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Tre redditi di di cittadinanza su quattro non sono legittimi

Tra i controlli di legittimità fatti dalla Guardia di Finanza, solo il 25% è risultato pienamente in regola. È anche vero che si tratta di verifiche 'mirate'

Tre redditi di di cittadinanza su quattro non sono legittimi

“Circa i tre quarti dei controlli di legittimità che abbiamo fatto sul reddito di cittadinanza hanno dato esito positivo. Sappiamo, ovviamente, anche scegliere da chi andare, ma sono numeri abbastanza consistenti, che anche in questa regione hanno una manifestazione numericamente significativa”.

L’ha riferito il comandante interregionale della Guardia di finanza dell’Italia centrale, il generale di corpo d’armata, Bruno Buratti, stamane a Cagliari, a margine della visita alla caserma ‘Efisio Satta’ del comando regionale della Sardegna, dove è stato ricevuto dal comandante regionale, il generale di brigata Claudio Bolognese.

“Ci troviamo in una situazione economica e di congiuntura internazionale non facile. Tra l’altro”, ha ricordato Buratti, “proveniamo da una situazione finanziaria che, già prima della crisi pandemica, era già abbastanza aggravata sul fronte del debito pubblico. In questo momento, abbiamo una grande sfida da sostenere, cioè quella della ripresa dell’economia che si basa molto sull’efficacia del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che con i suoi 235 miliardi complessivi, di cui un miliardo e mezzo sicuramente destinato alla Sardegna, gioca un ruolo abbastanza importante”.

Il comandante interregionale dell’Italia centrale, ha puntualizzato che il ruolo della Gdf “è anche quello di garantire che il sistema dell’economia venga disboscato e depurato dai fenomeni di frode, da quelle che definisco attività poste in essere da parassiti che non danno lavoro, che non producono ricchezza ma che, semplicemente, sfruttano il territorio per poi distogliere ricchezza per finalità personali, spesso portandola al di fuori anche del territorio nazionale”.

Tra le varie attività delle Fiamme gialle, Buratti ha evidenziato quella sul fronte delle entrate: “Miriamo a colpire soprattutto i fenomeni di frode strutturale, cioè quelli realizzati da professionisti – ha puntualizzato – che vanno dall’evasione fiscale internazionale, cioè dalla delocalizzazione all’estero da parte di grossi gruppi industriali economici di attività prodotte in Italia. In Sardegna questo è un fenomeno certamente meno presente, rispetto ad altre regioni d’Italia, ma non per questo assente. Ci sono, però, anche nell’Isola delle frodi poste in essere attraverso il noto utilizzo di fatture per operazioni inesistenti”.

Ultimamente si è diffuso il fenomeno delle cosiddette partite Iva ‘apri e chiudi. “Nell’ambito del disegno di legge di bilancio di quest’anno”, ha chiarito il comandante interregionale dell’Italia centrale, “c’è una norma che prevede la previsione della prestazione di garanzia nei confronti di chi dimostra di non essere molto fedele dal punto di vista fiscale ed è il fenomeno per il quale vengono aperte delle partite Iva che poi vengono chiuse a distanza di un anno o un anno e mezzo, per sottrarsi poi agli adempimenti, dopo che si è messo in circolazione un sistema basato sulle false fatturazioni. È un fenomeno che ha una dimensione globale”.

“C’è una percentuale consistente del commercio di prodotti che arriva da oltre Europa, tendenzialmente dall’area asiatica, che concentra tutta l’immissione sul mercato e la competitività sulla base di illeciti”, ha aggiunto il generale. “Parte dall’evasione dei diritti doganali, nel momento in cui questi prodotti entrano all’interno dell’Unione Europea. Sempre più spesso vengono liberalizzati fuori dall’Italia, perché i controlli che si fanno sul territorio nazionale sono abbastanza efficaci e ci si rivolge così ad altri Paesi come la Slovenia, la Grecia o l’Ungheria”. Questi prodotti entrano in Italia con un valore dichiarato fortemente inferiore al reale e qui si innesca una catena di società ‘apri e chiudi’ che fa ‘lievitare’ artificialmente il prezzo del bene.

“Un altro danno deriva dal fatto che attraverso questi passaggi”, ha detto Buratti, “si ‘vestono’ questi prodotti di un’italianità, per una questione di ‘appeal’, che però di italiano non hanno assolutamente nulla. E lo si fa spesso con l’apposizione di etichette ingannevoli come, ad esempio, ‘Italian fashion’, ‘Italian style’ o ‘ideato in Italia’. Si trasforma, insomma, la chincaglieria in prodotti appetibili. La crisi ci mette il resto perché, purtroppo, sono cose che costano meno, ma il mercato viene inquinato. Le attività artigianali nazionali chiudono e vengono sostituite spesso da questi negozi di improbabili prodotti. Noi”, ha concluso il comandante, “faremo, però, di tutto per intervenire tempestivamente nei confronti di questi fenomeni, prima che manifestino effetti dannosi”. 

 

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