Dante elogiò il piacentino come lingua locale
Conversazione con Roberto Laurenzano, presidente della Società Dante Alighieri di Piacenza
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Fu Dante Alighieri che fin dal suo tempo (fine ‘200-inizio ‘300) avvertì la necessità di un’unità linguistica, esigenza più tardi fatta propria anche da Leopardi, De Sanctis, d’Azeglio, Manzoni, anche se la nascita formale della lingua italiana avvenne solo con l’Unità del 1861 e la concreta unificazione linguistica si realizzò con la metà del ‘900, grazie al progressivo abbattimento dell’analfabetismo.
Questo, in estrema sintesi, quanto emerso dalla conversazione che il presidente della Società “Dante Alighieri” Roberto Laurenzano ha tenuto questa sera nella Biblioteca di Campagna (un appuntamento del programma di Celebrazioni per i 500 anni di Santa Maria di campagna, a cura della Comunità francescana e della Banca di Piacenza), avente per tema il ruolo della lingua italiana (quale espressione del legame al territorio), con particolare riferimento a quanto scrisse il Sommo poeta nel De vulgari eloquentia, opera in latino del 1303 «dove Dante – ha spiegato il dott. Laurenzano, presentato dal condirettore generale della Banca Pietro Coppelli – esprime valutazioni sui singoli idiomi local-territoriali esistenti nella nostra penisola, affermando che il numero essenziale degli idiomi parlati era 14. Dopo aver “condannato” il romano, il veneziano, il vicentino, il bresciano, il bergamasco, parla bene del siciliano ma non lo giudica idoneo ad assurgere a lingua generale, date le varie asperità linguistiche e fonetiche. E parla assai bene degli idiomi emiliani, dal “ferrarensis al placentinus”. Tuttavia, il vero linguaggio “pulito” capace di assolvere la funzione di idioma nazionale, è per Dante il “fiorentino illustre del ‘300”».
L’Alighieri aveva dunque elogiato il piacentino come lingua locale. Ma era mai stato a Piacenza? «Non è provato – ha argomentato il relatore -. Si sa solo che nella nostra città aveva un parente, forse un cugino, militare che non godeva proprio di buona fama. Vien allora da pensare che qualora fosse venuto a Piacenza, non lo abbia fatto certo per andare a salutare questo familiare. Dante è stato invece senz’altro nel territorio piacentino, probabilmente a Bobbio, ove esiste un ramo dinastico della famiglia dei marchesi Malaspina, tuttora dimoranti nell’omonimo palazzo. Non si tratta dei Malaspina di Toscana, e precisamente della dinastia di Corrado Malaspina della Lunigiana dal Poeta incontrato nel Canto VIII del Purgatorio, ma tuttavia sempre di un ramo della famiglia stiamo parlando, dove oggi vive un giovane di nome Corrado…».
Il dott. Laurenzano ha quindi fatto un riferimento ai giorni nostri, accennando alla circostanza che la lingua è sempre soggetta a trasformazioni, attraverso neologismi e termini stranieri: «Ma il giusto – ha chiosato – non va confuso né con l’illimitato arbitrio, né con lo “strafalcionismo”, cosa che ai nostri tempi pare sia una grande moda che dà l’illusione di essere colti. Dietro certe esagerate manifestazioni fasulle non vi è invece nessuna cultura, ma solo una buona dose di stoltezza. Di cui purtroppo non ci si rende conto».
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