alle migliaia di persone scese in piazza per ricordare e celebrare il 25 aprile del 1945 e non per alimentare una guerra immaginaria contro l’occidente e la democrazia. Anche perché la guerra, quella vera, divampa da due mesi nel cuore dell’Europa, con città distrutte, migliaia di vittime e milioni di profughi, una guerra di invasione illegale e sanguinaria, scatenata per volontà di Vladimir Putin e non dei suoi avversari globali.
Gli scorre sotto gli occhi tutti i giorni ma non la vogliono vedere perché metterebbe in crisi tutta la teologia geopolitica con cui interpretano ogni evento. C’è chi si aggrappa alla propaganda e alle fake news negando le stragi e chi fa spallucce: «Quello che fanno i russi non ci interessa, noi combattiamo contro gli imperialisti di casa nostra» replicano gli antagonisti a chi gli chiede come mai non dicano nulla sui crimini contro l’umanità in Ucraina e sulla repressione del dissenso interno da parte del Cremlino e del Fsb.
Ma l’insofferenza e il risentimento nei confronti degli ucraini, della strenua difesa del loro paese invaso da truppe straniere, della loro ostinazione a non arrendersi al tiranno non riguarda soltanto le frange più massimaliste della sinistra; è un sentimento strisciante che si fa largo nell’opinione pubblica, favorito dall’ambiguità dell’equidistanza, dai né, né, come se le responsabilità delle due parti in causa fossero equivalenti, un pensiero che cancella magicamente la differenza tra aggressori e aggrediti, tra le vittime e i carnefici.
Per questo il Capo dello Stato Sergio Mattarella, che già venerdì scorso aveva pronunciato parole nette, è tornato a ribadire la vicinanza del nostro paese e della nostra diplomazia con la resistenza di Kiev proprio nel giorno della liberazione.
Quella stessa resistenza davanti alla quale in molti arricciano il naso perché trovano blasfemo il paragone con i nostri partigiani ( che peraltro furono armati e addestrati dagli anglo- americani). E lo ha fatto con la consueta chiarezza, senza timore di accostamenti sacrileghi: «Pensando agli ucraini che resistono mi vengono in mente queste parole: “Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor’. Sappiamo tutti da dove sono tratti questi versi. Sono i primi di Bella ciao».
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