La Corte costituzionale conferma l’obbligo di contribuzione alla Gestione separata dell’Inps per gli ingegneri e gli architetti non iscrivibili a Inarcassa
A mente dell’art. 2, co. 26, della legge n. 335/1995), con decorrenza dal 1° gennaio 1996, è stato previsto l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’Inps dei soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo.
In evidenza
Con l’art. 18, co. 12, del d.l. n. 98/2011 (convertito dalla legge n. 111/2011), quale norma di interpretazione autentica, è stato successivamente disposto che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, e che sono pertanto tenuti all’iscrizione presso l’apposita Gestione separata dell’Inps, sono quelli che svolgono attività il cui esercizio non è subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti previdenziali istituiti per le diverse categorie professionali (istituiti sia in base a leggi preesistenti e trasformati da soggetti pubblici in persone giuridiche private).
Gli enti a cui la norma interpretativa fa riferimento sono le Casse, gli Enti e gli Istituti previdenziali già istituiti per le diverse categorie professionali, trasformati in persone giuridiche private dal d.lgs. n. 509/1994 nonché quelli successivamente costituiti ai sensi del d.lgs. n. 103/1996, di attuazione della delega conferita dall’art. 2, co. 25, della legge n. 335/1995, in materia di tutela previdenziale dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, il cui esercizio è subordinato all’iscrizione ad appositi albi ed elenchi.
Com’è noto, la questione ha dato vita a un ricchissimo contenzioso su tutto il territorio nazionale, con ripetuti interventi della giurisprudenza di legittimità, la quale ha ribadito l’inidoneità del versamento del contributo integrativo a fondare la copertura contributiva necessaria in relazione allo svolgimento di attività lavorativa, data, invece, dall’iscrizione alla gestione separata Inps (v., ex plurimis, Cass. n. 32167/2018).
Come certamente si ricorderà, con la sentenza n. 104/2022, la Corte costituzionale aveva sancito la legittimità dell’obbligo di iscrizione alla gestione separata degli avvocati non iscritti a Cassa Forense o, qualora iscritti, tenuti esclusivamente al versamento del contributo integrativo (non anche di quello soggettivo).
Relativamente agli ingegneri e agli architetti, la regolamentazione di Inarcassa (art. 1, della legge n. 179/1958) impedisce l’iscrizione alla stessa a professionisti che già versano contributi a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata, salvo l’obbligo comunque di corrispondere un contributo integrativo (art. 10, della legge n. 6/1981) e, quindi, per questi soggetti l’Inps pretende l’iscrizione alla sua gestione separata ex legge n. 335/1995.
Con riguardo a detto specifico obbligo, la Corte costituzionale, sebbene sotto diversi profili (come prospettati da un’ordinanza del Tribunale di Catania), è stata chiamata nuovamente a decidere a seguito dell’ordinanza dell’8 febbraio 2022 con la quale il giudice del lavoro del Tribunale di Rieti, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 26, della legge n. 335/1995 e dell’art. 18, co. 12, del decreto-legge n. 98/2011 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 111/2011), per contrasto con gli artt. 3, anche in riferimento all’art. 118, co. 4, 23, anche in riferimento all’art. 41, e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, nella parte in cui prevedono l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata dell’Inps a carico appunto degli ingegneri e degli architetti che, pur essendo iscritti ai relativi albi professionali, non possono iscriversi alla Cassa previdenziale di riferimento in quanto svolgono contestualmente anche un’altra attività lavorativa e sono, dunque, iscritti alla corrispondente forma di previdenza obbligatoria.
Nel giudizio di legittimità costituzionale sono intervenuti sia il Presidente del Consiglio dei ministri, (chiedendo di dichiarare inammissibili e, comunque, non fondate le questioni sollevate), sia il professionista interessato al giudizio di merito a quo (che ha invocato la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata), sia ancora l’Inps (che ha anch’esso invocato la non fondatezza delle questioni).
La sentenza in esame ha dichiarato non fondate le sollevate questioni di legittimità costituzionale.
La sentenza in esame (n. 238 del 28 novembre 2022), nel richiamare la propria recentissima decisione n. 104/2022, premette che con riguardo al parallelo sistema di previdenza degli ingegneri e degli architetti, che, sebbene la legge n. 179/1958, nell’istituire la relativa cassa categoriale, avesse in origine previsto che vi fossero iscritti tutti gli ingegneri e gli architetti che potevano esercitare, per legge, la libera professione, l’art. 2, co. 2, della legge n. 1046/1971 ha successivamente ha stabilito che (con decorrenza dal 1° gennaio 1972), l’iscrizione alla cassa era esclusa per «gli ingegneri ed architetti iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata», esclusione poi ribadita dall’art. 21, co. 5, della legge n. 6/1981, la quale ha però anche previsto (con decorrenza dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore), che «tutti gli iscritti agli albi di ingegnere e di architetto devono applicare una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA e versarne alla cassa l’ammontare indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore».
Come certamente si ricorderà, della legittimità costituzionale di tale esclusione ex lege si è dubitato, ma con la sentenza n. 108/1989 la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 2, della legge n. 1046/1971, nella parte in cui escludeva dall’iscrizione a Inarcassa ingegneri e architetti iscritti a forme di previdenza obbligatoria in dipendenza dell’esercizio di un’altra attività di lavoro autonomo.
Nel perdurare di una tale esclusione, si è posto conseguente problema di individuazione dei soggetti da iscrivere alla Gestione Separata dell’Inps, quest’ultimo risolto con l’interpretazione autentica contenuta nell’art. 18, co. 12, del d.l. n. 98/2011 e, quindi, il legislatore non si è limitato a prevedere che i soggetti tenuti ad iscriversi alla Gestione separata INPS sono quelli che svolgono «attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali», ma ha aggiunto che tale obbligo compete anche a coloro che svolgono «attività non soggette al versamento contributivo agli enti» della categoria professionale di appartenenza.
Nella successiva giurisprudenza di legittimità (a partire da Corte di cassazione, sezione lavoro, sent. n. 30344 e n. 30345 del 2017) è prevalsa l’interpretazione, ormai consolidata in una regola di diritto vivente, secondo cui l’unico versamento contributivo rilevante ai fini dell’esclusione dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata è quello –c.d. soggettivo– correlato all’obbligo di iscriversi alla propria gestione di categoria e suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata posizione previdenziale. Il fondamento di questo principio risiede chiaramente nell’esigenza di «universalizzazione della copertura assicurativa», espressa dagli artt. 35 e 38 Cost., la quale obbliga lo Stato a prevedere che ad ogni attività lavorativa, subordinata o autonoma, sia necessariamente collegata un’effettiva tutela previdenziale.
Costituisce quindi regola di diritto vivente quella secondo cui sono obbligati ad iscriversi alla Gestione separata dell’Inps, non solo i soggetti che svolgono abitualmente attività di lavoro autonomo il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ma anche i soggetti iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie per i quali è preclusa l’iscrizione alla cassa di previdenza categoriale, a cui versano esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti agli albi, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio (sempre con riferimento agli architetti e agli ingegneri, v. per ultimo Cass., sez. lav., sent. n. 20288/2022).
La sentenza in commento rileva che le censure sollevate dal giudice rimettente sono, nella sostanza, largamente sovrapponibili a quelle già scrutinate nella sentenza n. 104/2022, mettendo analogamente in risalto che il legislatore ha costantemente seguito una coerente linea di progressivo ampliamento della tutela previdenziale e, in convergenza con questa tendenza, ha inteso introdurre l’istituto residuale della Gestione separata, finalizzato a colmarne i “vuoti” e a realizzare la finalità dell’estensione, soggettiva ed oggettiva, della tutela medesima.
A ben vedere, la vocazione universalistica della gestione separata (ulteriormente corroborata dai molti interventi legislativi successivi alla legge n. 335/1995 volti ad estenderne l’operatività) consente all’evidenza di affermare, in conformità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., sez. lav., sent. n. 32508/2018, n. 32166/2018 e n. 32167/2018), che tale istituto, lungi dal porsi in posizione di irragionevole distonia rispetto al sistema generale della tutela previdenziale, come assume il giudice rimettente, ne costituisce piuttosto l’imprescindibile momento di compimento e chiusura, assolvendo a una funzione complementare e non già rigidamente alternativa.
Ed ecco allora che la censura di irragionevolezza sollevata dal giudice a quo va ritenuta non fondata, richiamando (e ribadendo) le considerazioni già rese nella sentenza n. 104/2022) in ordine al fondamento costituzionale dell’istituto, la cui ratio –avuto riguardo alla circostanza che la tutela previdenziale assume rilevanza, sul piano costituzionale, sia per i lavoratori subordinati che per i lavoratori autonomi, essendo il lavoro tutelato «in tutte le sue forme ed applicazioni» (art. 35, primo comma, Cost.)– risiede nell’attuazione dell’obbligo dello Stato di dare concretezza al principio della universalità delle tutele assicurative obbligatorie relative a tutti i lavoratori (art. 35 Cost.), rispetto agli eventi indicati nell’art. 38, secondo comma, Cost., nei modi previsti dal comma quarto dello stesso art. 38 (che assegna tale missione a «organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato»).
Ed è quindi in stretta attuazione di tale principio che l’attività professionale degli ingegneri o degli architetti, svolta con modalità che la rendono assoggettata all’imposizione diretta sui redditi, non può rimanere senza copertura assicurativa per il solo fatto che la concorrente ulteriore attività lavorativa, quale quella svolta dagli stessi soggetti con rapporto di lavoro subordinato, comporti già l’iscrizione ad una distinta forma di assicurazione obbligatoria.
Ed è proprio a questa esigenza di copertura assicurativa che supplisce l’obbligo, previsto dalla normativa censurata, di iscrizione alla Gestione separata istituita presso l’Inps.
Del resto, ad avviso del Giudice delle leggi, il meccanismo introdotto dalla norma censurata (che, come detto, individua i soggetti tenuti all’iscrizione nella Gestione separata mediante riferimento eteronomo a norme fiscali e fa dipendere l’obbligo contributivo dal reddito tratto dal lavoro professionale, ove esercitato in via abituale) esclude sia la denunciata irragionevolezza di tale assetto, sia la violazione del canone di proporzionalità.
Diversamente, infatti, da quanto ritenuto dal giudice rimettente, non vi è alcuna analogia tra la situazione in cui si trovano i professionisti già pensionati e la diversa fattispecie degli architetti e degli ingegneri iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o di altra attività.
Invero, va altresì osservato che il meccanismo introdotto dalla norma sulla Gestione separata, la cui decorrenza muove proprio dall’istituzione di tale forma di assicurazione obbligatoria residuale (ossia dal 1° gennaio 1996), è fondato (al pari di quello che regola il versamento del contributo soggettivo alle casse professionali) sul principio di graduazione dell’obbligo contributivo del professionista, la cui entità si incrementa in proporzione al reddito tratto dall’attività professionale; tale principio di graduazione trova quindi nel regime della Gestione separata un’attuazione più rigorosa che nel regime delle casse professionali, stante l’esclusione di un minimale contributivo, sicché l’entità del contributo dipende esclusivamente dall’ammontare del reddito tratto dall’attività professionale abitualmente esercitata (cfr. Cass., sez. un., sent. n. 3240/2010).
La sentenza in commento, con più specifico riguardo al peculiare regime previdenziale degli architetti e degli ingegneri iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di altra attività esercitata, la cassa professionale di riferimento (Inarcassa), chiarisce che quest’ultima, diversamente da altre, non può esercitare il proprio potere di autoregolamentazione estendendo loro l’obbligo di versare contributi utili alla costituzione del diritto a prestazioni previdenziali. Questa preclusione, tuttavia, dipende non già dalla disciplina dell’istituto della Gestione separata, bensì dal divieto introdotto dall’art. 2 della legge n. 1046/1971 e poi confermato dall’art. 21, co. 5, della legge n. 6/1981, che ha posto fuori dalla cassa categoriale di riferimento tutti gli ingegneri e gli architetti titolari di altro rapporto lavorativo e, per conseguenza, di diversa iscrizione previdenziale.
Ove non vi fosse tale specifico divieto, Inarcassa sarebbe libera di esercitare il proprio potere di autoregolamentazione.
In conclusione, quindi, il meccanismo introdotto dalla norma sospettata di illegittimità costituzionale, non solo non si pone in contraddizione con il regime previsto dalle norme speciali costitutive della previdenza categoriale, ma ne integra l’operatività in funzione dell’attuazione di una più ampia finalità mutualistica.
Luigi Pelliccia, avvocato in Siena
Visualizza il documento: C. cost., 28 novembre 2022, n. 238
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