Anno: XXV - Numero 218    
Mercoledì 27 Novembre 2024 ore 13:40
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In pensione con 7 anni di anticipo

Il Decreto Crescita potrebbe introdurre un nuovo maxi-scivolo pensionistico con il quale le aziende con oltre 1.000 dipendenti potrebbero favorire l’accesso alla pensione per i lavoratori in esubero.

In pensione con 7 anni di anticipo

La riforma delle pensioni non si ferma: per favorire il ricambio generazionale nel mercato del lavoro potrebbe essere introdotto un nuovo maxi scivolo pensionistico che consentirebbe ai lavoratori in esubero di andare in pensione con 7 anni di anticipo rispetto a quanto previsto dall’attuale normativa.

Di nuovo maxi-scivolo per la pensione se ne parla in un emendamento del decreto crescita; si tratta di una misura simile all’anticipo pensionistico per Quota 100, visto che ne presenta i caratteri peculiari come la necessità che all’uscita anticipata dei dipendenti in esubero ne segua un dettagliato programma di assunzioni.

Lo scopo di questa misura, infatti, è quello di aiutare le aziende a “liberarsi” dei lavoratori ormai in esubero e di sostituirli con giovani leve. È necessario che le nuove assunzioni avvengano con contratto a tempo indeterminato o con contratto di apprendistato professionalizzante.

Lato dipendenti c’è il vantaggio di andare in pensione con 7 anni (massimo) di anticipo, percependo in questo periodo un’indennità finanziata dall’azienda stessa.

Si tratta quindi di una misura conveniente ambo le parti; tuttavia per portare a termine la procedura è prevista una trattativa molto complessa che vede anche l’introduzione di una nuova tipologia di accordo. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta e come funziona questo nuovo maxi-scivolo pensionistico.

Nuovo maxi-scivolo per la pensione: come funzionerebbe?

Il Decreto Crescita potrebbe contenere un nuovo scivolo pensionistico; utilizziamo il condizionale perché il testo di conversione in legge del decreto deve essere ancora approvato, quindi al momento non c’è ancora nulla di ufficiale.

Tutto però sembra andare in questa direzione, con il nuovo maxi-scivolo che sarà d’aiuto alle aziende che vogliono assumere giovani leve ma non riescono a farlo perché hanno difficoltà a “liberarsi” dei lavoratori in esubero. Con questa misura si riesce a farlo favorendo l’uscita dei dipendenti fino a 84 mesi di anticipo dalla pensione, ma solo quando questo è giustificato da un dettagliato programma di assunzioni.

Non solo: le aziende che intendono aderire a questa nuova misura devono anche presentare un progetto di formazione per una riorganizzazione in chiave tecnologica.

Già queste condizioni ci danno un’idea su a chi si rivolge questa misura, ossia alle grandi aziende. Ed effettivamente nell’emendamento si legge che possono usufruire del nuovo maxi-scivolo pensionistico solamente quelle aziende dove sono impiegati più di 1.000 dipendenti. Inoltre è bene sottolineare che si tratta di una misura limitata nel tempo, visto che se ne può usufruire fino al 31 dicembre 2020.

Affinché all’azienda venga riconosciuta la possibilità di aderire a questo piano di ricambio generazionale, quindi, bisogna che questa dimostri di voler attuare un ambizioso piano assunzioni e di riorganizzazione in chiave tecnologica.

A tal proposito verrà effettuata una trattativa sia con il Ministero del Lavoro che con i sindacati di categoria e una volta giunti ad un accordo bisognerà che ogni parte in causa firmi un “contratto di espansione”, la nuova modalità contrattuale – che si sostituisce ai contratti di solidarietà espansiva previsti dal Jobs Act – introdotta appositamente per la gestione di queste transizioni.

Si tratta quindi di una misura simile all’isopensione (modificata dalla Fornero), ma secondo le prime stime quest’ultima dovrebbe essere meno onerosa – e quindi più conveniente – per l’azienda dal momento che, ad esempio, non c’è alcuna fidejussione da depositare all’Inps.

Al lavoratore in esubero, quindi, viene consentito il pensionamento con sette anni di anticipo dal raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni di età e 20 anni di contributi) o anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, uno in meno per le donne).

In questo periodo percepisce un’indennità mensile “commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del contratto” liquidata – anche in un’unica soluzione – dall’azienda stessa.

I costi per lo Stato quindi saranno minimi: si parla infatti di appena 30 milioni di euro per il 2019, più altri 40 per il 2020.

Fonte Money.it

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