MANCANZA DI LUNGIMIRANZA E ARROGANZA
Tre anni di discussioni e votazioni con spese ingenti tra consulenze e gettoni , per tornare ai box.
In evidenza
Oggi dicono che la colpa è dei Ministeri Vigilanti ,ma basta leggere la motivazione della sentenza del Tar Lazio 18584/2023 del 13 dicembre scorso per rendersi conto del contrario.
“4. Il motivo è infondato. 4.1. È preliminarmente opportuno delineare il quadro normativo di riferimento. Il d. lgs. n. 509/1994, ha posto come condizione per la privatizzazione degli enti previdenziali l’assenza di finanziamenti pubblici, a fronte della riconosciuta autonomia gestionale, organizzativa e contabile, con ciò trasferendo dunque su tali enti la responsabilità dell’equilibrio di bilancio, sia corrente che prospettico. In particolare, ai sensi del d. lgs. n. 509/1994, la gestione di tali enti deve essere ispirata ai seguenti principi e criteri: – esistenza di “una riserva legale al fine di assicurare la continuità nell’erogazione delle prestazioni, in misura non inferiore a cinque annualità delle pensioni in essere” (art. 1, comma 4, lett. c), d. lgs. n. 509/1994); – assenza di “disavanzo economico-finanziario, rilevato dai rendiconti annuali e confermato anche dal bilancio tecnico” (art. 2, comma 4, del d. lgs. n. 509/1994); – una gestione economico-finanziaria che assicuri “l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico” (art. 2, comma 2, d. lgs. n. 509/1994). Successivamente, la legge n. 335/1995 – di riforma del sistema pensionistico pubblico (come modificata dall’art. 1, comma 763, legge finanziaria 2007) -, ha imposto agli enti privati, tra cui la Cassa Forense, la garanzia della stabilità gestionale per un arco temporale non inferiore a 30 anni, da verificare tramite la redazione periodica di bilanci tecnici attuariali. Inoltre, il D.M. 29 novembre 2007, recante la “Determinazione dei criteri per la redazione dei bilanci tecnici degli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria”, evidenzia l’opportunità, fermo restando il predetto periodo trentennale di stabilità, “che il bilancio tecnico sviluppi, per una migliore cognizione dell’andamento delle gestioni nel lungo termine, proiezioni dei dati su un periodo di 50 anni in base alla normativa vigente alla data dell’elaborazione”.. Ciò premesso, nel provvedimento impugnato si dà primariamente atto che le Amministrazioni vigilanti hanno rilevato che il bilancio attuariale al 31 dicembre 2020 a normativa vigente, trasmesso ai fini della prevista verifica triennale di sostenibilità ai sensi del d. lgs. n. 509/1994, mostrava una situazione di squilibrio prospettico della gestione nel lungo periodo, “… laddove il saldo previdenziale (differenza fra entrate per contributi e uscite per prestazioni previdenziali) assume valore negativo a partire dall’anno 2041, mentre il saldo totale (differenza fra entrate e uscite totali) assume valore negativo a partire dall’anno 2049 fino alla fine del cinquantennio di previsione. In merito, il Ministero dell’economia rileva che “anche qualora la stima della “contrazione degli accantonamenti patrimoniali” risultasse “di scarso rilievo sulla stabilità di Cassa Forense” (come segnalato nella nota tecnica), nel regime della ripartizione, questa avrebbe comunque effetti negativi e peggiorativi nei confronti della gestione di più breve periodo, atteso che comunque la contestuale spesa pensionistica resterebbe invariata”. 4.3. Il superiore rilievo smentisce che con la nota impugnata i Ministeri vigilanti avrebbero riduttivamente valutato la misura ritenendo erroneamente che essa fosse giustificata dalla Cassa soltanto con la necessità di armonizzarla con quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei delegati nella seduta del 28 ottobre 2022. Sul punto deve intanto osservarsi che è stata la stessa Cassa a prospettare come la richiesta di proroga della esenzione del contributo integrativo per il 2023 risulti “giustificata anche in ragione della necessità di armonizzare la materia con quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei Delegati nella seduta del 28 ottobre 2022, la cui entrata in vigore è prevista per il 1 gennaio 2024”, sicché avere anche considerato tale aspetto non può costituire un vizio del provvedimento impugnato, nel quale è stato ragionevolmente ed opportunamente rilevato quanto segue: – l’iniziativa in punto di esenzione del contributo integrativo per il 2023 non può essere posta in stretta consequenzialità con la citata delibera del C.N.D. del 28 ottobre 2022 – trasmessa per l’approvazione ai Ministeri solo in data 2 febbraio .2023 – non essendo la predetta delibera efficace finché non sarà approvata dai Ministeri vigilanti (che ben potrebbero anche non approvarla); – anche da un punto di vista temporale non può non rilevarsi che il progetto di riforma è attualmente in istruttoria presso i Ministeri vigilanti, sicché non è affatto certo, come ritenuto dalla Cassa, che lo stesso potrà avere decorrenza dal 1° gennaio 2024 e porsi dunque in continuità con la prospettata esenzione; – l’obiezione della Cassa secondo cui, in tal modo, il Ministero opporrebbe pretestuosamente tempistiche dipendenti da sé medesimo non sembra fondata, posto che proprio la Cassa risulta avere trasmesso la propria delibera, adottata il 28 ottobre 2022, soltanto in data 2 febbraio 2023; – è inoltre ben più che plausibile quanto evidenziato dalla difesa erariale circa il fatto che la delibera riformatrice, avendo ad oggetto modifiche ordinamentali in materia di contributi e prestazioni deliberate dagli enti vigilati, richiederà verosimilmente approfondimenti istruttori suscettibili di interrompere i termini procedimentali per la necessità di acquisire elementi di chiarimento/approfondimento che consentano di comprendere la ratio posta a fondamento delle modifiche. Ne consegue che appare del tutto ragionevole il rilievo del MEF – trasfuso nel provvedimento impugnato – secondo il quale “attesa anche la complessità e la rilevanza di un simile provvedimento, appare poco prudente e inopportuno sospendere, nelle more dell’approvazione dello stesso, la riscossione della misura minima del contributo integrativo”, evidenziando che laddove infatti “la riforma non dovesse entrare in vigore nei tempi auspicati, reiterando la medesima logica alla base del provvedimento in esame, si renderebbe necessaria una nuova delibera di sospensione del pagamento del contributo integrativo minimo, con ulteriore evidente peggioramento dell’equilibrio gestionale del relativo anno”. 4.4. Anche la tesi sostenuta in ricorso, secondo cui l’esenzione dal versamento del contributo integrativo minimo rappresenterebbe una mera “proroga di un provvedimento già in essere”, che sarebbe “sostenuta dalle medesime ragioni che ne fondavano l’originaria introduzione”, si appalesa infondata per diverse ragioni. Sotto un primo profilo la circostanza che le Amministrazioni vigilanti abbiano in un primo tempo consentito l’adozione di una misura ad alto impatto finanziario quale è l’esenzione dal versamento del contributo integrativo minimo per il quinquennio 2017-2022, non può certo comportare che i medesimi Ministeri siano acriticamente tenuti, mercé una sorta di automatismo, ad approvare successive proroghe della misura ancorché fondate sulla medesima ratio, salvo lo svuotamento delle funzioni ad essi riservate dalla legge, rendendosi non solo necessaria, ma anzi indispensabile, un’accurata indagine sulla sussistenza di condizioni e presupposti. Al riguardo, la valutazione sull’impatto finanziario deve essere condotta dai Ministeri vigilanti ex novo sulla base delle risultanze attuali relative all’annualità di riferimento non assumendo alcun rilievo elementi analizzati in relazione ad altre annualità e, in ogni caso, non più attuali. Sotto un secondo profilo rilevano ostativamente le seguenti disposizioni di legge: – l’art. 11, comma 3 della Legge 20 settembre 1980, n. 576 il quale stabilisce che “gli iscritti alla cassa sono annualmente tenuti a versare, per il titolo di cui al primo comma, un importo minimo risultante dalla applicazione della percentuale ad un volume d’affari pari a quindici volte il contributo minimo di cui all’articolo 10, secondo comma, dovuto per l’anno stesso”; – l’art. 21, comma 9 della Legge 31 dicembre 2012, n. 247, il quale stabilisce che “la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, […], i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo”. Dal tenore letterale di tali disposizioni si evince: a) che sarebbe illegittimo qualsiasi progetto di totale abolizione della contribuzione integrativa minima; b) che sarebbe altrettanto illegittima qualsiasi previsione di sospensione o esonero o diminuzione della stessa, che non sia adeguatamente motivata da particolari e temporanee esigenze; Se ne deve conclusivamente inferire che, a fortiori, ad analoga conclusione deve giungersi per l’eventuale susseguirsi di proroghe annuali le quali, ancorché asseritamente sostenibili o di scarso impatto strutturale, sarebbero tuttavia suscettibili di determinare il sostanziale effetto dell’abolizione della misura. 5. Con il secondo motivo di ricorso la Cassa ricorrente deduce che le medesime disposizioni risulterebbero violate dal momento che i rilievi formulati, senza prospettare alcuna violazione di legge o dello Statuto, denunciano l’inopportunità delle scelte previdenziali promosse dalla Cassa nell’ambito della autonomia gestionale ad essa riconosciuta in materia previdenziale, pertanto travalicando le funzioni di controllo attribuite ai Ministeri Vigilanti dal sistema delineato dagli artt. 2 e 3 del d. lgs. n. 509/1994, dall’art. 3, comma 12, della l. n. 335/1995 e dall’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011. Sistema dal quale discende che le amministrazioni vigilanti chiamate ad esercitare il loro potere devono verificare, con le sole forme di controllo strettamente indicate dalle disposizioni, che il soggetto vigilato non assuma iniziative, in violazione della legge o della disciplina statuaria, tali da compromettere il perseguimento delle proprie finalità istituzionali; viceversa, in questo caso la limitazione dell’autonomia dell’Ente, concretizzatasi con il diniego di approvazione della delibera, non sarebbe motivata in forza di alcuna violazione ostativa al raggiungimento delle finalità cui è preposta la Cassa, bensì è fondata sull’inopportunità – rilevata dalle amministrazioni – delle misure deliberate dall’Ente, che tuttavia i Ministeri non potrebbero contestare, pena la violazione del vigente sistema previdenziale. Per ciò solo la Nota impugnata sarebbe viziata da eccesso di potere nella figura dello sviamento, della contraddittorietà, dell’illogicità e dell’irragionevolezza: sarebbe evidente, ad avviso della ricorrente, che, nel concreto esercizio che ne hanno fatto i Ministeri resistenti, la potestà di vigilanza sulla Cassa si è tradotta in un illegittimo e non previsto strumento di etero-direzione della politica previdenziale che la legge riserva alla categoria dei professionisti assistiti dalla Cassa medesima; per i medesimi motivi gli atti impugnati sarebbero viziati per incompetenza, essendo assolutamente evidente che non spetta al Ministero profondersi in valutazioni concernenti le determinazioni previdenziali della ricorrente (e men che meno dotarle di effetto coercitivo). 6. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Parte ricorrente, infatti, deduce l’esistenza di vizi relativi all’illegittimo esercizio del potere di vigilanza, che si traducono in sostanza nella erronea rilevazione, nell’atto approvativo della deliberazione dell’ente previdenziale privatizzato, di presunti profili di illegittimità idonei ad incidere sull’attività istituzionale di rilevanza pubblicistica da esso svolta, e per la tutela dei quali è attribuito alle autorità ministeriali il predetto potere di vigilanza. In realtà la vigilanza ministeriale e l’intero sistema dei controlli amministrativi cui è soggetta la Cassa Forense, in dipendenza dell’inalterato carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza da essa svolta – pur dopo la sua trasformazione in fondazione con personalità giuridica di diritto privato -, devono perseguire il fine di assicurare la miglior gestione dell’Ente e la migliore erogazione delle prestazioni in favore degli iscritti, sicché costituiscono strumenti per evitare che l’esercizio non corretto dell’autonomia pregiudichi il raggiungimento dei fini istituzionali di rilievo pubblicistico. In tale contesto, nel rispetto dell’autonomia delle Casse, le Amministrazioni vigilanti ben possono svolgere un’attività di vigilanza pregnante e diretta, ove necessario, ad orientare le scelte della Cassa onde assicurare l’equilibrio finanziario e la tutela di interessi primari. D’altra parte, tutte le argomentazioni della ricorrente concernenti la lesione e compressione dell’autonomia della Cassa da parte dei Ministeri Vigilanti sono di fatto smentite dalla circostanza che gli stessi Ministeri hanno fin qui approvato – conformemente alle disposizioni di legge – temporanei esoneri e diminuzioni contributivi per particolari categorie di soggetti ben definite, come dimostra la stessa sospensione quinquennale di cui al vigente Regolamento di previdenza. Il punto, però, è che la valutazione sull’impatto finanziario della nuova misura – come sopra già rilevato – deve essere condotta dai Ministeri vigilanti ex novo sulla base delle risultanze attuali relative all’annualità di riferimento, non assumendo alcun rilievo elementi analizzati in relazione ad altre annualità e, in ogni caso, non più attuali. Il provvedimento dunque richiama a proprio fondamento l’art.3 comma 2, del d. lgs. n. 509/1994 (che stabilisce che “La gestione economico-finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale”), avendo la Nota rilevato che il bilancio attuariale al 31 dicembre 2020 a normativa vigente, trasmesso ai fini della prevista verifica triennale di sostenibilità ai sensi del d. lgs. n. 509/1994, mostrava una situazione di squilibrio prospettico della gestione nel lungo periodo. Nella nota si riporta altresì che “Il Ministero dell’economia evidenzia infine che «il provvedimento in esame determina effetti negativi sui saldi di finanza pubblica in termini di minori entrate contributive, considerato che gli enti nazionali di previdenza e assistenza, ancorché organizzati e operanti in regime di diritto privato, sono ricompresi nell’elenco delle Amministrazioni pubbliche (lista S13) definito dall’ISTAT»”; il che appare coerente con la considerazione che in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione è divenuto compito diretto dello Stato – cui spetta fissare i limiti delle tutele, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m) ed o), Cost. – garantire la copertura assicurativa e previdenziale all’intera popolazione e, dunque, anche alle categorie di professionisti iscritti alle Casse privatizzate. Anche per detta ragione non si ravvisa, dunque, alcun eccesso di potere nell’attività di vigilanza posta in essere con i provvedimenti impugnati. 7. Conclusivamente, per i surriferiti motivi, il ricorso è infondato e va rigettato. 8. Le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti in considerazione della peculiarità della questione trattata.”
Non mi risulta che Cf abbia impugnato detta sentenza avanti il CdS, e quindi fa stato.
Ora il comunicato di Cassa Forense che invita gli iscritti al pagamento dei contributi minimi “ordinari” entro la fine del corrente mese di febbraio, sta scatenando vaste polemiche con il tentativo di organizzare una manifestazione di protesta/proposta avanti la sede di CF
Obbiettivamente circa 100.000 iscritti non dichiarano redditi tali da consentire il versamento della contribuzione minima, che come percentuale è inversamente proporzionale al reddito conseguito e quindi molto penalizzante.
Non so se MGA riuscira’ a catalizzare l’attenzione della base, che per lo piu’- temo- non versera’ la contribuzione dovuta,ma ,quel che è certo, è che il management ha speso tempo e risorse senza approdare ad alcun risultato con cio’-diciamola tutta- spingendo molti iscritti alla cancellazione dagli albi.
Avv. Paolo Rosa
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