Cresce l’onda rosa in medicina.
Ma il divario retributivo di genere è ancora ampio in tutti i settori.
Con l’espressione Gender Pay Gap si intende indicare la differenza tra i compensi orari lordi di uomini e donne, calcolata sugli stipendi versati direttamente ai dipendenti prima delle detrazioni fiscali e dei contributi previdenziali. A misurare il gender pay gap in Europa è Eurostat, che tenendo conto soltanto delle aziende con 10 o più dipendenti, ha stimato che in Europa le lavoratrici guadagnano il 12,7% in meno dei lavoratori. Le variazioni fra paesi sono ampie, con gap maggiori in Estonia (20,5%); Austria (18,8%); Germania (17,6%). L’’Italia si colloca al quintultimo posto con un valore del 5%. Si tratta comunque di un valore sin troppo generico che riassume sotto un unico ombrello situazioni molto diverse tra loro per settore, mansione, per condizione contrattuale.
In Italia a soffrire maggiormente del divario retributivo di genere è il settore privato, ed è un problema che riguarda sia i dipendenti che i liberi professionisti. Fra questi ultimi il divario di reddito è molto ampio, anche nelle fasce d’età più giovani. Lo dimostrano i dati dell’ultimo rapporto di ADEPP, la federazione delle casse di previdenza private, che riguarda i professionisti con albo. Fatto 100 il reddito degli uomini liberi professionisti, quello delle donne è di 45. Fra i giovani 20-30 enni le ragazze hanno dichiarato 13 mila euro annui, i ragazzi oltre 15 mila euro. Più ampio il gap per chi è in età “da famiglia”: fra i 30 e i 40 anni le donne dichiarano 18 mila euro annui, gli uomini 28 mila. Fra i 40 e i 50 anni le donne 26 mila e gli uomini 44 mila. Fra i 50 e i 60 anni le donne 34 mila e gli uomini 58 mila. La metà delle professioniste donne ha oggi un reddito inferiore ai 16.500 euro, gli uomini inferiore ai 26.000 euro. Nel computo di Adepp rientrano anche i professionisti con albo e con contratto di lavoro dipendente. Sembra impossibile che sia così, e invece le analisi dati lo dimostrano chiaramente. Il divario retributivo di genere è ancora ampio in tutti i settori, anche per i lavoratori del comparto sanitario, che sono per la maggior parte donne (circa il 70% degli occupati) e in particolare per i medici. Il divario retributivo di genere nel settore sanitario e assistenziale varia da circa il 15% (nel caso della retribuzione oraria mediana) a circa il 24% (nel caso della retribuzione media mensile), Nel complesso è emerso che le lavoratrici salariate nel settore sanitario e assistenziale (inquadrate con vari tipi di contratto) guadagnano circa il 20% in meno rispetto agli uomini.
In Italia la medicina è donna. E l’onda rosa è destinata ad allargarsi nei prossimi dieci anni, per poi tendere, forse, ad una situazione di maggior parità. Lo dimostrano i dati elaborati, come è ormai tradizione in occasione dell’8 marzo, dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri.
Guardando al complesso dei medici iscritti agli albi, 416.088 al 16 gennaio scorso, la parità sembra ancora lontana. A prevalere sono gli uomini, che costituiscono il 53,5% del totale. Questo è però dovuto alla netta preponderanza dei dottori tra le generazioni con un’età anagrafica più alta. Tra gli over 75, ad esempio, le donne medico sono solo il 16%, il 24% se consideriamo i medici con più di 70 anni.
Se invece analizziamo la platea dei 325.114 medici con meno di 70 anni, e quindi quasi sicuramente in attività, anche all’interno del Servizio sanitario nazionale, la situazione si ribalta. Sono, infatti, le donne, 171.645, ad essere il 53% del totale. E il trend è in crescita. Solo un anno fa erano il 52%. La percentuale aumenta ancora, sino a una certa soglia, se abbassiamo il limite dell’età: le donne sono il 59% tra gli under 55 e sfiorano il 60% tra i medici con meno di 50 anni. Le donne medico sono poi la maggioranza schiacciante, il 63%, nella fascia di età tra i 40 e i 50 anni, il 64% se restringiamo il campo tra i 40 e 44, quasi due su tre, in un momento della vita in cui più pesanti sono i carichi di lavoro familiari e maggiore è la pressione lavorativa in un’ottica di avanzamento di carriera.
Scendendo ancora con l’età, il gap invece si restringe: tra i medici con meno di 40 anni, le donne scendono al 57,4%, rimanendo comunque la maggioranza anche nelle fasce più giovani. Tra i giovani medici, con meno di 30 anni, sono il 58%.
Il fenomeno della femminilizzazione della professione medica è sicuramente destinato ad accentuarsi nei prossimi dieci anni, quando andranno in pensione gli iscritti che oggi hanno tra i 55 e i 69 anni, tra i quali i medici donna costituiscono il 57% del totale, e verranno sostituiti dalle fasce con percentuali femminili ancora maggiori. Diverso il discorso per gli Odontoiatri, che sono invece per la stragrande maggioranza uomini: il 71%, 45553 unità, contro 18881 professioniste. Se però guardiamo alle fasce più giovani, siamo in parità: tra i 25 e i 29 anni sono 1447 gli uomini, 1435 le donne.
Purtroppo le donne medico non sfuggono al gender gap se si considerano i dati rilevati dall’Enpam che mostrano come, a parità di ruolo, una donna medico guadagna, in media, il 30 % in meno rispetto ad un suo collega maschio. Le donne medico, che risultano, nel 2023, attive alla così detta quota B ( redditi da libera professione ) dell’Enpam, sono circa 35.000 ed indicano un reddito medio di 50 mila euro, mentre gli uomini sono 46.500 con reddito medio dichiarato di 80 mila euro.
Le professioniste nella classe di età 60-69 anni presentano redditi in media di circa 48 mila euro rispetto ai 74 mila notificati dai loro colleghi dell’altro sesso. I dati relativi alle classi di età più giovani tendono a confermare la disparità retributiva di genere all’interno del Ssn. Nella fascia d’età 20-29 anni i medici uomini che svolgono libera professione denunciano circa 22 mila euro l’anno contro i 17 mila delle donne, mentre tra 30-39 anni i maschi guadagnano 44 mila euro contro i 32 mila delle femmine. Rilevante, poi, la differenza che emerge analizzando le rendite dei medici dai 40 ai 49 anni. Gli uomini dichiarano redditi per circa 78 mila euro, le donne superano di poco i 50 mila l’anno. Di contro si delinea in questi anni il fenomeno della “ femminilizzazione ” con l’aumento del numero delle donne medico.
Bisogna, infine, distinguere due aspetti del gender pay gap. Il divario di reddito medio mensile, dovuto o al fatto che le donne lavorano di meno per maggiore diffusione del part-time o che hanno inquadramenti e quindi retribuzioni orarie, inferiori. Ed il divario in termini di reddito annuale dovuto al fatto che le donne, nonostante oggi studino di più degli uomini e le laureate abbiano superato i laureati in moltissime discipline, ed ottengano risultati migliori , occupino meno le posizioni dirigenziali. Riferendoci, infatti, alla leadership in campo medico le donne fanno fatica a raggiungere le posizioni apicali. Il sistema è fortemente discriminatorio. Sin dall’università, tutto è pensato al maschile, l’organizzazione del lavoro è pensata da menti maschili e la governance è sempre maschile. Tra i direttori di struttura complessa, solo il 17,2% è di sesso femminile (vs 82.8% maschi), percentuale che sale al 34,7% (vs 63.3% maschi) per le struttura semplici. Nell’area universitaria delle scienze mediche, le donne ordinario (nel 2020) ricoprono il 19 % delle posizioni, le associate il 33% e le ricercatrici circa il 40-55 %.
Sole 24 Ore
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