Anno: XXVI - Numero 07    
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I medici di famiglia con i capelli sempre più bianchi

I dati Agenas: professionisti sempre più anziani e con sempre più pazienti. "Bisogna rendere di nuovo attrattiva la professione". Ma nel 2025, a causa dei pensionamenti, 4,5 milioni di italiani non avranno il dottore

I medici di famiglia con i capelli sempre più bianchi

Grande esperienza ma anche stress e stanchezza. I medici di famiglia italiani sono anziani. Non come la gran parte dei pazienti che entrano nei loro studi ogni giorno ma comunque hanno i capelli sempre più grigi, quasi bianchi. Oltre un terzo di loro ha infatti più di 66 anni. Quelli che si sono laureati da almeno 27 anni, e cioè hanno oltre 52-54 anni, sono tre quarti del totale, quindi circa 30 mila su 40 mila. I numeri disegnano freddamente lo scenario ma le conseguenze sono tutte molto “calde” perché assistenziali: la medicina territoriale nel nostro Paese è praticata soprattutto da adulti maturi mentre i giovani freschi di studi sono pochissimi. Il tutto mentre il numero assoluto di questi professionisti cala, altro aspetto che incide sulla qualità dell’offerta in modo importante e mentre il lavoro è sempre più, dicono gli stessi medici, burocratizzato.

Sono i dati di Agenas, l’Agenzia sanitaria nazionale delle Regioni, a raccontare di quanto lontano sia arrivato il problema di ricambio generazionale di questa disciplina medica. I dottori di famiglia laureati da meno di 6 anni nel nostro Paese sono appena 666. Quelli che hanno un’anzianità da 13 a 20 anni, quindi professionisti anche di 45 anni, sono sempre pochi, cioè circa 2 mila. E invece nella categoria degli “over 27” si trovano, come detto, la bellezza di 30 mila professionisti. Il risultato ha vari aspetti preoccupanti. Intanto per quanto riguarda il futuro. Visto che l’età è così spostata vicino alla pensione, i dottori attivi tendono a diminuire, visto che i giovani che entrano ogni anno sono meno di coloro che vanno in pensione. La conseguenza è che ogni medico ha un numero sempre più alto di pazienti, cosa che ovviamente rende l’assistenza più difficile. Siamo a una media di 1.237 persone per medico ma sono tantissimi coloro che hanno sfondato il limite massimo, che sulla carta sarebbe di 1.500, cioè il 42%. Molte Regioni hanno così dato il via libera all’aumento del numero degli assistiti, fino a 1.800 e anche oltre.

Ma per capire il vicolo cieco nel quale si è infilata l’assistenza territoriale bisogna sempre prendere uno dei numeri di Agenas, quello nel quale si stima quale sarà il risultato del rapporto tra ingressi e uscite nel 2025. Tra l’altro si tratta di una stima ottimistica, perché si considerano solo i pensionamenti come motivo di interruzione del lavoro e non anche altre cause. Ebbene tra due anni e mezzo saranno entrati poco più di 10 mila giovani medici ma avranno interrotto il rapporto di convenzione col sistema sanitario nazionale in 13.780. La differenza è di 3.600 professionisti, che equivalgono a poco meno di 4,5 milioni di italiani che non avranno più il medico o meglio dovranno andare a “pesare” su quelli rimasti, che vedranno aumentare il numero degli assistiti. A scapito della qualità dell’assistenza.

Anche pensando a questo problema, nel decreto Milleproroghe si è alzata l’età pensionabile di questi dottori da 70 a 72 anni. Ovviamente il prolungamento è volontario. L’effetto sarà quello di avere medici di famiglia sempre più anziani. “Il problema è che al momento non tutte le Asl applicano la legge, in attesa che si esprimano le Regioni. Ma non dovrebbe essere così”, dice Silvestro Scotti, segretario della Fimmg. Secondo lui la situazione è pesante anche perché la professione del medico di famiglia non attrae i giovani laureati. “Innanzitutto non bisogna continuare a ritardare i bandi di concorso per la medicina di famiglia. Ad oggi siamo in ritardo rispetto ai bandi che le Regioni dovevano fare a febbraio. Così finisce che i neolaureati vanno a fare gli specializzandi. Più in generale, dovremmo avere più strumenti a disposizione, per primi quelli diagnostici, per attrarre i laureati, che sennò preferiscono altre strade. I giovani vedono un disinvestimento nella medicina generale. Non vedono un futuro chiaro e positivo e quindi non vengono”.

Da La Repubblica

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