"Nessun bavaglio agli avvocati, o sarà mobilitazione"
"Sinteticità degli atti: decreto irricevibile. L'avvocatura dirà no a qualsiasi tentativo di soffocare il diritto di difesa"
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Intervista su Il Dubbio, a firma di Gennaro Grimolizzi, del Presidente del Consiglio Nazionale Forense Francesco Greco. «Il provvedimento sulla sinteticità degli atti preparato dal legislativo di via Arenula soffoca la tutela dei diritti. Vorrebbero imporci non più di 10 parole chiave: per dirlo, loro ne hanno usate 12»
Gli Stati generali dell’avvocatura, convocati dal Consiglio nazionale forense in accordo con Ocf, Cassa forense e tutti gli Ordini territoriali, saranno l’occasione, il prossimo 14 giugno a Roma, per discutere sul presente e sul futuro della professione. Soprattutto sul presente, considerato che i recenti provvedimenti, compreso il decreto del ministro della Giustizia sulla redazione degli atti giudiziari, hanno provocato forti perplessità. Il rischio è che venga fortemente svilito il ruolo e il lavoro degli avvocati in nome dell’attuazione degli impegni assunti con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. «I diritti non si toccano – dice al Dubbio il presidente del Cnf, Francesco Greco – e un decreto del ministro della Giustizia non può sopprimere il diritto di difesa».
Presidente Greco, gli Stati generali dell’avvocatura si collocano in un momento storico molto particolare e delicato?
Gli Stati generali sono stati convocati perché avvertiamo gravissime preoccupazioni. Temiamo che i provvedimenti che dovranno essere approvati dal governo, in attuazione del Pnrr, piuttosto che aprire un percorso virtuoso, per il miglioramento della giustizia e della difesa dei diritti, finiscano per soffocare la tutela dei diritti. In questi giorni si discute molto sui limiti di pagine delle difese negli atti degli avvocati. Un argomento per il quale abbiamo alzato il livello della soglia di preoccupazione. È impensabile che il percorso per risolvere i problemi della giustizia passi impedendo agli avvocati di poter difendere i propri assistiti. Non può essere un decreto o un regolamento del ministro a sopprimere quanto sancito dall’articolo 24 della Costituzione, che guida il principio di civiltà giuridica del nostro paese.
Il decreto ministeriale si sofferma, tra le varie cose, sulla lunghezza degli atti difensivi indicando una serie di elementi, come il numero delle pagine che devono comporre il documento. Un diritto di difesa imbrigliato?
Il diritto di difesa, che deve essere assicurato a tutti, non può essere compresso. L’ufficio legislativo del ministero della Giustizia ha elaborato il testo che è circolato in questi giorni. Qui si stabiliscono limiti ben precisi, si pensi a quello di due sole pagine per le note di udienza, compresa l’indicazione delle parti, il nome del Tribunale e tutti i riferimenti che servono ad individuare l’atto. Nella nota diffusa dal ministro c’è scritto che l’atto difensivo deve contenere le “parole chiave” nel numero massimo di dieci. Si specifica, inoltre, che sono “parole chiave” quelle che consentono di identificare l’atto giudiziario. Il ministero ha usato dodici parole per spiegare cosa sono le parole chiave. Agli avvocati si chiede invece in dieci parole di dare illustrazione del contenuto dell’atto giudiziario. Abbiamo convocato gli Stati generali perché gli avvocati non si lasciano imbavagliare. Non consentiremo a nessuno di sopprimere il diritto di difesa.
Dunque, gli Stati generali sono una prima fase di analisi e proposta. Qualora le istanze dell’avvocatura che emergeranno il 14 giugno non fossero accolte, cosa farete?
Se sarà necessario, noi proclameremo una astensione infinita fino a quando non saranno rimossi certi principi di inciviltà giuridica. Su questo non faremo sconti a nessuno. Noi abbiamo fatto delle osservazioni, volte a contemperare il principio di chiarezza degli atti e di sinteticità degli atti. Badiamo bene, però, sinteticità non vuol dire sminuire il contenuto degli atti, ma significa togliere tutto ciò che è superfluo. Abbiamo dato alcune indicazioni al ministero della Giustizia e aspettiamo che le stesse vengano prese in considerazione. In caso contrario, noi non siamo disponibili a mediare. Dopo gli Stati generali, credo che chiameremo a raccolta tutti i parlamentari-avvocati, i quali non potranno nascondersi dietro al vincolo di partito. Gli chiederemo di scendere in piazza con noi. Sono stati eletti dal popolo e dovranno rendere conto al popolo per quello che stanno facendo. Su questo metteremo in mora il Parlamento. Quando si tratta di discutere sui diritti dei cittadini, un eletto non può dimenticarsi del ruolo di parlamentare e di avvocato soltanto perché il partito di appartenenza dà indicazioni rispetto a come votare. L’auspicio è che i parlamentari-avvocati partecipino agli Stati generali del 14 giugno prossimo, affinché si rendano conto sulla fondatezza dei timori dell’avvocatura.
Nell’importante appuntamento di Roma grande attenzione sarà rivolta all’esame di abilitazione per la professione di avvocato.
Certamente. Il Consiglio nazionale forense ha fatto una proposta per la riforma degli esami di abilitazione. Terminata l’emergenza pandemica, abbiamo presentato al governo una proposta che prevede un atto giudiziario scritto, a scelta del candidato, in materia civile, penale o amministrativa. Superata la prova scritta, ci saranno gli orali con un caso giuridico da risolvere. Gli orali verterebbero su tre materie a scelta del candidato tra civile, procedura civile, penale, procedura penale e amministrativo. A queste si aggiunge la materia obbligatoria in deontologia e ordinamento forense. Speriamo che il nostro progetto venga approvato. Oltre alla riforma degli esami, poi, vorremmo soffermarci sul tema dell’accesso alla professione. Un percorso che tenga conto anche della formazione dei giovani, partendo dall’università. Vorremmo aprire un dialogo con le università per prevedere percorsi formativi per i giuristi con basi diverse dal percorso universitario attuale. Il mondo è cambiato e gli studi universitari devono tener conto di una società profondamente diversa rispetto al passato.
Il Csm ha redatto un parere sul decreto ministeriale che impone chiarezza e sinteticità degli atti del processo civile. Il documento, approvato all’unanimità dal plenum, è stato inviato al ministro della Giustizia e ha rilevato, tra le altre cose, che i tempi brevi per l’entrata in vigore delle nuove disposizioni potrebbero “creare non poche difficoltà ai professionisti”. Cosa ne pensa?
Il Consiglio superiore della magistratura fa riferimento al testo del protocollo approvato per il ricorso per Cassazione, che prevede un limite di trenta pagine. II giudizio in Cassazione è di legittimità, e vi si deve stabilire se le norme applicate nella sentenza che si impugna sono state interpretate in modo corretto o in modo non corretto. In primo grado, invece, con la riforma Cartabia, se non riversi nello scritto difensivo tutto quanto, successivamente non puoi più farlo e si creano delle preclusioni che ti bloccano il processo. Mentre in Cassazione ci si sofferma sulla applicazione di una legge, con una valutazione soltanto sulla legge, in primo grado c’è tutta la parte in fatto, di merito, che deve essere sviluppata ed inserita per intero, e non è possibile farlo successivamente. Pertanto, il paragone tra Cassazione e giudizio di merito è inappropriato. Le trenta pagine del ricorso per Cassazione equivalgono a cento pagine per il giudizio di merito.
Da Cnf
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