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La crisi di Governo non ferma il decreto Aiuti bis ma lo snellisce

Governo in carica solo per gli affari correnti, ok a misure emergenziali come il DL Aiuti bis ma niente salario minimo o taglio del cuneo fiscale.

La crisi di Governo non ferma il decreto Aiuti bis ma lo snellisce

La crisi di Governo è intervenuta mentre l’esecutivo stava preparando un “corposo” provvedimento con nuove misure di sostegno a famiglie e imprese per contrastare il caro prezzi e l’impatto economico della crisi internazionale (in primis, guerra in Ucraina): il cosiddetto decreto Aiuti bis è atteso per i primi di agosto e varrà circa 10 miliardi.

Dopo le dimissioni del premier, il Governo è in carico solo per gestire gli affari correnti. Si tratta di un’espressione squisitamente istituzionale, che definisce un raggio d’azione delimitato ma l’approvazione di un decreto legge è consentita.

Il decreto legge è un provvedimento che deve essere caratterizzato da condizioni di necessità e urgenza. E il disbrigo degli affari correnti prevede che, a fronte di un’urgenza, il Governo possa approvare decreti legge. Quindi, dal punto di vista formale, anche in questa fase istituzionale, l’esecutivo può approvare il decreto Aiuti bis. Che, fra l’altro, risponde a una situazione emergenziale, contenendo provvedimenti per sostenere il potere d’acquisto delle famiglie contro il caro prezzi (un nuovo bonus da 200 euro?), e altri per le imprese (per esempio, le agevolazioni fiscali per le imprese energivore). Potrà ad esempio contenere la proroga dello sconto sui carburanti.

Sarà tuttavia meno “corposo” di quanto inizialmente previsto, perchè non potrà contenere misure “politiche”, come ad esempio la legge sul salario minimo (da far eventualmente confluire in Legge di Bilancio). E anche difficile che si possano inserire interventi come il taglio del cuneo fiscale, che va incontro alle imprese ma non è facilmente considerabile misura emergenziale.

Le partite aperte

I primi passi da seguire sono stati definiti con il Consiglio dei Ministri convocato dopo le decisioni del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sulla scioglimento delle Camere.

Dopo il DL Aiuti bis bisogna chiudere le leggi delega rimaste aperte in Parlamento, a partire da quella sulla concorrenza ferma alla Camera (che si sbloccherà perchè è stato deciso di “salvare i tassisti” dalla concorrenza della app stile Uber)  e la riforma della giustizia tributaria ferma al Senato.

Se non si chiudono (almeno) queste partite, non si centrano gli obiettivi del PNRR da raggiungere entro il 31 dicembre (che sono ben 55) e si perdono i 19 miliardi della prossima tranche. Ci sono poi i decreti attuativi legati alla riforma del processo civile e penale e dei servizi pubblici.

Si stacca invece l’acceleratore sulla riforma fiscale, che non rientra negli obiettivi primari del Recovery Plan italiano ma è classificata come misura complementare. Questa e tutte le altre riforme pendenti saranno a carico del nuovo Esecutivo, che dovrà gestirle nell’ultimo trimestre dell’anno assieme alla definizione della Legge di Bilancio 2023, con l’attesa riforma delle pensioni e le integrazioni a quella del lavoro, con le misure su cuneo fiscale e salario minimo.

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