Anno: XXV - Numero 214    
Giovedì 21 Novembre 2024 ore 13:20
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Una visione per il lavoro che cambia

Le incerte trasformazioni del lavoro e la crisi della rappresentanza sono due facce della stessa medaglia.

Una visione per il lavoro che cambia

Le recenti rilevazioni dell’archivio Cnel mostrano un quadro abbastanza critico del panorama contrattuale italiano: milioni di lavoratori del settore privato sono in attesa del rinnovo del loro contratto collettivo. I dati fotografano una evidente fase di stallo nelle relazioni tra le parti sociali, le cui cause affondano le radici nelle trasformazioni del lavoro degli ultimi anni e nella difficoltà che vivono le organizzazioni di rappresentanza ad affrontarle nella maniera più adeguata.

L’esplosione del lavoro da remoto, l’obsolescenza di professionalità e competenze, l’aggravamento del già marcato disallineamento in Italia tra domanda e offerta di lavoro ed i fattori demografici sono elementi presenti nell’agenda di tutti, ma che vengono troppo spesso affrontati con lo sguardo rivolto al passato.

La pandemia e i grandi sconvolgimenti internazionali hanno aggravato ulteriormente lo scenario economico a livello globale determinando un forte impatto sulle dinamiche salariali con una spirale inflazionistica che ha, nella sostanza, esacerbato e allontanato le posizioni della parte datoriale e della parte sindacale. Un crescendo che, negli ultimi due anni, è culminato nella dura contrapposizione sulla opportunità o meno di introdurre per legge un salario minimo orario.

 Tralasciando considerazioni di carattere politico, il dibattito su questo tema poggia su due elementi che balzano subito agli occhi di chi si occupa di relazioni industriali: per un verso, indubbiamente,  il ritardo, sopra ricordato, dei sistemi di contrattazione collettiva a livello nazionale che non devono affrontare solo il tema salariale ma anche numerosi altri elementi del rapporto di lavoro che spesso portano con sé un valore economico e organizzativo incluso quello della produttività del lavoro;  per altro verso l’illusione della politica o quantomeno di parte di essa di poter risolvere una volta per tutte la questione dei bassi salari e del lavoro povero attraverso la fissazione di una tariffa per legge, come se l’esperienza comparata non fosse sufficiente a dimostrare l’inesistenza di una correlazione tra disciplina legale e adeguatezza dei salari. È proprio dalla verifica della inadeguatezza dei livelli salariali fissati per legge che nasce, del resto, la direttiva europea sui salari minimi adeguati.

In questo contesto non possono che essere i protagonisti del mercato del lavoro a dover dimostrare di essere all’altezza del proprio ruolo e delle responsabilità che ne conseguono. Gli attori sociali legittimano cioè la propria esistenza, agli occhi del decisore politico e della opinione pubblica, non certo per diritto acquisito ma nella misura in cui si dimostrano capaci di svolgere il proprio ruolo economico e sociale. Ed è qui che si spiega l’urgenza di rinnovare quei contratti scaduti ormai da anni che lasciano i lavoratori nella morsa dell’inflazione e di individuare una volta per tutte strumenti adeguati che mettano al bando i fenomeni di dumping contrattuale e la contrattazione collettiva non rappresentativa, che mirano esclusivamente ad abbassare gli standard lavorativi e a sovrapporsi ai settori economici tradizionali.

 In questo contesto, la sottoscrizione della ipotesi di rinnovo del Ccnl studi e attività professionali del 16 febbraio 2024 pare destinata ad assumere un valore particolare nell’attuale stagione delle relazioni di lavoro, anche perché può tracciare la strada per le trattative nell’ambito del settore dei servizi e del terziario. Il raggiungimento di una intesa sul contratto leader per il settore (dove si registra il deposito nell’archivio Cnel di ben 15 contratti collettivi) dopo sei anni di vacatio contrattuale è stato sicuramente un risultato di grande rilevanza e gli effetti sono positivi sia in campo economico sia in ambito normativo.

Il comparto professionale si è sempre contraddistinto per un forte spirito di innovazione che ha portato il Ccnl studi professionali ad essere uno dei contratti più utilizzati a livello nazionale come testimoniato dall’archivio dei contratti del Cnel che contiene le rilevazioni sul livello di applicazione dei contratti collettivi ivi depositati (vedi la voce Archivo Contratti Collettivi sul sito istituzionale del Cnel).

I profili di particolare interesse, da segnalare in questo rinnovo contrattuale, sono molteplici. Il Ccnl studi professionali è uno dei pochi contratti che con lungimiranza e sguardo proiettato al futuro si è posto nell’ottica di fornire tutele a soggetti che si pongono al di fuori dello stretto campo di applicazione della contrattazione collettiva e che rappresentano ormai una parte consistente dell’assetto organizzativo delle strutture professionali. Ci riferiamo in particolare ai professionisti e ai lavoratori autonomi che, per espressa previsione contrattuale, sono destinatari delle tutele di welfare previste dalla bilateralità di settore. Il welfare contrattuale è da sempre il punto qualificante del settore degli studi professionali che partendo dalla assistenza sanitaria integrativa è riuscito a estenderne l’ambito di operatività fino a coinvolgere la sfera familiare e personale del lavoratore dipendente con misure mirate alle esigenze che sono emerse nel corso del tempo (si pensi agli interventi di sostegno al lavoro agile e più in generale alle attività svolte durante la pandemia nell’ambito del sostegno al reddito).

Le sinergie tra gli enti bilaterali del sistema, che operano prevalentemente su un piano nazionale consentendo così una migliore razionalizzazione delle attività e delle risorse, permettono d’altronde di costruire misure che si adattano in maniera puntuale alle caratteristiche della platea dei destinatari che è composta in larga parte da giovani e da donne. In tale direzione va letta l’indicazione della ipotesi di rinnovo di andare verso un allargamento ulteriore della assistenza sanitaria fino a ricomprendere i familiari dei lavoratori.

Altro aspetto su cui porre l’attenzione è la regolamentazione del lavoro agile. L’ipotesi di rinnovo è uno dei primi accordi nazionali che prevede una normazione di tale modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Al di là della sperimentazione di massa del lavoro da remoto di tipo domiciliare del periodo pandemico, alcuni ambiti professionali rappresentano il contesto ideale in cui il vero smart working potrebbe diffondersi.

L’ipotesi di rinnovo mantiene, accanto alla disciplina del lavoro agile, anche lo storico articolato relativo telelavoro, rinnovando una distinzione che, non solo sul piano normativo ma anche su quello concettuale e organizzativo, è più apparente che reale. L’intenzione dichiarata delle parti di armonizzare i due istituti dando vita ad un “cantiere permanente” in questo ambito della contrattazione può rappresentare un primo passo verso la consapevolezza del mutamento dei modelli organizzativi delle attività professionali e dalla necessità di definire e regolare un lavoro che sia strutturato per progetti, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli spazio-temporali, dando così una risposta concreta alle istanze di qualità e produttività del lavoro in una prospettiva di effettiva sostenibilità del lavoro per entrambi i contraenti (lavoratore e studio professionale).

Da ultimo non possiamo non rilevare che l’ipotesi di rinnovo introduce una disciplina completa di tutte le tipologie di apprendistato. Come noto il contratto di apprendistato nasceva per essere il canale privilegiato, se non in taluni casi esclusivo, di ingresso dei giovani, anche laureati, nel mercato del lavoro, nell’ottica di un rinnovato e più moderno raccordo tra l’impresa, il mondo delle professioni e il sistema educativo di istruzione e formazione compresa l’alta formazione universitaria.

Ormai si conoscono gli incentivi e le enormi potenzialità, ma anche i limiti di uno strumento che è stato penalizzato dalla concorrenza dei tirocini extracurriculari e da un intreccio di competenze regolative, specialmente per quelle tipologie di apprendistato, come nel caso dell’apprendistato duale, la cui attuazione dipende in larga parte dalla iniziativa delle Regioni. È paradossale che molte delle Regioni che registrano i più alti tassi di disoccupazione giovanile e dispersione scolastica non ne abbiano colto il vero valore o, se lo hanno fatto, hanno adottato normative poco duttili e inadatte alle esigenze dei datori di lavoro. Ma anche nelle Regioni più virtuose, in cui si fatica a trovare lavoratori e a soddisfare i fabbisogni professionali, si scontano numerose difficoltà applicative. I numeri sull’utilizzo dell’apprendistato sono emblematici e sono ben rappresentati dal Rapporto di monitoraggio Inapp che mostra qualche luce e molte ombre tra cui l’assenza in Italia di un sistema di formazione duale, pure tracciato dal legislatore, analogo a quello dei Paesi dove la qualità e la produttività del lavoro sono fattori trainanti dei processi economici e sociali.

In questo quadro una regolamentazione completa da parte del contratto collettivo degli studi e delle attività professionale potrà essere uno stimolo sia per i professionisti sia per le Regioni per prendere consapevolezza dei grandi vantaggi dell’apprendistato e della sua possibile funzione strategica di avvicinamento dei giovani al mondo della libera professione. È questa la finalità dell’apprendistato di terzo livello nella sua articolazione dell’apprendistato per il praticantato che le parti firmatarie dell’ipotesi hanno voluto introdurre dedicandogli un apposito spazio nel proprio mercato del lavoro.

di Michele Tiraboschi (Ordinario di diritto del lavoro presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia – Coordinatore scientifico di Adapt) – da Il Libero Professionista Reloaded #22

 

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