Dal Cnf la spinta sulle carriere separate, «sola via per la parità»
Secondo di Giovanni, «uno status del pm separato da quello dell’organo giurisdizionale, oltre a rendere effettivo il valore costituzionale delle parità di armi tra accusa e difesa, favorisce l’imparzialità e la terzietà del giudice
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Ieri pomeriggio il consigliere Cnf Bruno di Giovanni è stato audito dalla commissione Affari Costituzionali della Camera nell’ambito dell’esame delle proposte di legge per la separazione delle carriere, presentate da Enrico Costa (Azione), Roberto Giachetti (Iv), Tommaso Calderone (FI) e Jacopo Morrone (Lega).
Di Giovanni ha ricordato come la «piena e concreta attuazione dell’articolo 111 della Costituzione» passi «attraverso non solo la netta separazione delle funzioni di accusa e di decisione nel processo, ma anche, sul piano dell’ordinamento giudiziario, con la separatezza dei rispettivi ordinamenti».
Secondo di Giovanni, «uno status del pm separato da quello dell’organo giurisdizionale, oltre a rendere effettivo il valore costituzionale delle parità di armi tra accusa e difesa, favorisce l’imparzialità e la terzietà del giudice, collocando le parti in posizione equidistante da chi esercita la funzione giudicante, realizzando un modello processuale triadico».
Ovviamente, ha chiarito il consigliere Cnf, non è in discussione «l’autonomia ed indipendenza della magistratura, in tutte le sue funzioni, sia del giudice che del pm, e, aggiungiamo, anche dell’avvocato, che deve poter esercitare la funzione difensiva nel processo in posizione paritaria rispetto all’accusa, superando le concezioni che identificano il pm quale organo imparziale o parte imparziale o quale soggetto non portatore di interessi che si muove solo per l’attuazione della legge, con funzioni che si vorrebbero assimilabili a quelle del giudice».
Secondo di Giovanni, «coloro che si oppongono alla separazione delle carriere la indicano alla stregua di un mezzo per ledere l’indipendenza della magistratura e sottomettere così il pm al potere esecutivo. I più raffinati evocano il valore della comune cultura della giurisdizione e ne fanno discendere l’esigenza di conservare quella unicità per mantenere il pm nell’ambito di tale cultura e scongiurare la paventata sua trasformazione in una sorta di super-poliziotto».
A tali argomenti va ribattuto che «la cultura della giurisdizione, comunque la si voglia intendere, per essere davvero un valore, dovrebbe essere patrimonio comune, non solo dei giudici e dei pm, ma anche di tutti gli altri soggetti chiamati a esercitare funzioni processuali, quali gli avvocati difensori».
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