Produrre in giudizio corrispondenza riservata è illecito istantaneo
Per il Consiglio Nazionale Forense la violazione del divieto di cui all'art. 48 CDF è un illecito deontologico di carattere istantaneo
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Ai fini della prescrizione dell’azione disciplinare, “la violazione del divieto di cui all’art. 48 cdf è un illecito deontologico di carattere istantaneo, che si consuma ed esaurisce al momento stesso della produzione in giudizio della corrispondenza riservata tra colleghi”. E’ quanto ha ricordato il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 221/2022 pubblicata sul sito del codice deontologico il 13 aprile 2023 (sotto allegata).
Nella vicenda, a presentare ricorso è un’avvocatessa che si vedeva irrogata la sanzione disciplinare dell’avvertimento per aver prodotto in giudizio un fax contenente una proposta transattiva in nome e per conto della controparte contenente espressa dicitura “riservato non producibile in giudizio”.
La professionista si difendeva sostenendo che la dicitura era scritta con “caratteri molto più piccoli rispetto al resto della missiva e tali da non essere, per lei, distinguibili ad occhio nudo, essendo affetta da presbiopia, tanto che all’udienza avanti il Presidente del Tribunale, a fronte delle rimostranze del collega, a riprova della buona fede, aveva addirittura negato che il fax prodotto presentasse tale dicitura”.
Il CDD riteneva provato documentalmente il fatto di cui al capo di incolpazione e, contrariamente a quanto rilevato dalla difesa, ravvisava la sussistenza sia dell’elemento soggettivo che di quello oggettivo della violazione deontologica contestata, irrogando la sanzione attenuata dell’avvertimento, in luogo di quella edittale della censura, attesa la non eccessiva gravità del fatto contestato e la prognosi favorevole sul futuro comportamento dell’incolpata.
In ordine all’elemento soggettivo, il Collegio valorizzava la giurisprudenza del CNF, “secondo cui per integrare l’elemento psicologico dell’illecito disciplinare è sufficiente l’elemento della suità della condotta, intesa come volontà consapevole dell’atto che si compie”. Pertanto, a parere del CDD, non poteva revocarsi in dubbio il fatto che nel caso concreto l’incolpata avesse avuto “certamente coscienza e volontà, secondo i profili indicati dall’art. 4 C.D.F. della condotta mantenuta che, nella sua materialità, configura violazione dell’art. 48 CDF”.
Quanto, poi, alla condotta di cui all’art. 48 CDF, il CDD rilevava che “l’avvocato non deve produrre, riportare in atti processuali o riferire in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi, qualificata come riservata, nonché quella contenente ‘proposte transattive e relative risposte’ e, nel caso di specie, dall’istruttoria dibattimentale era emerso senza alcuna incertezza che la ricorrente aveva prodotto nel giudizio per ATP una lettera con dicitura ‘riservato non producibile’ contenente una proposta transattiva, e per ciò solo non producibile in giudizio.
Quanto al trattamento sanzionatorio la Sezione Giudicante riteneva di infliggere all’incolpata la sanzione attenuata dell’avvertimento, in luogo di quella edittale della 3 censura, attesa la non eccessiva gravità del fatto contestato e la prognosi favorevole sul suo futuro comportamento.
Interpellato dalla legale, il Consiglio Nazionale Forense dà ragione al CDD e rigetta il ricorso. Tuttavia, il CNF dà atto della intervenuta prescrizione disciplinare, posto che la stessa “è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, e va esaminata prioritariamente rispetto al merito della vicenda in quanto, ove accolta, renderebbe superfluo l’ulteriore esame del merito”.
La violazione deontologica in parola è “di carattere istantaneo, che si consuma ed esaurisce al momento stesso della produzione in giudizio della corrispondenza riservata tra colleghi”. per cui è dalla data della commissione del fatto che inizia a decorrere il termine prescrizionale che, nel caso di specie, essendo la vicenda successiva all’entrata in vigore della l. n. 247/2012 “è pari a 6 anni dal fatto e, in presenza di atti interruttivi, tale termine non può essere prolungato di oltre un quarto”. In nessun caso, quindi, “il termine prescrizionale complessivo può essere superiore a sette anni e sei mesi” (v. Cass. Sez. Unite n. 23746 del 28.10.2020).
Conseguentemente, il Cnf dichiara l’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare nei confronti della ricorrente in relazione all’illecito disciplinare a lei ascritto e rigetta nel resto il ricorso.
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