Se un avvocato non paga l’affitto e le spese condominiali: cosa rischia?.
Un avvocato ricorre al Consiglio Nazionale Forense contro la sanzione di sei mesi di sospensione dalla professione comminatagli dal Consiglio Distrettuale di Bologna

Tra gli addebiti mossi vi è pure il mancato pagamento delle spese condominiali e dei canoni di locazione, tanto dello studio professionale che dell’abitazione privata.
L’avvocato contesta la prescrizione dell’azione disciplinare e, nel merito, il proscioglimento per non essere stata raggiunta la prova degli illeciti commessi.
La vicenda pone in rilievo gli articoli 5 e 59 del Codice Deontologico Forense (nella sua versione originaria), che impongono all’avvocato di assumere sempre una condotta ispirata ai principi di probità, dignità a decoro, e ciò anche nell’adempimento delle obbligazioni assunte verso soggetti terzi.
Lo scopo è tutelare l’immagine e l’affidamento riposto dal cittadino nella classe forense, ed è proprio per tale motivo che assume pari rilevanza deontologica l’omesso pagamento dei canoni dell’abitazione, e non solo dello studio legale: «…l’art. 64 prevede l’obbligo di provvedere regolarmente all’adempimento di tutte le obbligazioni assunte nei confronti dei terzi senza alcuna limitazione o distinzione tra attività privata e professionale e si traduce in una forte compromissione della credibilità e dell’affidabilità dell’avvocato verso i terzi» (Consiglio Nazionale Forense, sentenza 105/2010).
Al contempo, la strategia difensiva dell’avvocato si fonda sulla distinzione tra illecito istantaneo, ove l’azione si consuma in un lasso di tempo ben definito, ed illecito permanente, in cui l’evento dannoso continua sino alla cessazione della condotta.
Qualificare il comportamento in un senso o nell’altro è fondamentale, poiché l’articolo 51 del Codice Deontologico prevede che l’azione disciplinare si prescrive in cinque anni, nel primo caso dal compimento dell’azione illecita, nel secondo caso dalla cessazione della sua permanenza.
Pertanto, ove nel caso di specie si fosse trattato di un illecito istantaneo – come prospettato dall’avvocato -, la sanzione disciplinare sarebbe stata illegittima in quanto prescritta.
Di diverso avviso è però il Collegio, secondo cui «…le condotte alla stessa ascritte siano da considerarsi più correttamente degli illeciti permanenti/continuati trattandosi di una pluralità di illeciti omissivi (consistenti nel mancato pagamento di somme dovute a terzi…) attualmente permanenti non essendo cessata la condotta posta in essere dall’avv. ____. Quest’ultima non risulta, infatti, aver saldato i debiti nei confronti degli esponenti come dagli stessi confermato in sede dibattimentale e neppure la ricorrente è stata in grado di dimostrare gli intervenuti pagamenti pur avendo offerto di farlo».
A fronte di elementi così decisivi, il ricorso dell’avvocato non può che essere respinto (Consiglio Nazionale Forense, sentenza 55/2022).
Si ritiene, infatti, che la condotta del legale abbia oltremodo leso la credibilità e la fiducia nell’avvocatura, tant’è vero che, nel corso delle testimonianze, era emerso che «…l’immobile di proprietà del marito ___ era stato concesso in locazione all’avv. ____ proprio in considerazione della particolare affidabilità della conduttrice tenuto conto della professione di avvocato dalla stessa svolta e dalle raccomandazioni ricevuta dall’incolpata stessa al riguardo».
Da qui la conferma – inevitabile – della sospensione erogata in primo grado, ancorché nella misura ridotta di due mesi.
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