LE CASSE SI OPPONGANO ALL’ASSIMILAZIONE ALLA PA
L’ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese al seminario Adepp sull’autonomia
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“I rapporti tra diritto pubblico e diritto privato hanno sempre registrato mutamenti con ampliamenti dell’area pubblicistica e, al contrario, allargamenti di quella privatistica. Quindi, i rapporti tra le due aree non sono mai stati rigidi. Ma in poche occasioni si sono registrate involuzioni normative tanto gravi e pericolose quanto quelle che riguardano le Casse professionali private” questa la premessa del professore emerito Sabino Cassese * al suo intervento tenutosi ieri durante il seminario organizzato da AdEPP.
“Queste involuzioni hanno finora riguardato i rapporti tra disciplina del codice civile e disciplina amministrativa – ha sottolineato Cassese – col passare del tempo, potranno comportare anche modificazioni dell’ordine delle responsabilità, passando da quelle civilistiche a quelle contabili e penalistiche, con la conseguenza di aprire all’intervento delle procure contabile e penali. Bisogna, quindi, cercare di ristabilire il corretto equilibrio al più presto. Questa relazione si propone di mostrare l’erroneità dell’involuzione normativa in corso, alla luce della Costituzione e della norma di privatizzazione, che risale al 1993”.
La privatizzazione delle Casse, compiuta nel 1993, non è stata una delle tante privatizzazioni che hanno riguardato il settore economico pubblico. Queste sono venute in un momento successivo, alla fine dell’ultimo decennio del secolo scorso, e sono state ispirate all’idea di riportare alla ricerca del profitto e sul mercato imprese gestite da enti pubblici in modo non profittevole e spesso godendo di benefici singolari. Invece, la privatizzazione delle Casse è stata ispirata all’idea di riconoscere i corpi intermedi; non riguardava imprese ma enti sociali; si allontanava dall’idea dello Stato come esclusivo fornitore della funzione di protezione sociale, fermo rimanendo il carattere pubblico di questa funzione, a cui corrispondono diritti dei privati.
Dal 1994 sono però intervenute numerose norme che hanno assimilato le associazioni e fondazioni alla pubblica amministrazione e che quindi vanno in controtendenza rispetto alla disciplina del 1993 – 94, che sottraeva gli enti al regime pubblicistico.
I nuovi vincoli sono contenuti in complessi normativi diretti ad aumentare i controlli, a consentire interventi dell’Agenzia per l’Italia digitale, ad applicare il codice dei contratti pubblici, ad inserire le Casse nell’elenco Istat collegato al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali della Comunità, ad applicare agli enti la “spending review” per la riduzione della spesa pubblica, a sottoporre le Casse a controlli dell’Autorità nazionale anticorruzione e alla disciplina del pubblico impiego. A questa normativa potrebbe aggiungersi ora quella relativa agli investimenti delle Casse privatizzate.
Questa normativa comporta controlli del Ministero del lavoro, del Ministero dell’economia delle finanze, della Commissione bicamerale, della Covip, della Ragioneria generale dello Stato, della Corte dei conti, dell’Anac, dell’Agid, ed è in contraddizione sia con la disciplina privatistica alla quale si sono volute sottoporre le Casse nel 1993 – 94, sia con il criterio che la ispirava, quello dell’assenza di contributo o garanzia statale.
Le Casse non possono essere sottoposte alla stessa disciplina della pubblica amministrazione perché non sono rilevanti per la determinazione dei saldi di finanza pubblica. Non concorrono alla formazione del patrimonio pubblico perché le loro risorse sono costituite con contributi di privati professionisti e sono destinate ad uno scopo specifico. Su di esso e sulla sua gestione non possono applicarsi norme relative al contenimento della spesa pubblica, sia perché gli enti sono privati, sia perché le risorse gestite non provengono dal tesoro dello Stato, il quale ultimo ha solo provveduto a stabilire un obbligo di contribuzione, nello stesso tempo però escludendo che possano esservi finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario, sia, infine, perché il patrimonio delle Casse privatizzate è vincolato quanto alla sua destinazione.
L’Autorità nazionale anticorruzione, da ultimo con il parere del 27. 4. 22, ha concluso che le Casse non sono escluse dall’applicazione del codice dei contratti pubblici, oggi contenuto nel DLGS 50/2016 perché i contratti che esse pongono in essere non sono riconducibili al mero affidamento di servizi finanziari.
Ma l’applicazione delle procedure di evidenza pubblica, e quindi il ricorso alle gare, è disposto dal codice dei contratti pubblici per gli enti pubblici e per gli organismi di diritto pubblico. Le Casse sono enti privati e per esse non ricorrono tutti e tre i requisiti di legge. Non sono enti pubblici perché definiti dalla legge fondazioni o associazioni. Non sono organismi di diritto pubblico perché per la loro esistenza debbono ricorrere tre requisiti, fissati dal diritto europeo e ripetuti nell’articolo 3 del DLGS 50/2016: a) essere istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale avente carattere non industriale commerciale; b) essere dotato di personalità giuridica; c) essere finanziato in modo maggioritario dallo Stato, da enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure essere controllato da uno di questi ultimi, oppure avere un organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
Nelle Casse non ricorre questo terzo requisito perché non c’è e non ci può essere un finanziamento pubblico; perché negli organi di amministrazione non vi sono membri designati per metà dallo Stato, da enti pubblici o da altri organismi di diritto pubblico e la gestione non è soggetta al controllo pubblico. Il controllo a cui fa riferimento la norma non è il controllo esterno, ma il controllo interno, tramite la partecipazione (se così non fosse, anche le banche e le assicurazioni, che sono sottoposte a controlli esterni di organismi pubblici, dovrebbero essere soggette alla disciplina del codice dei contratti pubblici e quindi stipulare contratti soltanto sulla base di gare).
L’adozione del decreto legge 98/2011, articolo 14.3, ha indotto a ritenere che il Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e sentita la Covip, possa dettare disposizioni in materia di investimento delle risorse finanziarie anche delle Casse professionali privatizzate nel 1993.
Vi sono alcuni motivi per dubitare che si possa legittimamente arrivare a questa conclusione.
In primo luogo, l’articolo in questione è intitolato “soppressione, incorporazione e riordino di enti ed organismi pubblici”. Le casse non sono né enti, né organismi pubblici.
In secondo luogo, le disposizioni in materia di investimenti debbono, in base al terzo comma della stessa norma, tener conto di quanto previsto dall’articolo 2.2 del decreto legislativo 509/1994. Ora, questo articolo detta un criterio diverso ed autonomo, stabilendo la necessità che le casse assicurino l’equilibrio di bilancio sulla base di bilanci tecnici almeno triennali ed è questo che le Casse debbono rispettare.
In terzo luogo, i riferimenti contenuti nel terzo comma hanno ad oggetto gli “enti previdenziali”, mentre le disposizioni che sottopongono le Casse al controllo della Commissione di vigilanza sui fondi pensioni – Covip, nel primo comma, fanno espresso riferimento agli “enti di diritto privato di cui al decreto legislativo 509/1994”.
A questi argomenti di carattere giuridico, da cui si evince che la legge non consente di dettare criteri di investimento relativamente alle Casse (stabilendo, ad esempio, limiti agli investimenti immobiliari, la disciplina delle remunerazioni, le regole sul conflitto degli interessi e il ricorso agli strumenti derivati, limiti relativi alla partecipazione percentuale massima a ciascun fondo o società uguali per tutte le casse e con applicazione retroattiva, la quale implica un obbligo di cessione di partecipazioni eccedenti i limiti di legge a beneficio delle possibili controparti acquirenti), si aggiungono quelli di carattere sostanziale.
C’è, infatti, un contrasto tra la determinazione di questi criteri e l’autonomia gestionale delle Casse. La loro gestione diventerebbe difficoltosa e costosa per il suo carattere di uniformità (in quanto riguarda Casse di dimensioni diverse) e per la sua rigidità. L’equilibrio contributi – prestazioni deve essere stabilito per ogni Cassa in relazione a dimensioni, numero di iscritti e rotazione di contribuenti e aventi diritto alle prestazioni. Il Ministero non può stabilire criteri rigidi e uniformi, con modalità e grado di analiticità che non sono coerenti con i principi dell’articolo 2.2 del decreto legislativo 509/1994 e dell’articolo 3.12 della legge 335/1995. Non può andare oltre l’invito, rivolto alle Casse, di autoregolamentarsi lungo linee guida generali, in modo che ciascuna Cassa possa tener conto della platea contributiva, del patrimonio, delle prestazioni prospettiche.
Si aggiunga che con normative rigide ed uniformi, dettate dal regime del sospetto, le società di gestione del risparmio non sarebbero inclini a collaborare e che le fondazioni di origine bancaria, che hanno problematiche simili, hanno potuto autoregolamentare i propri investimenti, senza essere sottoposte a regole statali uniformi e rigide.
Un vincolo urbanistico gravante su un edificio collocato in una zona urbana impone obblighi che vanno rispettati, ma non fa diventare l’edificio pubblico; né gli obblighi che gravano sui notai, per la funzione pubblica che essi svolgono, li fa diventare funzionari pubblici. Questo vale a maggior ragione per le Casse, perché il vincolo non è disposto nell’interesse pubblico, ma nell’interesse dei privati che beneficeranno delle prestazioni derivanti dalle contribuzioni obbligatorie; e perché lo debbono far rispettare gli stessi amministratori delle Casse, che rappresentano la categoria assistita. Un noto studioso francese, Thomas Perroud, ha scritto di recente un articolo intitolato “Le droit privé est-il l’avenir de l’action public?”, illustrando il progressivo svuotamento dello Stato e del diritto pubblico, perché il diritto privato governa sempre di più l’azione pubblica, e occorre quindi ripensare il diritto privato come un diritto comune all’azione pubblica. C’è una penetrazione del diritto privato molto profonda nell’ambito del diritto pubblico. Di una tendenza di questo tipo si era reso conto il legislatore nel 1993 – 1994, compiendo la riforma delle Casse. In un quarto di secolo si stanno lentamente mettendo in dubbio i benefici di quella lungimirante riforma.
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