Apriamo un dibattito sulla riforma costituzionale
La proposta di riforma costituzionale approvata dal Consiglio dei ministri inizia il suo iter parlamentare mentre ne discutono politologi, giuristi, giornalisti, cittadini.
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È una riforma che non mi convince per molteplici ragioni. In primo luogo, perché, a mio avviso, non coglie nel segno delle esigenze di governabilità che si si ritiene di soddisfare attraverso l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Del resto, un sistema analogo a quello proposto dal Governo non esiste in nessun ordinamento. È stato attuato in Israele ma è stato rapidamente abbandonato.
È noto, per averne scritto più volte, anche di recente, che la governabilità si assicura attraverso un forte consenso parlamentare che ritengo sia consentito da una legge elettorale che, insieme alla scelta dell’elettore, favorisca la formazione di una classe dirigente altamente qualificata.
Ho da sempre in mente il sistema elettorale del Regno Unito. Ne parlava già Vittorio Emanuele Orlando negli anni 80 del XIX secolo. Un sistema elettorale che, attraverso collegi elettorali di dimensioni limitate, assicuri un rapporto diretto tra eletto ed elettore. In tal modo il potere dei partiti si sposta dalle segreterie ai gruppi parlamentari. Capisco che è soluzione difficile da digerire da parte di responsabili dei partiti abituati a stabilire chi deve essere eletto, più esattamente “nominato”. Non in ragione della fedeltà ad un’idea, che deve sempre accompagnare la partecipazione ad un partito, ma di una cieca obbedienza basata su un rapporto personale il più delle volte nata nei circoli dove chi comanda ha iniziato a fare politica.
L’amicizia è un valore straordinario, ovviamente, ma è in politica si deve accompagnare alla condivisione di idee e programmi che vengono spiegati al corpo elettorale e da questo condiviso.
Chi oggi ritiene di assicurare la governabilità del Paese attraverso l’elezione diretta del Presidente del Consiglio trascura che già oggi, in presenza di una maggioranza politica coesa, espressione di una classe dirigente capace, è possibile realizzare nel corso di una legislatura il programma elettorale. Se si trascura questo aspetto fondamentale, insito anche nella scarsa partecipazione al voto, se non si cambia la classe politica vuol dire che si punta al solito uomo (o donna) forte che, in solitario, dirige la politica governativa quando l’Esecutivo dovrebbe essere espressione di una forte maggioranza parlamentare.
La mia cultura politica è ancorata al sistema rappresentativo che ha caratterizzato lo Stato italiano fin dal Risorgimento nazionale. Ritengo, pertanto, che le scelte politiche debbano nascere in Parlamento.
Tuttavia, poiché sono aperto ad ogni riflessione, sono pronto ad accogliere nelle pagine di Un Sogno Italiano ogni contributo a favore o contro la riforma.
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