Anno: XXV - Numero 214    
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L'illiceità deontologica delle espressioni offensive: il diritto di difesa non scusa l'avvocato sanzionato

Sanzionato l'avvocato che denigra il collega: il Cnf ribadisce che il diritto-dovere di difesa ha dei limiti.

L'illiceità deontologica delle espressioni offensive: il diritto di difesa non scusa l'avvocato sanzionato

In un recente verdetto il Consiglio Nazionale Forense ha sanzionato un avvocato per aver utilizzato espressioni offensive nei confronti del suo collega nella redazione di atti processuali. Secondo il CNF, il diritto-dovere di difesa non giustifica l’uso di accuse gratuitamente offensive che non sono né pertinenti né necessarie per sostenere la tesi difensiva adottata.

La sentenza n. 209/2022 del Cnf, depositata il 28 marzo 2023 sul sito del Codice deontologico, afferma che il professionista ha violato i doveri di probità, dignità e decoro ai quali ogni avvocato è tenuto a conformarsi. Le espressioni sprezzanti utilizzate nel documento processuale per descrivere il collega avversario come un “professionista incapace, riuscito ad avere accesso nella professione con metodi non leciti e screditanti” sono state considerate oggettivamente offensive e prive di rilevanza ai fini della difesa del cliente. L’uso di espressioni sconvenienti ed offensive, purtroppo, non è insolito all’interno dell’arena legale, ma questo caso in particolare ha sollevato la questione della responsabilità etica e del rispetto professionale.

Il Collegio di Appello dell’Ordine degli Avvocati (Coa) ha ritenuto necessario emettere un avvertimento come misura disciplinare per sottolineare che l’avvocato ha chiaramente violato il divieto stabilito nell’articolo 20 del Codice deontologico forense (CDF), che vieta l’uso di espressioni sconvenienti o offensive. In particolare, le espressioni sconvenienti ed offensive sono state utilizzate dall’avvocato nei confronti della controparte durante la redazione di atti processuali in un procedimento di separazione. Tuttavia, la questione è stata successivamente portata in Cassazione e riassunta dinanzi al CNF, che ha confermato la sanzione imposta dal COA.

Il Cnf ha sottolineato che le espressioni offensive utilizzate dall’avvocato erano del tutto immotivate e discriminatorie, non trovando giustificazione nel contesto del procedimento di separazione in cui sono state pronunciate. Inoltre, il Consiglio ha rilevato che il comportamento dell’avvocato è stato motivato da un intento vendicativo, che non è compatibile con i principi generali di correttezza, dignità e decoro che un avvocato deve rispettare.

Non solo il Cnf ha confermato la sanzione inflitta, ma ha anche ribadito che, nonostante la condotta dell’avvocato sia stata valutata anche dalla Corte di Cassazione ( la quale ha riconosciuto che l’unico obiettivo delle espressioni offensive era quello di denigrare il collega avversario), il principio del divieto di “reformatio in peius” vincola il Cnf stesso a mantenere la sanzione mitigata dell’avvertimento.

Questo caso mette in luce l’importanza di un comportamento etico e professionale tra avvocati durante il processo legale. Il diritto-dovere di difesa non dovrebbe essere usato come pretesto per denigrare gratuitamente i colleghi e ledere la dignità delle persone coinvolte nel procedimento. Il CNF ha ribadito che l’avvocatura è chiamata a rispettare elevati standard deontologici, e che l’uso di espressioni offensive rappresenta una violazione di tali principi.

Da Il Dubbio

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