SCINTILLE SUI DECRETI DELLA RIFORMA PENALE
Dal fronte "gialloverde" emergono perplessità su alcune norme che dovrebbero entrare nei testi attuativi di Cartabia
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Se in questi giorni vogliamo parlare di giustizia dobbiamo porci due interrogativi. Primo: che fine faranno i decreti attuativi delle riforme del processo penale e civile? Secondo: come si posizioneranno le coalizioni sul tema durante la campagna elettorale?
In merito alla prima domanda c’è molta attesa sia tra i partiti che tra gli addetti ai lavori. Fonti di via Arenula ci dicono che i testi arriveranno all’attenzione del Cdm nella prossima settimana, essendo stati inseriti tra gli “affari correnti”. Il legislativo del ministero della Giustizia starebbe facendo le ore piccole per ultimare il processo di armonizzazione, ma c’è il serio pericolo che la partita si riveli complicata per la guardasigilli Marta Cartabia. Se qualche giorno fa la responsabile Giustizia del Partito democratico Anna Rossomando ha detto chiaramente che i decreti vanno approvati senza se e senza ma, problemi potrebbero arrivare invece dagli altri partiti.
Nel caso del Movimento 5 Stelle, la responsabile Giustizia Giulia Sarti sostiene infatti che «non ha alcun senso attuare in questo momento delle deleghe su materie divisive: la giustizia penale è già stata un terreno minato. Noi abbiamo portato avanti battaglie a tutela dei cittadini come quella contro l’istituto della improcedibilità in appello, ma adesso, con lo scioglimento delle Camere, l’unica cosa che si può fare è andare ad attuare quelle deleghe sulle quali non ci sono contrapposizioni, come ad esempio quelle relative alla digitalizzazione. Mi riferisco all’implementazione del processo telematico, sia civile che penale. Noi siamo dunque pronti ad approvare quelle deleghe che evitano lo scontro politico, non certamente quelle che, invece, potrebbero minare le esigenze di sicurezza dei cittadini e della tenuta del nostro sistema giudiziario».
Stessa indicazione arriva dal Carroccio: «Per una questione di buon senso – ci dice il deputato della Lega Jacopo Morrone, già sottosegretario alla Giustizia – la prima riforma da approvare sarebbe quella sull’equo compenso, su cui dovrebbe esserci una convergenza amplissima. Credo sia utile procedere con i provvedimenti sui cui c’è una larga intesa all’interno dell’attuale maggioranza, mentre sarebbero da evitare deleghe e materie più divisive. Poi è evidente che valuteremo con attenzione i decreti attuativi una volta che finalmente giungeranno sul tavolo del Consiglio dei ministri e poi delle Commissioni parlamentari di competenza».
I terreni più scivolosi sono quelli relativi alle pene alternative al carcere per condanne sotto i quattro anni irrogate direttamente dal giudice di cognizione; quindi le impugnazioni, i criteri di priorità dell’azione penale, le indagini preliminari.
Per rispondere invece alla seconda domanda con cui abbiamo aperto questo articolo, abbiamo cercato di verificare se è vero che il principio del garantismo, come ci ha detto il sottosegretario alla Giustizia, l’onorevole di Forza Italia Francesco Paolo Sisto, basterà a tenere insieme tutte le anime del centrodestra. Lo abbiamo chiesto ad Andrea Delmastro Delle Vedove, responsabile Giustizia di Fratelli d’Italia: «Ho letto l’intervista all’onorevole Sisto e sono d’accordo con lui sul tema del garantismo. Noi forse ci sentiamo ancora più garantisti di Forza Italia che, seppur al governo, non è riuscita a ripristinare la prescrizione, abolita dall’infausta e sgrammaticata parentesi bonafediana. È pur vero che noi contestiamo uno strano sistema del nostro Paese: quando sei indagato o imputato non esiste la presunzione di innocenza, però poi se subisci una condanna definitiva, grazie a misure alternative o benefici, i condannati trascorrono poco tempo in carcere. Noi riteniamo di essere più garantisti nel processo e decisamente più giustizialisti nell’esecuzione penale. Bisogna garantire la certezza della pena, soprattutto nei confronti dei mafiosi che non possono pensare di uscire di prigione senza aver prima collaborato».
Tuttavia, ci ha detto ancora il parlamentare, «a noi piacerebbe parlare anche di una giustizia civile lenta, che ci costa circa il 2% del Pil, e di una giustizia tributaria in cui il giudice che dovrebbe essere terzo è nominato invece dal Mef, ossia dalla controparte, facendo così ribaltare l’onere della prova a scapito del cittadino o dell’impresa».
Facciamo notare che proprio per via della crisi di governo, la riforma della giustizia tributaria rischia di saltare: «Meglio che non venga incardinata da questo esecutivo, se il risultato deve essere quello raggiunto nella riforma del penale».
Azione e + Europa hanno rilanciato la separazione delle carriere, promossa dall’Unione Camere penali: «Noi abbiamo presentato degli emendamenti in tal senso – conclude Delmastro Delle Vedove – ma è stato proprio il centrodestra al governo a non votarli». Insomma, come già evidenziato nei giorni passati, non va affatto escluso che la giustizia rappresenti ancora una volta un elemento di scomposizione delle alleanze, anche nel futuro Parlamento.
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