«Ora parlo io...». La rabbia, l’amore e l’orgoglio di chiamarsi Craxi
Puntuale come i lombardi ma passionale come i siciliani, la senatrice di Forza Italia si porta dietro la «tragedia umana e politica» di Mani Pulite. Da giovane voleva farsi strada da sola, ma oggi «voglio dimostrare di essere la figlia di Bettino Craxi»
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«Papà! Me lo hanno ammazzato!». Il pensiero le attraversa la testa per un secondo, quando Stefania Craxi viene a sapere che non c’è solo il tumore ad avvelenare il corpo di suo padre Bettino. Anche il cuore è malato. E non si sa quanto potrà reggere alla malattia del corpo e dell’anima. «La nostalgia dell’Italia era lancinante». Ma Bettino Craxi non può essere curato a casa, né in Francia: il leader socialista è persona non grata. Anche se Stefania Craxi aveva sondato le stanze dell’Eliseo con Giuliano Ferrara, che lo aveva chiesto a D’Alema in persona. Niente da fare. «La politica con mio padre ha avuto a che fare con la vita e con la morte», dice la senatrice di Forza Italia. E solo alla fine dell’intervista capiamo che cosa vuol dire.
Ma prima ci sono i giorni felici, le origini. «Ogni anno, compatibilmente con gli impegni, il 10 maggio vado a San Fratello per guidare la processione dei Santi Patroni, Alfio, Cirino e Filadelfio: a cavallo, dalla chiesa in centro al paese fino alla chiesetta che c’è sul monte opposto, dove un tempo c’era l’antica città romana di Apollonia». Questo per dire che Stefania Craxi è sì nata a Milano, ma per metà si sente siciliana. La famiglia del padre è di questo paesino sui monti Nebrodi affacciato sul mare, dove per altro viveva il trisavolo Federico Craxi, il magistrato che processò Crispi per lo scandalo della Banca romana.
Lei tiene vivo il legame perché è puntuale come i lombardi ma passionale come i siciliani. E pure gelosa. Del papà lo era da matti, come lui lo era per lei. Tanto che lui di ragazzi non voleva sentirne parlare come lei non voleva sapere delle ragazze che non erano sua madre. «Mio padre è piaciuto alle donne da sempre, fin da ragazzo. Facilissimo conquistarlo, difficile tenerselo: c’è riuscita solo mia mamma con una capacità di amore e perdono che ancora le invidio». Lei invece di scenate ne ha fatte. Ma «forse ho equivocato il mio ruolo». E qui entriamo anche nel cuore di chi è Stefania Craxi: la figlia di Bettino o una ragazza che porta un cognome ma ci va oltre? Tutte e due le cose, ovviamente. Ma con un prima e dopo: da giovane ne avrebbe fatto a meno, di quel cognome, per fare la strada a modo suo. «Volevo costruire la mia vita». Oggi invece «voglio dimostrare che sono la figlia di Craxi». Cioè la bambina che guarda dal basso quel padre «tutto politico» che le sembra gigante e trova l’unico linguaggio per poterci comunicare: la politica, appunto.
Comincia a seguirlo ovunque, nei comizi e nei viaggi, le uniche cornici private dentro la dimensione pubblica. Crescendo vorrebbe fare la giornalista, ma racconta che il cognome glielo ha impedito. E così finisce a contatto con le televisioni locali e impara a fare un po’ tutto. Fino a diventare produttrice: insieme al marito comincia a fare i programmi pomeridiani per bambini fondando una società indipendente. «Era bellissimo, quel mestiere mi consentiva di fare una vita da circense». Ma averlo lasciato non è stato un sacrificio, solo il corso naturale del suo destino. Anche il partito è stata una scelta obbligata: «Forza Italia è la mia casa, la casa che mi ha accolto, mi ha rispettato, mi ha dato agibilità politica, ha messo Craxi nel suo pantheon, e ha recepito i valori in cui io mi riconosco». E saprà tenere dritta la barra del garantismo senza il Cav? «Fa parte del suo dna: la cultura del riformismo socialista è parte integrante della cultura di Forza Italia, che ha messo insieme i grandi umanesimi del paese, l’umanesimo cattolico, quello socialista, e quello liberale».
Stefania Craxi va a caccia di cinghiali nella Maremma toscana perché le dà adesione alla comunità. È una «cristiana non credente». Si considera «una socialista riformista». Come oggi si proclamano in tanti, a sinistra, ma solo a chiacchiere, dice lei. Che all’avversario politico è un po’ allergica. «Perché Mani pulite è l’atto fondativo del Pd». E qui veniamo al capitolo giustizia e politica. Stefania Craxi vuole ridare dignità alla politica, che si è ridotta a casta nel linguaggio del populismo. Vuole parlare delle condanne a suo padre. Che le sembrano ingiuste ma non solo a lei, «anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo». Ciò che ha stroncato la Prima Repubblica «è stata una tragedia umana e politica per la mia famiglia. Ma anche per il paese. Per il male arrecato a centinaia di famiglie in Italia, gente che ha perso l’onore, il lavoro. Qualcuno la famiglia, qualcuno la vita. E i guasti di quella stagione li stiamo pagando ancora oggi».
Stefania Craxi è ancora arrabbiata anche se non coltiva il rancore. «Coltivo la memoria». Non parlerebbe di perdono, ma di un’unica ricomposizione possibile: una «riforma della giustizia che rimetta in equilibrio i poteri dello Stato». A cominciare dalla separazione delle carriere. Per il resto sostiene un modello di presidenzialismo. Ha la vocazione per gli esteri, come racconta la sua storia. E presiede la III Commissione Affari Esteri e Difesa di Palazzo Madama. Un impegno che non le sembra proprio una passeggiata, con due guerre alle porte.
Sui diritti civili è un po’ lontana dall’ortodossia della coalizione, aprendo a uno scenario possibile sul fine vita e volendo risparmiare la galera a chi ricorre alla maternità surrogata, anche se «non c’è un diritto a diventare genitori». Il carcere si usa quando non si può fare altrimenti, ragiona Craxi. Che il socialismo attinto a sinistra e praticato a destra ce l’ha nel sangue anche da parte di madre, la signora Anna Moncini, «donna colta e intelligente, che ha sempre avuto le sue opinioni e la forza di rispettarle». Una mamma che le ha permesso sempre «di fare una vita normale». A lei e suo fratello Bobo, con il quale invece non si capisce: non hanno mai fatto amicizia. Non come gli amici, quei pochi, che non sono scappati via prima e dentro gli anni di Hammamet. Che a parte quelli dell’infanzia nella piazzetta centrale sono gli anni del grande dolore. «Mio padre ha subito una persecuzione e un’irriconoscenza del tutto speciale, però anche noi avevamo minacce, avevamo le forze dell’ordine in casa, la finanza in ufficio e nelle banche. Sono stati anni difficilissimi». Ma anche se non riusciva a trovare una casa in affitto e le sembrava di essere diventata radioattiva, che nessuno la invitasse a cena non la faceva sentire sola. «Sono un po’ orsa», dice. «Mi basto da sola». E poi ci sono i suoi tre figli: Federico, Benedetta, e Anita, i cui nomi non sono un caso.
Riavvolgiamo il peggiore dei nostri. Gli ultimi giorni, la morte in esilio: c’era Stefania. «Arrivai quella mattina, mamma era partita e ancora oggi non so come abbia appreso la notizia. Papà non stava bene». La senatrice strizza gli occhi e ripensa a quell’ultimo intervento in ospedale, al papà che parla con l’anestesia ancora in circolo e le dice: «Il Generale Garibaldi non è più al mio fianco». Non era lucido, come invece lo è stato prima di andarsene. Quando si organizza l’ultimo pranzo e Bettino Craxi si mette a parlare di politica, come non sapeva fare altrimenti. Uno sguardo allo schermo nella stanza della tv e poi in camera, dove la figlia le porta il suo «benedetto caffè». Buio. Esce la prima agenzia stampa, il telefono squilla all’impazzata. Ma il mitico fax della casa in collina ha smesso di funzionare.
Francesca Spasiano per Huffpost
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