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Tribunale di Roma: genitore 1 e 2, e non madre e padre sulla carta d’identità elettronica

I giudici accolgono il ricorso di due madri: sul documento rilasciato dal Comune di Roma è necessario indicare le qualifiche neutre di «genitore»

Tribunale di Roma: genitore 1 e 2, e non madre e padre sulla carta d’identità elettronica

«Genitore», unica qualifica per le due madri di una bimba. I giudici del tribunale civile di Roma (XVIII Sezione) hanno accolto il ricorso di due madri per l’identità da scrivere sulla carta d’identità elettronica valida per l’espatrio della figlia. «Il tribunale accoglie parzialmente il ricorso e per l’effetto dichiara il difetto di legittimazione passiva di Roma Capitale».

L’ordinanza è rivolta al ministero dell’Interno e ora il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, « come ufficiale del Governo», «è tenuto ad indicare (apportando al software e/o dell’hardware predisposto per la richiesta, la compilazione, l’emissione e la stampa delle carte d’identità elettroniche le modifiche che si rendessero all’uopo necessarie) le qualifiche «neutre» di «genitore» in corrispondenza dei nomi delle ricorrenti (…)».

Il ricorso delle due mamme era stato portato avanti dalle associazioni Rete Lenford e Famiglie Arcobaleno, che fin dal 31 gennaio 2019 si erano attivate per contrastare il decreto Salvini. L’allora ministro dell’Interno aveva emanato un decreto per modificare la dicitura impressa sulle carte di identità elettroniche rilasciate a minorenni: non più genitori, nei campi previsti per i nominativi delle persone che esercitano la potestà genitoriale, ma «padre» e «madre», anche nei casi in cui le famiglie sono composte da due papà o due mamme. L’adozione del provvedimento andava infatti contro le indicazioni del Garante della privacy e della Conferenza Stato- città e metteva in seria difficoltà le famiglie omogenitoriali: «Migliaia di mamme e di papà, già legalmente tali in forza di legge o di intervenute sentenze di adozione, sono state costrette ( e lo sono ancora oggi) a vedere il proprio nominativo femminile indicato sotto la dicitura «padre» e viceversa il proprio nominativo maschile indicato sotto la dicitura «madre», scrivono le associazioni. La ministra Lamorgese, nel gennaio 2021, aveva annunciato la modifica del decreto durante un question time in Parlamento. Una modifica mai portata avanti, anche a causa del cambio di compagine politica. Per cui di fatto le famiglie omogenitoriali in tutti questi anni si sono trovate a doversi adeguare alla procedura»; oppure ricorrere per via legale. Cosa che hanno fatto le due mamme che hanno vinto al tribunale di Roma, dopo una tortuosa vicenda giudiziaria.

L’ordinanza, ampiamente motivata, tra le altre statuizioni precisa: «Discutendosi, nella fattispecie, del rilascio della Carte d’Identità Elettronica valida per l’espatrio, la falsa rappresentazione del ruolo parentale di una delle due genitrici, in evidente contrasto con la sua identità sessuale e di genere, comporta conseguenze (almeno potenziali) rilevanti sia sul piano del rispetto dei diritti garantiti dalla Costituzione, sia sul piano della necessaria applicazione del diritto primario e derivato dell’Unione europea». Inoltre, riconoscendo di dover «chiudere un ormai troppo lungo discorso su una questione la cui soluzione dovrebbe risultare di immediata percezione», il Giudice ha aggiunto: «La carta d’identità è un documento con valore certificativo, destinato a provare l’identità personale del titolare, che deve rappresentare in modo esatto quanto risulta dagli atti dello stato civile di cui certifica il contenuto. Ora, un documento che, sulla base di un atto di nascita dal quale risulta che una minore è figlia di una determinata donna ed è stata adottata da un’altra donna, indichi una delle due donne come “padre”, contiene una rappresentazione alterata, e perciò falsa, della realtà ed integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico (artt. 479 e 480 cod. penale)». Si attende, ora, un’altra pronuncia, sempre del Tribunale di Roma, relativa a un caso del tutto analogo di due mamme, assistite dall’avv. Mario Di Carlo e dall’avv.ta Susanna Lollini.

«La sentenza rappresenta un importante risultato, raggiunto dopo uno straordinario lavoro di squadra di professionisti e professioniste a cui esprimo la mia gratitudine. Purtroppo, il Governo non ha ancora annullato il decreto e, così, continua ancora oggi a offendere la dignità e l’identità di tante famiglie, che volta per volta dovrebbero chiedere a un Tribunale di disapplicare il ‘Decreto Salvini’ per vedersi riconosciuti i propri diritti fondamentali. Reputiamo questo profondamente ingiusto sia per i tempi e sia per i costi della giustizia», commenta l’avvocato Vincenzo Miri, presidente di Rete Lenford. «Il giudice ha messo nero su bianco quello che già sapevamo: le istituzioni devono tutelare i diritti dei più deboli, in questo caso i minorenni, e non scrivere per legge su documenti ufficiali informazioni false e lesive della dignità delle persone- sottolinea Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno- Chiediamo che il Decreto Salvini venga annullato perché bambini con due mamme o due papà hanno il diritto di veder riconosciuta la loro storia e la loro famiglia».

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