Sanità, mancano medici e miliardi: Ssn sul precipizio.
Emerge dall'analisi condotta da LaPresse sui dati del 18esimo Rapporto Sanità del Crea
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Mancano medici, infermieri e operatori sociosanitari. E soprattutto, mancano tanti miliardi. Almeno 50. E non basterebbero i 3-4 miliardi invocati dal ministro della Salute Orazio Schillaci da destinare agli incentivi per il personale. La spesa del Sistema sanitario nazionale ha infatti bisogno di una montagna di soldi per essere almeno alla pari con i sistemi sanitari degli altri Paesi europei. La differenza tra l’Italia e gli altri Paesi membri è impietosa: 38 punti percentuali in meno, di cui -12% della spesa privata, -44% per quella pubblica. Insomma, il Ssn italiano è ad un bivio: continuare verso una privatizzazione delle cure o investire la rotta e tornare ad investire in cure pubbliche come sancisce la nostra Costituzione.
E non bastano nemmeno solo i soldi. Per i medici, i primi attori del Ssn, non c’è più tempo: occorre agire subito anche in ambito legislativo, in primis la depenalizzazione dell’atto medico e l’abolizione del tetto di spesa al personale che oggi impedirebbe alle aziende, anche se volessero, di assumere massicciamente.
D’altronde i numeri emersi nell‘ultimo Rapporto Sanità del Crea già certificavano uno scenario al limite. Con una discrepenza con i maggiori Paesi europei che non lascia scampo ad interpretazioni. “Per raggiungere i livelli medi europei, escludendo dal calcolo i Paesi che ‘stanno messi peggio’ – dice a LaPresse Federico Spandonaro, professore straordinario dell’Università Telematica San Raffaele e presidente del Comitato Scientifico Crea Sanità – servirebbero almeno 5 o 6 miliardi l’anno per i prossimi 10 anni“.
Numeri che, però, non tengono conto della crescita degli altri Paesi presi a riferimento perché, in quel caso, “i fondi dovrebbero anche essere di più”. Siamo sotto, se andiamo a confrontare la spesa nostra con quella dei Paesi nostri vicini siamo sotto di 50 miliardi”, afferma. Spandoraro spiega che sono calcoli che hanno “il punto interrogativo” perché dipende “dalla crescita degli altri Paesi”.
“Se la media di crescita resta del 3% l’anno, applicato alla spesa italiana sono 4 miliardi – sottolinea – ma significa considerare che la dinamica è la stessa. Se invece dovesse aumentare la loro crescita, noi non raggiungeremmo i livelli degli altri Paesi”.
Criticità che non passano inosservate nemmeno nelle stanze delle maggiori istituzioni sanitarie. “Abbiamo alle spalle anni complicati, non si scopre solo adesso – spiega a LaPresse Enrico Coscioni, presidente di Agenas – è un dato rivendicato e ribadito da tutti, soprattutto se messo in relazione al Pil degli altri Paesi e alla spesa sanitaria. C’è differenza sul fondo sanitario e si potrebbe ancora precipitare”. “Soprattutto dopo il Covid si è compresa l’importanza di una sanità pubblica forte, come ha ribadito lo stesso ministro Schillaci”, afferma.
“Sono all’ordine del giorno le richieste di nuove risorse umane – aggiunge – È stato riconosciuto da tutti che abbiamo avuto un deficit di programmazione”. Un nodo al quale si sta lavorando: “Basti pensare alle specializzazioni, ad oggi le borse di studio sono oltre 14mila”.
“Le attuali iniziative dispiegheranno i loro effetti positivi nei prossimi anni”, evidenzia, anche per l’assistenza territoriale. Un tema sul quale “come agenzia ci siamo spesi”. “Il nuovo modello delle case di comunità e degli ospedali di comunità – conclude – sono indispensabili contro il blackout che viene a crearsi nei pronto soccorso. Serviranno per aiutare l’assistenza primaria”.
Mancano 30 mila medici e 224mila infermieri
La carenza dei medici sfiora le 30mila unità, se si considerano gli over 75. Numeri da capogiro per gli infermieri: sono 224mila in meno, che arrivano a oltre 320mila in meno sempre considerando la popolazione over 75. All’appello delle carenze manca un numero chiaro di quanti siano gli oss che servirebbero: l’assistenza ad anziani e non autosufficienti è demandata spesso alle famiglie, con lavori per lo più pagati in nero che non rientrano nella spesa dei 42miliardi annui della sanità privata.
Insomma, “il Ssn è a un bivio: continuare verso una privatizzazione delle cure o investire la rotta e tornare a investire in cure pubbliche come sancisce la nostra Costituzione. Servono soldi e leggi”, afferma a LaPresse Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaao Assomed.
“Il ministro chiede 4 miliardi che servirebbero al rinnovo dei contratti dei medici e dirigenti sanitari e ad aumentare gli stipendi ben al di sotto della media europea. Non bastano però i soldi occorre agire subito anche in ambito legislativo: la depenalizzazione dell’atto medico causa peraltro di medicina difensiva che costa 11 miliardi; la riforma del ruolo del medico e dirigente sanitario con abolizione incompatibilità, la riforma del dm 70 che ha tagliato 35000 posti letto e 7000 reparti, l’abolizione del tetto di spesa al personale che oggi impedirebbe alle aziende anche se volessero di assumere massicciamente. Oggi le aziende e ospedaliere da un lato dicono di non avere soldi dall’amore o spendono fior di quattrini per medici a gettone”.
Rapporto Crea: “Spesa pubblica italiana disallineata rispetto a Paesi di riferimento”
L’attuale finanziamento della sanità – si legge nel rapporto del Crea – ha generato un progressivo “disallineamento della spesa pubblica italiana rispetto ai Paesi di riferimento: lo scarto ha raggiunto il 43,8%. Ne segue che, volendo ridurre il gap al 20% (come per il Pil), senza generare nuovamente deficit nei bilanci delle Regioni, sarebbe necessario aumentare il finanziamento attuale di circa il 40%, pari (rimanendo sui “grandi numeri”) a circa 50 miliardi.
“Si tratta di una cifra sulla quale neppure può iniziare un dibattito nelle condizioni economiche attuali – è la riflessione dei ricercatori – e anche distribuendo l’aumento su 5 anni, quindi prevedendo un riallineamento progressivo, servirebbero 10 miliardi in più ogni anno, ovvero circa cinque volte le previsioni di finanziamento contenute nei documenti di finanza pubblica. Ma il calcolo proposto è ancora largamente per difetto; si aggiunga, infatti, che il ragionamento effettuato è statico, non tenendo conto della dinamica di crescita della Sanità negli altri Paesi: basti dire che in termini di spesa pubblica, dopo il 2000, quella sanitaria italiana è cresciuta del 2,8% medio annuo (peraltro più del Pil), mentre quella degli altri Paesi è cresciuta a una media del 4,2% annuo”.
LaPresse
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