TRE NODI AL PETTINE NEL PNRR SANITÀ
Fa discutere più del previsto l’applicazione del decreto-legge PNRR in sanità.
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Approvato dal governo a inizio mese per ricalibrare alcune spese dei fondi europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il testo non era incentrato sulla sanità.
Fa discutere più del previsto l’applicazione del decreto-legge PNRR in sanità. Approvato dal governo a inizio mese per ricalibrare alcune spese dei fondi europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il testo non era incentrato sulla sanità. Eppure, qui sono venuti al pettine tre nodi. Il primo è l’adesione dell’Italia alla piattaforma Digital Green Certificate che prevede la possibilità dei sistemi informatici dei paesi aderenti alla rete di certificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di accedere oggi ai certificati vaccinali dei viaggiatori in arrivo, e domani –in prospettiva– ad una banca dati dove si potrebbe attingere a scopo di ricerca alle informazioni presenti sui fascicoli sanitari di questi viaggiatori. Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha già messo le mani avanti, l’Italia non aderirà ad accordi comportanti cessioni di sovranità ad organismi esterni (come l’OMS).
Il secondo nodo è sempre relativo alla privacy: per la prima volta un emendamento pronto alla Camera, da inserire in fase di conversione, chiede di utilizzare i dati sensibili degli italiani acquisiti per la ricerca senza obbligare chi la fa a chiedere volta per volta dei consensi. Il decreto originale sancisce che l’Agenzia dei servizi sanitari regionali- Agenas avvierà la raccolta di questi dati “anche pseudonimizzati”, per migliorare e mirare i servizi sanitari. La modifica proposta dalla deputata leghista Simona Loizzo prevede l’adozione, da parte del ministero della Salute e sentito il Garante della privacy, di un decreto per definire le modalità di una sperimentazione sull’uso dei dati sanitari di 24 mesi prorogabili per altri 12, “volta a perseguire, con nuove tecnologie, la tutela della salute e l’innovazione dei prodotti e dei servizi sanitari “. L’ammissione alla sperimentazione, si legge, “può comportare la deroga o la disapplicazione temporanee degli orientamenti di vigilanza o degli atti di carattere generale emanati dalle autorità di vigilanza, nonché delle norme o dei regolamenti emanati dalle medesime autorità di vigilanza”. L’obiettivo dei parlamentari è evitare che l’uso di dati sanitari per l’intelligenza artificiale sia bloccato per paura che sia a rischio la privacy, trattandosi di dati sensibili. Nell’emendamento si prevede l’istituzione di un Comitato dati sanitari al ministero della Salute, che individui i target della sperimentazione, ne definirà i programmi e formulerà proposte per favorire l’uso dei dati per lo sviluppo di ricerca, programmazione, prevenzione ed assistenza sanitaria. Sono membri permanenti del comitato il ministro della Salute, il Garante Privacy, il DG dell’Agenzia per l’Italia digitale, il presidente Agenas, e quattro professori ordinari, di cui almeno uno Igienista e uno di Diritto dell’economia, nominati dal ministro della Salute oltre ad un rappresentante dei pazienti.
Il tema più attuale è però forse il terzo, e cioè la risposta che daranno le regioni sull’uso dei fondi PNRR per gli ospedali. Nella relazione alle camere sul decreto, la Corte conferma quanto già anticipato dal coordinatore degli assessori alla salute Raffaele Donini: mancano 1,2 miliardi alle regioni. I soldi si sono “persi” dirottando, come prevede il decreto, il salvadanaio da cui esse intendevano attingere per realizzare le loro opere dal Fondo degli investimenti complementari al PNRR al Fondo “italico” per l’edilizia sanitaria datato 1988. La certificazione del taglio, non immediatamente riconoscibile nel decreto, arriva a valle di una serie di calcoli dove la Corte non risparmia l’elenco completo dei tagli disposti dal governo: 900 milioni al fondo opere indifferibili, 4,8 miliardi sul Fondo sviluppo e coesione, 700 milioni ai comuni, 400 milioni sui contratti di sviluppo. «Il saldo netto di rifinanziamenti e definanziamenti – scrivono i giudici contabili – porta ad una contrazione di circa 1,2 miliardi della dotazione complessiva del PNC, da 30,6 a 29,4 miliardi». L’assessore Donini in vista della conferenza esprime l’auspicio che il governo riconsideri quanto scritto «anche alla luce del documento della Corte dei conti. Solo in questo modo ci sarà l’impegno di tutte le Regioni a cercare una soluzione che non può essere togliere 1,2 miliardi ad opere già in cantiere con obbligazioni giuridicamente vincolate e che non possono essere finanziati con fondi esigibili come quelli dell’edilizia sanitaria (ex articolo 20), in parte oggetto di accordi programma già firmati o che si stanno firmando. Il decreto, se non corretto rischia di produrre contenziosi in tutto il Paese».
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