Orario di lavoro medici, di chi è la responsabilità per il mancato rispetto.
Quando c’è violazione secondo la direttiva europea Enrico Reginato past president Fems e delegato Fnomceo all’Unione dei Medici specialisti europei, fa il punto sulla vicenda del primario del pronto soccorso di Bari Vito Procacci
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«Si può multare la protezione civile perché durante una catastrofe gli operatori lavorano giorno e notte per salvare vite umane?» Enrico Reginato past president della Federazione Europea dei Medici Salariati ed attuale delegato Fnomceo all’uems, Unione dei Medici specialisti europei, usa questo termine di paragone per descrivere la vicenda del primario del pronto soccorso di Bari Vito Procacci. Attenzione, Reginato è l’artefice del rispetto in Italia della direttiva 2003/88 che impone il rispetto dell’orario massimo di 45 ore settimanali di lavoro. “Il ministro Brunetta, nel IV governo Berlusconi (2008-2011) aveva disapplicato questa direttiva per i medici ospedalieri italiani sul presupposto che i medici dipendenti, nel pubblico, erano considerati dalle aziende ospedaliere come dirigenti e la direttiva europea non si applicava ai dirigenti, bensì ai soli dirigenti “vincolati ad obiettivi e non ad orari», ricorda Reginato. «Ma con il blocco del turnover e la disapplicazione della direttiva, risultava un elevato carico di lavoro straordinario neppure retribuito. Da presidente Fems denunciai alla Commissione Europea il mancato rispetto della direttiva da parte di vari paesi, tra cui il nostro. La commissione impose al Governo italiano il rispetto della normativa».
Dottor Reginato, si può ammettere che in un Pronto soccorso, che le emergenze le gestisce, il fatto di trovarsi in emergenza Covid legittimi la disapplicazione di fatto della direttiva sugli orari?
«È una vicenda interessante, ma va subito premesso: il Covid-19 nel 2020-21 è stato una catastrofe straordinaria ed è aberrante che sia punito chi si ritrova nel suo lavoro ad affrontare una catastrofe che lo costringe, nel caso specifico, a non poter rispettare orari ordinari. È inoltre aberrante che sia stato chiamato a pagare il medico in solido con l’Azienda. Da contratto, la responsabilità del mancato rispetto dell’orario è dell’Azienda. Ma ripeto, in situazioni come le prime due-tre ondate di Covid gli “straordinari” sono giustificati e inevitabili».
Nelle situazioni emergenziali gli ospedali non possono dirottare personale sui servizi più sotto pressione così da impedire superlavoro oltre i limiti?
«A parte il fatto che sono stati falcidiati da anni di blocco del turnover, e ora delle assunzioni di personale, nel caso dell’emergenza Covid non mi sentirei di imputare colpe alle Aziende quanto alla mancata programmazione. I medici specialisti per il Servizio sanitario oggi non bastano. Lo avevamo detto e pubblicato 12 anni fa: oltre il 60% dei medici dirigenti era nato fra gli anni ’50 e ’60 si sarebbe pensionato nel giro di un decennio, a partire dal 2017; l’approvazione di quota 100 ha poi fatto sì che nel 2021 si pensionassero anzitempo, in un solo anno, cinque annate di medici ospedalieri. Ma i posti disponibili per specializzarsi erano ampiamente insufficienti per sostituire chi lasciava il lavoro per limiti di età. In questi anni gli ospedali si sono trovati problemi non sormontabili con gli strumenti a loro disposizione. E il rimedio del governo Draghi, triplicare gli specialisti da avviare alla formazione, non aiuta, visto che c’è da attendere che questi medici si specializzino per essere assunti. Ora si sta decidendo di assumere anche gli specializzandi, ma per ora il vuoto negli organici in certe specialità è drammatico. I posti sono stati incrementati a pioggia in tutte le Scuole ma quelle italiane, solo universitarie, non sempre offrono agli specializzandi la formazione tassativa nei piani di studi come scritta in Gazzetta Ufficiale (ad esempio gli interventi eseguiti come primo chirurgo il cui numero sarebbe imprescindibile per ottenere la specializzazione)».
Dunque, i giovani medici cercano corsi in grado di mantenere le promesse e i reparti Ssn vanno in apnea?
«Aggiunga a questo trend il taglio dei letti, oggi meno di 3 ogni mille abitanti, stabilito dal decreto ministeriale 70 sugli standard del 2015: doveva abbattere i costi, e invece ha reso impraticabili i reparti ospedalieri e dilatato i tempi d’attesa dei pazienti. Evidentemente si ignora che è la qualità a ridurre i costi, e non i tagli che incidono negativamente sulla qualità delle cure. Sono aumentati anche i contenziosi, con conseguenze deleterie sul numero di medici interessati a lavorare in ospedale, e anche sui risarcimenti. Il sistema italiano, che non prevede più le assicurazioni, ma il pagamento diretto delle aziende degli eventuali danni da malpratica, tende a responsabilizzare in modo eccessivo chi nelle aziende si occupa del problema e così impedisce la firma di provvedimenti transattivi: il timore di un procedimento della Corte dei Conti per danno erariale è dietro l’angolo, e il tentativo di rivalsa dell’azienda sul medico è molto probabile».
Insomma, il nostro resta un paese ostile ai medici…
«Già. E la detassazione degli straordinari sulle visite ambulatoriali, come unico intervento per la soluzione dei problemi sanitari, operata dal governo, oltre a non rispondere al problema delle liste d’attesa per i ricoveri ordinari, difficilmente basterà ad attrarre giovani camici verso specialità come la Medicina d’Urgenza. In questi anni di “spending review” in cui i governi scelgono la strada meno impegnativa sia nel finanziare la sanità sia nel capirne i problemi l’auspicio è che anche la Fnomceo faccia sentire alta la sua voce».
Doctor 33
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