Spesa sanitaria, Corte dei conti: Ssn sottofinanziato ma ora si investe al Sud
Un servizio sanitario che spende sempre meno per il personale e sempre più per i beni ed i servizi. E una tendenza al risparmio che la pandemia di Covid-19 ha intaccato meno che in altri paesi. Sono i dati chiave nell‘imponente Rapporto della Corte dei conti sugli esercizi Ssn 2022 e 2023.
Un servizio sanitario che spende sempre meno per il personale e sempre più per i beni ed i servizi. E una “risparmiosità” che la pandemia di Covid-19 ha intaccato meno che in altri paesi. Sono i dati chiave nell’imponente Rapporto della Corte dei conti sugli esercizi Ssn 2022 e 2023. Un documento in cui i magistrati contabili spiegano alle Camere se i soldi della sanità sono stati spesi e se hanno portato i servizi attesi dai residenti nelle 21 regioni e province autonome. La risposta è abbastanza positiva se non fosse per un dato eclatante: la nostra spesa sanitaria è bassa e gli italiani mettono più soldi di tasca loro per la salute rispetto agli altri europei. Dal 2020 anno del Covid, con i vari provvedimenti di potenziamento, la spesa sanitaria pubblica, che si era attestata intorno ai 110 miliardi annui, è salita a 122,7 miliardi nel 2020, 127,5 nel 2021 e 131,1 nel 2022. È sostenuta per l’87% da Irpef ed Iva: ma attenzione, pesa di più l’Iva (imposta indiretta, 61% del totale) e ha sostituito l’Irap, i cui “proventi” – essendo stata circoscritta tre anni fa a meno categorie – sono crollati di un 22%.
La spesa pubblica non basta – In pandemia l’aumento della spesa sanitaria complessiva è stato del 15,5% contro il 19 della Francia, il 18,4 della Germania, il 28 del Regno Unito. L’incidenza della spesa sanitaria pubblica si è attestata al 6,7% del prodotto interno lordo, siamo stati superati anche dalla Spagna (7,3% di incidenza della spesa sul Pil) e affiancati dal Portogallo, alle spalle resta solo la Grecia. La Germania, come stato, per la salute dei residenti spende 3 volte più di noi, la Francia 2 volte di più. E non hanno un servizio sanitario pubblico. Ergo, la spesa sanitaria privata delle famiglie italiane nel 2022 è ammontata al 21,4% della spesa sanitaria totale, mentre nei paesi delle tante mutue come Francia e Germania si è attestata rispettivamente al 9% e all’11%. Un Italiano spende di media 920 dollari l’anno contro gli 882 di un tedesco (e il nostro costo della vita per vari beni è metà di quello sostenuto in Germania) e i 544 di un francese. Una sperequazione che inizia a far soffrire le regioni a più basso reddito: ogni dieci 65 enni italiani medi che hanno di fronte a loro 10 anni di vita senza disabilità, ce ne sono 11 al Nord, 8 al Sud e 7 nelle Isole. Un gap che i governi dalla pandemia in poi hanno cercato di colmare. Come? In primo luogo, affiancando, nel 2022, nel riparto del Fondo sanitario tra le regioni, tassi di mortalità, occupazione e bassa scolarizzazione al coefficiente (che resta prevalente) della popolazione residente pesata per età. In secondo luogo, investendo di più al Sud: c’è stato un balzo (+6,5%) nel 2020, seguito da un assestamento (+5% annuo nel ’22 e ’23) con una crescita del 50% degli stanziamenti agli enti sanitari del Mezzogiorno, oltre un terzo di più che in Asl ed ospedali del Centro-Nord.
Il Sud riduce i gap – Le politiche sanitarie italiane, tuttavia, restano più orientate a tamponare guasti esistenti che rivolte al futuro. Se manca il personale ed è complicato rispettare i tetti ci si rivolge alla coop: anche così è cresciuta la spesa per beni e servizi che, attestandosi al 39% del Fondo sanitario, ha superato la fetta di spesa per il personale pubblico, pari al 37%. Per gli anni 2024-26, la spesa sanitaria crescerà rispettivamente di 3 miliardi, 4 miliardi e 4,2 miliardi in gran parte destinati a far diminuire le liste d’attesa, non più tornate ai livelli ante pandemia. Gli effetti di queste politiche di riequilibrio sono stati contrastanti: dopo la pandemia sono continuati e ripresi i viaggi della speranza di pazienti dal Sud al Nord, con la Lombardia che in 2 anni ha accantonato 5,6 miliardi di ricavi, l’Emilia Romagna 3,4, il Veneto e la Toscana intorno al miliardo; dall’altra parte i conti nelle regioni del Sud – Campania, Puglia, Abruzzo – evidenziano una riduzione dei gap con le regioni del Nord in termini di offerta sanitaria misurata sulla griglia dei Lea (livelli essenziali di assistenza); nelle regioni più distanti dal Nord è andata peggio, però.
Personale ad alta resa – Altra nota buona: malgrado il crollo dei medici di famiglia, le cure territoriali hanno continuato ad offrire alta resa e a salvare vite più che nel resto dei paesi Ocse. L’adesione agli screening è ai livelli europei o appena sopra, la mortalità prevedibile è 91 casi su 100 mila abitanti contro i 158 dell’area Ocse, i ricoveri inappropriati per infarto miocardico 214 ogni 100 mila abitanti, contro i 463 dei paesi Ocse. E questo anche se abbiamo un terzo degli infermieri in meno di media, 6 ogni 1000 abitanti contro 9. La sanità ha comunque bisogno di professionisti, e i nostri livelli occupazionali 2022 restano ai livelli del 2009, con la spesa per il personale che, intuitivamente, in 13 anni è cresciuta molto meno dell’inflazione.
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