Fisco della discordia: dalle flat tax del centrodestra alle patrimoniali del centrosinistra
La campagna elettorale estiva si divide sulle tasse: diverse sfumature di flat tax per Meloni, Salvini e Berlusconi; aumentare le tasse e colpire i “ricchi” per Letta, Bonelli e Fratoianni
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l fisco è materia divisiva ed elettorale per eccellenza. E l’insolita campagna elettorale estiva non fa eccezione. Due sono i principali filoni sulla questione tasse intorno ai quali poi si sviluppano le varie posizioni dei partiti (con diverse sfumature e gradi di “radicalità”): flat tax per il centrodestra e patrimoniale per il centrosinistra.
Le forze che compongono la coalizione più accreditata nei sondaggi concordano sul principio di abbattere la pressione fiscale e di istituire un’aliquota unica e piatta sul reddito. È sul “come” realizzare la flat tax che le posizioni nel centrodestra divergono. La proposta più “radicale” al momento resta quella della Lega. Matteo Salvini vuole estendere la flat tax al 15% a tutti i redditi. In questo senso la legge di bilancio del 2019 (governo gialloverde), che ha introdotto la tassa piatta per le partite Iva con redditi inferiori ai 65mila euro l’anno, sarebbe soltanto la prima fase di un percorso che prevede il passaggio graduale da un’imposta progressiva ad una flat tax per tutti. Una proposta che molti giudicano irrealizzabile, non solo per la critica di “incostituzionalità” genericamente mossa a tutte le proposte di tassazione piatta, ma anche per la sostenibilità economica: la proposta del leader del Carroccio costerebbe alle casse dello Stato circa 50 miliardi di euro.
Un po’ più “moderata” la proposta di Forza Italia. L’idea di Silvio Berlusconi è di realizzare una flat tax al 23% per tutti i redditi. Perché proprio del 23%? Perché il 23% è lo scaglione Irpef destinato oggi ai redditi fino a 15mila euro, che sale poi progressivamente fino al 43 per cento per chi guadagna oltre 50mila euro l’anno. Il partito azzurro vuole dunque eliminare la progressività nelle aliquote Irpef, con un costi stimati intorno ai 30 miliardi l’anno. Decisamente più sostenibile e meno costosa la misura prevista dal programma di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni chiede l’estensione della “no tax area” fino a 12mila euro dagli attuali 8 mila, con l’introduzione di una flat tax incrementale da applicare al 15% solo sulla parte aggiuntiva di reddito prodotto rispetto all’anno precedente. Quindi una azienda che lo scorso anno avesse dichiarato 100mila euro, se quest’anno ne dichiarasse 120mila, su quei venti mila euro in più pagherebbe solo il 15% di tasse. L’idea, come spiegato da Maurizio Leo, responsabile economia e finanza di FdI, è quella di “creare un meccanismo incentivante, a favore di chi crea ricchezza, di chi lavora, di chi si dà da fare, di chi ci crede”. Insomma una sorta di premio di produttività nazionale. Diverse sfumature di flat tax dunque nel centrodestra, che però assicurano i leader non impediranno di trovare una quadra comune. La prima misura su cui tutti sembrano essere d’accordo è quella di alzare a 100mila euro la soglia per le Partite Iva che beneficiano del regime forfettario con aliquota unica e ridotta.
Guai a parlare di flat tax dalle parti del centrosinistra. Il partito democratico preferisce agire sui contributi piuttosto che sulle aliquote Irpef. Lo slogan è “un mese di stipendio in più” e il target, come sempre, sono i lavoratori dipendenti. L’idea del Pd è quella di tagliare i contributi previdenziali che pesano sulla retribuzione lorda dei lavoratori, realizzando un aumento del netto in busta paga. Anche questa misura avrebbe un costo, visto che lo Stato dovrebbe garantire i contributi non versati dal lavoratore. Un peso sulle casse pubbliche di circa 10 miliardi. Ma nella scala delle priorità della sinistra, l’idea di dare più soldi in busta paga ai lavoratori dipendenti, viene senza dubbio dopo un altro richiamo ancestrale: tassare i ricchi. E la “parolaccia” è sempre quella: patrimoniale. Quella del Pd è una versione po’ annacquata e prevede di tassare al 20% le successioni dei patrimoni sopra i 5 milioni di euro, utilizzando poi quei soldi per attribuire una “dote” di 10mila euro ai diciottenni provenienti da famiglie a reddito medio o basso.
Il segretario Letta aveva lasciato la proposta già più di un anno fa, poco dopo la nomina a segretario dei dem, forse per “dire qualcosa di sinistra”. Ma se la proposta di Letta appare un po’ contorta, ci pensano i suoi alleati Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli ad andare dritti al punto. L’alleanza verdi-sinistra nel programma prevede una radicale riforma dell’Irpef basata su una “aliquota mobile crescente che arrivi al 65 per cento per i redditi superiori ai 10 milioni di euro”, oltre a una robusta patrimoniale “sui patrimoni superiori a 5 milioni di euro, con un’imposta progressiva che cresca fino al due per cento oltre i 50 milioni”. Aumentare le tasse, colpire i “ricchi”. Almeno verdi e sinistra hanno il merito di non girarci intorno.
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