Assegni più bassi solo per i medici che vanno in pensione prima.
Si tratta lungo l'asse Tesoro, Sanità e Lavoro: l'idea è quella di un doppio regime.
Ma il governo non ha fretta: la fuga di massa dagli ospedali non ci sarà, lo dice l’Upb
Una soluzione, entro i primi di dicembre, arriverà. E sarà introdotta in legge di bilancio attraverso un maxi emendamento a firma governativa. A fronte dei molteplici scioperi annunciati dalle categorie, alla fine anche la premier ha dovuto ammettere che sì, un intervento sulle pensioni di medici, insegnanti, dipendenti di enti locali e ufficiali giudiziari ci sarà: “Rivedremo la norma, in particolare per gli operatori sanitari” ha annunciato Giorgia Meloni ieri in Senato. Di cancellare la misura predisposta dalla manovra non se ne parla. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, appoggiato dalla premier, ritiene il ricalcolo dell’assegno – cioè la riduzione dei rendimenti per la parte retributiva – una misura di equità, se non di giustizia sociale. Non si tratta solo di un efficace metodo per risparmiare fino a 21 miliardi di euro da qui al prossimo ventennio.
Non ci sarà uno slittamento dell’entrata in vigore di uno o due anni, come auspicava la Lega, né l’esclusione dal provvedimento dei soli camici bianchi, come suggerito da Forza Italia. L’idea, spiegano fonti di governo al nostro giornale, è quella di prevedere un doppio regime. Fuori dalla penalizzazione resterebbero i lavoratori che nel 2024 matureranno i requisiti di vecchiaia, cioè 67 anni. Per loro l’assegno dovrebbe rimanere intatto al 100%. Chi invece raggiunge i requisiti per l’uscita anticipata – 42 anni e 10 mesi di contributi, 41 per le donne – subirà il ricalcolo dei contributi versati tra il 1981 e il 1995, cioè la parte pagata sotto regime retributivo. Tecnicamente, si tratta di abbassare i coefficienti di rendimento fissati nel lontano 1965, quando la demografia e le casse pubbliche garantivano maggiore generosità ai governi della Prima repubblica. Coefficenti che, dopo quasi sessant’anni, ora vengono ridotti – parificandoli a quelli della maggior parte delle altre professioni – dal governo Meloni nel disegno di legge di bilancio ora all’esame del Senato.
La soluzione non è definitiva. Nei prossimi giorni la triangolazione tra Tesoro, Lavoro e Sanità proseguirà. Anche perché alcuni interventi prevederanno cambiamenti in termini di coperture, che vanno necessariamente fatte quadrare secondo i principi costituzionali, ricordano dal Mef. La novità sarà inserita in un maxi emendamento del governo oppure in una proposta di modifica dei relatori in commissione Bilancio a Palazzo Madama. Il veicolo con il quale saranno infilati in manovra i correttivi non è ancora stato chiarito. Passaggi importanti, a detta del governo, saranno gli incontri con le parti sociali che si terranno oggi – con Confindustria in prima fila – e martedì 28 novembre, cioé con i sindacati. Ieri Cgil e Uil non potevano. I sindacati del personale sanitario, proprio sul tema delle pensioni, hanno proclamato ben tre giornate di sciopero distinte. Una si è già tenuta la scorsa settimana e le prossime saranno il 5 e il 17 dicembre, in base delle sigle aderenti.
Il loro timore dichiarato è che entro la fine del 2023 si verificherà una “fuga di massa” verso la pensione anticipata di tutta una serie di camici bianchi che non vogliono sottostare al ricalcolo in manovra. Un argomento che però, al di là della soluzione che troverà il governo, è stato di recente smontato dall’Ufficio parlamentare di bilancio: la norma attualmente presente nel testo della manovra coinvolge tutte le pensioni con decorrenza da gennaio 2024: quindi anche facendo domanda di pensionamento ora verrebbe colpito, difficile che vada a riposo in quest’ultimo mese o poco più di 2023. Il governo ragiona a una soluzione, ma ora non ha alcuna fretta.
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