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Berlusconi lancia l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione, è scontro tra penalisti e Anm

Il processo è già una pena, che colpisce l’imputato, ma anche la sua famiglia, i suoi amici, il suo lavoro

Berlusconi lancia l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione, è scontro tra penalisti e Anm

Per questo non deve trascinarsi all’infinito, in appelli e controappelli. Quando governeremo noi, le sentenze di assoluzione, di primo o di secondo grado, non saranno appellabili. Un cittadino – una volta riconosciuto innocente – ha diritto di non essere perseguitato per sempre” . Lo scrive su Fb Silvio Berlusconi nella sua pillola quotidiana.

Silvio Berlusconi punta forte sulla giustizia. Il leader di Forza Italia, nella consueta pillola quotidiana sui social in cui evidenza i punti del programma del partito, lancia una proposta che ha immediatamente alzato un polverone.

Ricordando come ogni anno in Italia “migliaia di persone vengono arrestate e processate pur essendo innocenti”, Berlusconi ha attaccato l’attuale sistema giustizia, un processo “che è già una pena che colpisce l’imputato, ma anche la sua famiglia, i suoi amici, il suo lavoro”.

Per questo “non deve trascinarsi all’infinito, in appelli e controappelli”. Dunque l’idea del leader e fondatore di Forza Italia è che le sentenze di assoluzioni “di primo o di secondo grado non saranno appellabili”. “Un cittadino – una volta riconosciuto innocente – ha diritto di non essere perseguitato per sempre”, è la proposta di Berlusconi.

Idea che riceve l’ok di Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali, che ha ricordato come l’inappellabilità delle assoluzioni “è una cinque riforme da noi indicate a tutti i leader politici come imprescindibili per una riforma liberale della giustizia. Se sei stato assolto una volta, nessun secondo giudizio potrà mai eliminare il dubbio”.

Il numero uno dei penalisti ricorda che si tratta di un’ipotesi rilanciata anche dalla commissione Lattanzi, sulla riforma del processo penale, ma poi “sacrificata“. “La legge in tal senso portava la prima firma di Gaetano Pecorella che era parlamentare di Forza Italia ma anche presidente dell’Unione delle Camere penali, ed è vero che la Consulta l’ha dichiarata incostituzionale, ma questa ipotesi è stata rilanciata dalla commissione Lattanzi istituita dalla ministra Cartabia“, sottolinea l’avvocato Caiazza, ricordando che “esplicitamente la commissione si preoccupava di sottolineare che ovviamente la legge delega che suggeriva avrebbe dovuto tenere contro delle ragioni di annullamento da parte della Corte costituzionale. Poiché questa proveniva da una ex presidente dalla Consulta, è certamente una strada praticabile“.

Caiazza sottolinea come la ministra Marta Cartabia abbia “fatto pressoché il massimo, dato il contesto della sua maggioranza. La riforma della Giustizia è un esercizio di equilibrio pressoché impossibile tra le componenti liberali e giustizialiste della maggioranza. Noi abbiamo espresso apprezzamento per questo lavoro – conclude il presidente dei penalisti – ma abbiamo anche detto che però, andando verso una nuova legislatura, non ha più senso ancorarsi a quelle mediazioni forzate”

A mettersi di traverso è pero l’Anm, l’Associazione nazionale magistrati. Il suo presidente Giuseppe Santalucia ha ricordato che “la questione era stata affrontata dal legislatore nel 2006 con la legge Pecorella e la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima quella legge”. “Ci sono principi costituzionali – sottolinea Santalucia – che devono essere necessariamente rispettati. Il tema può essere discusso ma non rappresento nei termini che ho letto, ossia che migliaia di persone siano ingiustamente sotto processo. Questo non rende giustizia al difficile lavoro dei tribunali e del corti nell’accertamento della verità dei fatti”.

Da Il Riformista

 

 

 

 

 

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