La difficile “arte” di confezionare il bilancio dello Stato
Tiene banco da giorni, e sarà certamente il tormentone delle prossime settimane, il tema del bilancio di previsione dello Stato per l’esercizio finanziario 2024, in relazione al quale mancherebbero le coperture di alcune spese che il governo si è impegnato a sostenere soprattutto per venire incontro alle fasce più deboli della popolazione.
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E nascono come funghi gli “esperti” di conti pubblici (mai quanti gli aspiranti allenatori di calcio!) che presentano soluzioni, spesso immaginifiche, per reperire risorse in un bilancio della spesa da sempre fortemente “rigido”, nel senso che le somme già previste hanno una destinazione che è difficile poter modificare nella finalizzazione e nell’importo. Questa situazione che, peraltro, il Governo di Giorgia Meloni eredita dai precedenti esecutivi non deve dissuadere da interventi che in qualche modo consentano di reperire le risorse per nuove spese.
Va, in particolare, considerato che il bilancio reca poste attive (entrate) e passive (spese) le cui previsioni sono in ogni caso modificabili perché, in corso di esercizio, un’entrata può variare in quanto trattandosi prevalentemente di somme che corrispondono a tributi, a volte le previsioni possono essere state prudenzialmente contenute. Come, ad esempio, nel caso delle accise sui carburanti che fanno spesso affluire al bilancio somme superiori a quelle previste. In ogni caso le entrate, soprattutto quelle che derivano da tributi indiretti, come l’iva, variano in relazione all’ammontare dei consumi. Imposta questa da sempre importante perché colpisce la ricchezza consumata e si presta, attraverso la variazione delle aliquote, a far fronte alle esigenze dei ceti più svantaggiati riducendo l’imposta sui consumi di prima necessità o sulle tariffe di servizi importanti, come i trasporti. Più utile che provvedere con erogazioni di denaro che, quando soggette a tassazione, riducono il vantaggio che i destinatari si attendono dall’intervento pubblico.
Sotto altro profilo le voci di bilancio dell’entrata ci offrono un’importante rappresentazione dello stato dell’economia nazionale perché se oltre l’80% delle imposte la pagano dipendenti e pensionati, se i lavoratori diminuiscono si riduce l’afflusso delle entrate. Ugualmente per l’iva l’eventuale diminuzione dei consumi è un segnale pericoloso. Perché minori consumi significano contrazione delle produzioni con stasi se non riduzione dei posti di lavoro. Per cui occorre valutare attentamente tutte le operazioni di politica economica che hanno un effetto sulle voci di entrata.
Passando alla spesa pubblica che, dicevo, è “rigida”, nel senso che è difficilmente comprimibile, è necessario che la classe politica assuma una consapevolezza che spesso mi sembra non abbia. Attraverso il bilancio pubblico, lo Stato, insieme agli altri enti pubblici, locali e istituzionali, è il più grande e importante operatore economico del Paese. Tutti insieme contribuiscono, attraverso l’acquisto di beni e servizi, all’andamento di importanti settori dell’economia in particolare in alcune aree del Paese. Lo Stato infatti compra di tutto, dalle matite agli immobili per i suoi uffici, alle unità navali ed aeree che occorrono per le Forze Armate, solo per fare qualche esempio di facile percezione. Ma anche servizi, ad esempio quelli informatici. Questo vuol dire che vi sono molte imprese che vivono grazie alle commesse pubbliche. Una realtà della quale non sempre sembrano avvertiti i parlamentari del Nord, dove sono collocate molte delle imprese che vendono beni e servizi allo Stato, alle regioni ed ai comuni. Alcuni, va detto non del tutto strettamente necessari ma fondamentali per alcune imprese. È il motivo del fallimento delle politiche di revisione della spesa. I margini sono pochi e la politica non vuole rinunciare a certe contiguità con il mondo produttivo, per cui i governi faticano molto a ridurre alcune spese. Ad esempio nel settore dell’informatica. Ogni ministero, ogni ufficio pubblico ha un suo fornitore di servizi, cosa difficilmente comprensibile dal punto di vista dei costi e dell’efficienza dei servizi, perché ogni volta che un cittadino deve consultare il sito Internet di una pubblica amministrazione si trova a dover interpretare anche solo un linguaggio diverso da quello dell’amministrazione a fianco.
Esempi solo per dire che predisporre e gestire il bilancio dello Stato è un’opera complessa che non può essere vista come una sorta di match fra la Ragioneria Generale dello Stato e i singoli ministri, una volta all’anno in occasione dell’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (DEF).
Rimanendo al tema della spesa la revisione degli impegni è opera permanente che comporta, giorno dopo giorno, la revisione delle leggi di spesa e dei programmi in essere cercando di conciliare le ragioni delle imprese fornitrici di beni e servizi con la complessità delle esigenze dello Stato che non riguardano solamente il funzionamento della PA ma anche la politica sociale.
Insomma, la gestione della finanza pubblica è un’attività complessa che non può essere affidata all’improvvisazione, a manovre maldestre senza una visione d’insieme, quella che suggerisce la stessa parola bilancio.
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