La fiducia fondata sulla conoscenza: un nuovo concetto di sede notarile
I temi dell’assistenza del notaio alla propria sede e dell’utilizzo dell’ufficio secondario sono molto delicati, perché si collegano a quelli della competenza territoriale dei notai e della concorrenza tra loro.
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Sono questioni delicate anche perché le regole che le disciplinano devono fare i conti con la sempre crescente facilità di spostamento delle persone (inclusi gli stessi notai) e di circolazione delle informazioni e dei documenti; e con lo sviluppo di strumenti tecnologici che consentono alle persone e alle informazioni di incontrarsi e di essere scambiate anche senza spostamenti fisici nello spazio.
Ci si deve chiedere se le riforme normative intervenute nel corso degli anni abbiano consentito alla Legge Notarile e al nostro Codice Deontologico di stare al passo coi tempi e quali siano, nella prospettiva di nuove riforme, le scelte da compiere.
Da un lato, abbiamo gli interessi di chi fruisce del servizio notarile.
I criteri in base ai quali le sedi notarili sono distribuite capillarmente in tutto il territorio italiano mirano a garantire la agevole fruizione di questo servizio – che è esercizio di una funzione pubblica – da parte di tutti, cittadini e imprese.
Anche le norme che regolano l’assistenza alla sede, l’utilizzo dell’ufficio secondario e la loro organizzazione sono tutte orientate a rendere effettivo e semplice l’accesso alla nostra funzione: il notaio deve tenere nel Comune assegnatogli uno studio “aperto” e deve “assistere personalmente” al medesimo per “almeno tre giorni a settimana”. Ancora, deve “esporre al pubblico l’avviso con l’indicazione dei giorni e delle ore in cui lo studio è aperto ed egli vi assiste personalmente e del luogo in cui, negli altri giorni e nelle altre ore, le parti possono fargli pervenire le loro comunicazioni”.
Nel suo studio, il notaio deve organizzare una struttura che “per luogo e mezzi sia idonea ad assicurare il regolare e continuativo funzionamento dell’ufficio e la custodia degli atti, registri e repertori”; occorre anche “l’organizzazione di un congruo orario di apertura secondo le esigenze della sede“.
Dall’altro, abbiamo il diritto del notaio (come di qualsiasi altro operatore economico) alla libertà di stabilimento. E anche il suo diritto ad agire lealmente in concorrenza con altri notai.
È un confronto tra esigenze di matrice pubblicistica e istanze di natura privatistica, entrambe legittime. Un confronto che può evolvere in un conflitto, tant’è vero che ha dovuto occuparsene la Corte di Cassazione: nella sentenza 19 giugno 2015 n. 12732 si legge che le regole vigenti non sono poste a presidio di un interesse corporativo o di cartello, volto a regolare la concorrenza tra professionisti in danno del mercato, ma del regolare e continuo funzionamento dell’ufficio cui il notaio è stato assegnato; e non può trovare spazio un’interpretazione che incida, alterandola, sulla ripartizione dei notai nell’ambito del territorio nazionale, che potrebbe risultarne sostanzialmente pregiudicata.
Si capisce leggendo quanto il rapporto tra istanze pubblicistiche e privatistiche sia instabile: la Suprema Corte prima dice: “niente corporativismo, niente danno al mercato”; ma poi dice “non si alteri il principio pubblicistico della presenza capillare dei notai in tutto il territorio”.
La libertà di stabilimento del notaio è indiscutibilmente limitata. L’assegnazione della prima sede dipende dalla sua posizione nella graduatoria del concorso e da quali siano i Comuni che il Ministero di Giustizia decide di rendere disponibili per i neo-vincitori. Il trasferimento da una sede all’altra non può essere deciso liberamente, ma sempre attraverso un concorso, e sempre verso uno dei Comuni tra i quali il Ministero consente ai notai in esercizio di scegliere.
La matrice pubblicistica del principio della distribuzione capillare sul territorio si collega ad una scelta dello Stato che viene a mio avviso sottovalutata: si vuole che il notaio sia un profondo conoscitore delle connotazioni sociali, storiche, economiche, culturali, del territorio in cui opera. E questa conoscenza richiede – per i notai che non abbiano sede nel luogo in cui sono nati e cresciuti o in cui hanno studiato – tempo.
È una scelta che trova riscontro e fondamento nelle diversissime tradizioni giuridiche che caratterizzano le diverse aree geografiche del Paese: chiunque di noi abbia la fortuna di incontrare colleghi con sedi distanti dalla propria può facilmente accorgersi di quanto siano diversi gli istituti che i notai di ogni area – in aggiunta ad una “gamma” comune per tutti – utilizzano quotidianamente. E non si tratta solo della diversa tipologia di atti; si tratta anche del diverso modo con cui le trattative contrattuali si svolgono; del diverso ruolo riconosciuto dalle parti al notaio e ad altri professionisti; del diverso coinvolgimento del notaio nella contrattazione preliminare; nel diverso livello di personalità del rapporto tra notaio e clienti (non parlo della prestazione, ma del rapporto).
Le diverse tradizioni incidono sul modo in cui il notaio esercita le sue attività fondamentali dell’indagine della volontà delle parti e del suo adeguamento alla legge. E anche sulla esplicazione concreta del suo dovere di consiglio.
Questa scelta dello Stato di avere notai che siano profondamente radicati nel territorio è superata dai fatti?
I clienti possono fruire delle prestazioni di un numero di notai largamente superiore rispetto a quanto avveniva nel passato: le persone possono spostarsi, i documenti e le informazioni possono essere trasmessi e scambiati da lontano. Le attività di istruzione di un atto notarile possono essere, rispetto al passato, molto più “documentali” e molto meno “orali”, senza che questo faccia in alcun modo venire meno la compiuta indagine della volontà né la personalità di tale indagine.
In più, anche i notai hanno facoltà di muoversi molto più che in passato: fino a pochi anni or sono potevano farlo solo entro i confini del loro distretto di appartenenza; oggi possono farlo entro i confini di una intera regione (o del distretto di una Corte d’Appello inter-regionale); possono aprire un ufficio secondario entro gli stessi, ampi, confini; possono utilizzare (senza violare la regola della unicità dell’ufficio secondario) gli studi di uno o più notai associati che siano ubicati entro quei confini.
C’è il rischio che l’incontro, il contatto tra il notaio e il cliente sia più “casuale”, meno fondato rispetto a prima sull’appartenenza ad un uguale contesto. E non è una questione solo geografica, da considerare solo in termini di spazio; al contrario, è un problema sociale, culturale ed economico.
Le norme oggi vigenti in materia di facoltà di rogito descrivono indubbiamente il territorio di una regione come un unico spazio geografico in cui il notaio può spostarsi, ma non si può per questo affermare che quel territorio ospiti un “ambiente” economico, storico, culturale e sociale unico e omogeneo.
Ha senso sostenere che un notaio il quale operi in una grande regione come la Lombardia, la Sicilia, il Lazio o la Campania sia il “profondo conoscitore” di una comunità fatta di milioni di soggetti, persone fisiche e giuridiche?
Se non ha senso, dobbiamo pensare che le regole che hanno riunito più contesti spaziali un tempo separati in uno solo abbiano fatto giustizia di quel collegamento tra notaio e clienti qualificabile come appartenenza ad una stessa comunità?
Potremmo concludere, norme alla mano, che la risposta sia proprio questa; che lo Stato abbia cambiato la sua scelta e che lo abbia detto testualmente riformando le regole.
Ebbene, questa conclusione ne porta con sé altre che attengono anche alla “personalità”.
Qui occorre subito dire con chiarezza che la prestazione del notaio può essere pienamente “personale” anche qualora il notaio, prima di eseguirla, non abbia mai avuto rapporti con le parti e sia destinato a non averne neanche in seguito.
Ma la legge, e ancora prima la funzione, richiedono solo la personalità della prestazione o anche la personalità del rapporto?
Se ci pensiamo, anche l’accertamento dell’identità delle parti è passato da una dimensione fattuale basata sulla conoscenza personale diretta (o indiretta, con l’utilizzo dei fidefacienti) ad una dimensione squisitamente documentale. E allora potremmo dire che la personalità del rapporto non sia (più) richiesta.
Ma le cose si complicano quando entra in gioco un altro dovere del notaio che è fortemente influenzato dalla personalità del rapporto: mi riferisco all’indagine della volontà e al suo adeguamento alla legge.
Può il notaio indagare – nel senso di comprendere a fondo – la volontà delle parti se non è partecipe delle loro stesse tradizioni culturali, sociali e giuridiche?
Io penso che la risposta che deriva dalla lettura formale delle norme sia solo una di quelle possibili, e non necessariamente la migliore; ma è comunque quella che consente di soddisfare l’indubitabile esigenza che vi sia oggettività nell’esercizio delle attività di controllo.
E allora la domanda a seguire è: una volta verificato – grazie all’interpretazione oggettiva delle regole e del loro rispetto – che il notaio si sia mosso entro i confini consentiti, con le modalità e nei tempi che gli sono permessi, possiamo dire che il dovere di assistenza alla sede sia stato assolto rispettando la ratio fondata sulla migliore fruizione possibile da parte dei clienti di un servizio che è fatto anche e soprattutto di indagine e di consiglio?
Qui noi oggi parliamo di “città” di “campagna”, di “grandi centri” e di “piccoli centri”, di “nord” e “sud”. Ma la realtà è molto più articolata, le sfumature sono numerosissime.
Vi voglio raccontare la mia esperienza, che sono convinto somigli alle esperienze di tantissimi colleghi in tante zone del nostro Paese. Per diciassette anni ho avuto la mia sede a Pavia, nei Distretti Riuniti di Pavia, Vigevano e Voghera.
A Pavia, Vigevano e Voghera (che sono tutte nella stessa provincia) c’erano tre ospedali, tre tribunali, tre Conservatorie dei Registri Immobiliari… persino tre diocesi! Oggi soltanto i tre tribunali sono stati riuniti nel capoluogo.
I confini, con buona pace delle norme della Legge Notarile e del Codice Deontologico, non sono quelli che separano la Lombardia dal Piemonte e dall’Emilia Romagna: sono i fiumi. Il Ticino si riversa nel Po poco a sud della città di Pavia dividendo il territorio della provincia in tre aree: il “pavese”, la Lomellina che gravita intorno a Vigevano, e l’Oltrepò che gravita intorno a Voghera.
Posso testimoniare che ognuna delle tre aree ha una Storia, una agricoltura, una architettura, una lingua, una economia completamente diverse rispetto alle altre due.
Ancora oggi, se un notaio con sede a Pavia tratta la vendita di un immobile in un Comune a due chilometri di distanza che si trova oltre il Ticino, dovrà trascrivere l’atto a Vigevano.
Nella città di Pavia sono sorti molti uffici secondari dei notai dell’area di Vigevano o di Voghera, ma non c’è stata la commistione delle comunità di riferimento: chi abita a Voghera continua ad avvalersi dei soli notai di Voghera o dell’Oltrepò.
E allora, tornando alla domanda posta in precedenza, possiamo dire che le nuove regole abbiano recepito la reale evoluzione sociale?
Il rispetto dei criteri spaziali e temporali che la Legge Notarile e il Codice Deontologico ci indicano non può essere messo in discussione, e non possiamo neanche – sulla base di considerazioni di natura sociale o meta-giuridica – aggiungere norme che non sono tali e dire ad un notaio che per essere in regola deve rispettare anche altri criteri che non sono scritti in nessuna disposizione e il cui rispetto non è in alcun modo documentabile!
Se lo facessimo, rischieremmo peraltro di ricreare – al di fuori del sistema delle regole vigenti, e persino contro esso – una parcellizzazione persino più “minuta” di quella che conoscevamo ai tempi della facoltà di rogito solo distrettuale, il che sarebbe non solo del tutto antistorico, ma anche contrario ai principi di libertà di stabilimento e di libera concorrenza leale.
Al tempo stesso dobbiamo preoccuparci, soprattutto pensando alle regioni più vaste nelle quali coabitano culture e ambienti disomogenei, di non mettere a rischio la personalità del rapporto tra notaio e cliente che è un elemento molto importante della personalità della prestazione.
Questa esigenza è resa ancora più urgente dall’evoluzione tecnologica che consente al notaio di istruire sempre più “a distanza”, in modo del tutto lecito, i suoi atti, e anche di stipularne “a distanza” alcuni.
Questa evoluzione tecnologica mette in moto un vento che soffia forte e del quale i legislatori nazionali e continentali si accorgono facendosene sospingere. E’ di questi giorni l’avvento di una legge spagnola sugli atti notarili a distanza. In Italia abbiamo per ora solo la costituzione online delle S.r.l. e delle S.r.l.s.: se ne stipulano poche, la domanda di questa modalità di perfezionamento dell’atto è molto bassa, ma non dobbiamo per questo pensare che le Istituzioni faranno retromarcia. Al contrario il nostro sistema sarà nei prossimi anni sottoposto a valutazione e se gli atti costitutivi risulteranno essere troppo pochi la soluzione potrebbe essere quella di far venire meno la competenza esclusiva dei notai.
La soluzione che propongo è affiancare alla verifica del rispetto delle regole formali vigenti di matrice spazio/temporale un altro dato documentabile: il conferimento dell’incarico professionale al notaio in forma scritta. Un incarico basato su un “consenso informato” del cliente che dimostri non tanto la conoscenza delle caratteristiche di contenuto e di forma dell’atto da stipulare, quanto – ai nostri fini – la libera scelta del notaio da parte del cliente basata su quella personalità del rapporto di cui parlavo e sulla appartenenza di entrambi ad una “comunità”: che testimoni, cioè, l’esistenza di un rapporto di fiducia basato sulla conoscenza.
Un contratto d’opera professionale scritto serve a molte cose: ad assicurare la piena informazione del cliente; a chiarire il rapporto che intercorre tra il contenuto e la difficoltà della prestazione e il compenso che il notaio richiede; a disciplinare il dovere di consiglio del notaio delimitandone l’ampiezza; a individuare il perimetro della responsabilità civile del notaio, anche ai fini assicurativi. Ma serve anche a documentare la corretta condotta del notaio con riferimento al livello di assistenza che egli deve garantire alla comunità socio/economica di riferimento alla quale egli deve appartenere e di cui deve essere, in base ad una scelta dello Stato che non ritengo affatto superata, un “profondo conoscitore”.
Relazione tenuta da Carmelo Di Marco
al Convegno “Il notaio di campagna e il notaio di città”
(Pignola, 16 giugno 2023)
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