Gli Stati Generali della previdenza dei professionisti e la Corte dei conti
Il 1° marzo 2023 è stata pubblicata la sentenza n. 88/2023 della Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello, che ha riformato la sentenza della Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio n. 644/2021.
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La successione dei fatti è interessante e merita di essere ripercorsa per far capire, a chi frequenterà gli Stati Generali della previdenza dei professionisti, che la pensione obbligatoria di primo pilastro non può dipendere dai mercati finanziari, checché se ne dica in quella sede!
Con la sentenza n. 644/2021 la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio aveva riconosciuto la responsabilità di due consulenti per aver fatto ingiustamente sostenere all’Enpam le spese per la ristrutturazione dei titoli finanziari derivati (cd. Cdo) acquistati negli anni dal 2004 al 2007, condannandoli, in via solidale, alla rifusione della somma complessiva di € 39.479.541,60, oltre gli interessi legali e le spese di giudizio. Su impugnativa dei condannati, la Sezione Giurisdizionale di Appello della Corte di Appello ha riformato la sentenza con una motivazione che merita di essere ripresa e segnalata. Secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, proprio la criticità della composizione dei titoli sottostanti aveva comportato la necessità della loro ristrutturazione da parte di Enpam e la loro sostituzione con altri titoli. A parere degli appellanti, a contrario, tale ristrutturazione non sarebbe stata affatto necessaria stante la natura dell’investimento e l’elevato rating dei titoli che ne garantiva la solidità e l’acclusa garanzia di restituzione del capitale alla scadenza. Poiché la scelta di effettuare la ristrutturazione dell’investimento non si sarebbe posta quale scelta necessitata, bensì quale libera e autonoma volontà dei vertici di Enpam di modificare il portafoglio degli investimenti, non condizionata da alcun imminente rischio di perdita del capitale investito, gli appellanti concludevano nell’affermare che doveva essere esclusa la configurabilità di un qualsiasi nesso di causalità tra il danno patrimoniale prodottosi (le spese connesse alla ristrutturazione dei Cdo) e le condotte dei medesimi serbate nella vicenda (la proposizione dell’investimento in titoli Cdo).
Sul punto il Collegio ha rilevato che, come confermato dalle consulenze tecniche acquisite agli atti, l’investimento in titoli Cdo si sostanziava, in vero, in un investimento in obbligazioni con rimborso del capitale alla scadenza, garantito da una pluralità di emittenti, in funzione di un rating assai elevato (AA+ e AAA), cui andava ad aggiungersi un rendimento annuo, la cui misura percentuale dipendeva dall’andamento di indici o titoli sottostanti. Come evidenziato anche nelle relazioni dei consulenti tecnici del P.M. penale, acquisite agli atti del giudizio di primo grado, le Cdo in questione erano state appositamente realizzate per Enpam, unico sottoscrittore, e godevano di una sorta di “cuscinetto di protezione” che garantiva il rimborso integrale del capitale, anche nell’ipotesi in cui i diversi titoli contenuti nel paniere fossero stati colpiti da default.
Orbene, in disparte il rendimento prodotto annualmente dai titoli in questione, la documentazione versata agli atti del giudizio, compresa quella proveniente dalla stessa fondazione ENPAM, conferma, in modo inequivocabile e incontestato, che i titoli strutturali di cui è causa, al momento della loro scadenza (quasi tutti l’anno 2016), non solo non hanno prodotto perdite, ma hanno addirittura generato rendimenti positivi. A tal fine, a parere del Collegio risultano rilevanti le conclusioni contenute nella consulenza del prof. Antonio Salvi del 29.04.2019 laddove, sulla base dell’effettiva evoluzione della prestazione dei titoli Cdo, risulta dimostrato che se Enpam avesse tenuto gli stessi fino alla loro naturale scadenza, non solo avrebbe guadagnato 6,1 milioni di euro ma avrebbe anche incassato le cedole annuali per un importo complessivo di 30,3 milioni di euro. Ne consegue che se Enpam avesse mantenuto i citati titoli nel proprio portafoglio sino alla loro natura scadenza (anno 2016), invece che procedere, con notevole anticipo, alla loro ristrutturazione, (rectius: sostituzione), l’ingente danno patrimoniale, oggetto del presente giudizio contabile, non si sarebbe verificato.
Infatti, tutti i titoli, nonostante le sopravvenienze sfavorevoli verificatisi nei mercati finanziari internazionali a partire dal 2008, se la ristrutturazione non avesse avuto luogo, sarebbero stati integramente rimborsati alla loro naturale scadenza e avrebbero generato anche un rendimento positivo, compresi i tre titoli collocati da Lehman Brothers.
Secondo la Corte dei conti, l’Enpam avrebbe dovuto ponderare con maggiore attenzione e prudenza la decisione di procedere alla ristrutturazione dei Cdo, tanto più che nel 2010 il termine di scadenza risultava ancora lontano (oltre un quinquennio) e che verosimilmente, stante anche la ciclicità degli andamenti dei mercati finanziari, sussistevano ancora ampi margini di recupero delle eventuali perdite (come poi di fatto avvenuto).
Per la Corte dei conti, in buona sostanza, l’operazione di ristrutturazione dei Cdo, cui è conseguito l’ingente danno patrimoniale subito da Enpam, non era affatto necessaria con la conseguenza che deve escludersi qualsiasi nesso di causalità per il danno di cui è causa e le condotte degli appellanti.
Tratto da Diritto e Giustizia
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