Ci aspetta un autunno rovente
Le nuove regole di bilancio
Trascrivo un passaggio interessante della Relazione del Governatore della Banca d’Italia:
«All’architettura economica europea mancano due elementi essenziali: una politica di bilancio comune e un mercato dei capitali integrato. Resta incompleto l’assetto dell’Unione bancaria. Senza queste lacune l’Europa avrebbe potuto rispondere meglio alle crisi degli ultimi quindici anni. L’esigenza di colmarle è pressante alla luce dell’instabilità del contesto geopolitico e degli ingenti investimenti che l’Europa deve realizzare.
In un’unione monetaria un bilancio centrale ha due funzioni principali: finanziare i beni pubblici comuni e rispondere alle fluttuazioni cicliche, sia smussandone l’impatto nel tempo – un compito che in qualche misura può essere svolto anche a livello nazionale – sia compensando tra paesi gli effetti di shock asimmetrici. Un bilancio europeo consentirebbe di definire l’orientamento fiscale complessivo non più come la somma delle politiche nazionali, ma in base alle esigenze dell’economia dell’area; permetterebbe di affrontare efficacemente shock comuni forti e prolungati, quali la pandemia o la crisi energetica, favorendo la coerenza tra politica di bilancio e politica monetaria. La recente riforma dei meccanismi di governo economico europei non ha segnato particolari progressi in queste direzioni, così come non ha introdotto la necessaria semplificazione delle regole. In mancanza di avanzamenti verso una politica di bilancio comune, qualunque riforma che intervenga solo sulle politiche nazionali rischia di fare apparire le regole europee sbilanciate verso il rigore e poco attente alle esigenze dello sviluppo. Le nuove norme contengono nondimeno aspetti innovativi coerenti con la crescita. Esse si concentrano sulla sostenibilità di medio termine del debito pubblico, anziché sulla calibrazione precisa e continua della politica di bilancio; ciò dovrebbe consentire una programmazione di più lungo periodo e percorsi di consolidamento fiscale realistici. Esse riconoscono inoltre la relazione fra le due leve necessarie per rafforzare la sostenibilità dei conti pubblici: la politica di bilancio, da un lato, e le riforme e gli investimenti necessari per lo sviluppo dall’altro lato. Gli effetti del nuovo impianto normativo dipenderanno da come esso sarà applicato: potrà rinvigorire l’economia europea se permetterà di coniugare la necessaria disciplina fiscale con il fine ultimo di favorire la crescita. Se le nuove regole daranno buona prova di sé, nel tempo si rafforzeranno la collaborazione tra Stati membri e la fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni europee e in definitiva nel futuro dell’Unione. Ciò consentirebbe di progredire verso una vera e propria unione di bilancio, che operi con adeguate risorse proprie e sia in grado di emettere debito». (Fonte: Banca d’Italia, Considerazioni finali del Governatore, Relazione annuale 2023)
Per capire la riforma della governance economia europea consiglio la lettura del dossier, marzo 2024, a cura dell’Osservatorio sulla finanza pubblica della Camera dei deputati al seguente link https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/OFP_03_GovernanceTrilogo_20240310.pdf?_1713180503570
Per affrontare la situazione bisogna aver chiaro il concetto della “spesa primaria” che è la spesa che lo Stato sostiene per il suo finanziamento e per gli investimenti, al netto degli interessi passivi che paga sul debito pubblico da cui si ricava l’indicatore economico dell’avanzo primario, dato appunto dalla differenza tra la spesa pubblica e le entrate al netto del costo del debito pubblico.
In sede di audizione alle Commissioni Riunite del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, la Ragioneria Generale dello Stato ha versato agli atti una memoria molto dettagliata https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg19/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/430/151/RAGIONERIA_GENERALE_DELLO_STATO.pdf
Nel 2023, su una spesa primaria pari a circa 1.072 miliardi di euro, la quota dello Stato si attesta a circa il 23% dopo aver detratto il 43%, pari a 461 miliardi, che va alla previdenza, il 13,7% che va alla sanità e il 7,8% che va all’istruzione.
Questi dati ci dicono due cose: la prima che la spesa pubblica è molto alta e rigida, la seconda che l’incidenza dello Stato si ferma al 23% circa e, quindi, gli spazi di manovra per rispondere alle esigenze della nuova governance europea sono ristrettissimi.
Il problema è il debito pubblico.
Nel suo libro, del quale consiglio vivamente la lettura, “Il pasto gratis” la prof. Veronica De Romanis, affronta il problema della spesa che qualifica facile per il Governo Renzi, miope per il Governo Conte1, illimitata per il Governo Conte2, buona per il Governo Draghi e difficile per il Governo Meloni.
Il Governatore della Banca d’Italia, nelle sue prime considerazioni finali, definisce l’elevato debito pubblico dell’Italia un “fardello e per ridurlo è necessario mantenere sotto controllo i conti, rilanciare la crescita e combattere sprechi di spesa e l’evasione fiscale”.
Alla fine del 2023 il debito pubblico italiano ammontava al 137% del PIL, una zavorra che costringe ogni anno a impegnare considerevoli risorse pubbliche per pagare interessi, sottraendole all’innovazione e allo sviluppo.
Serve un graduale e costante miglioramento dei conti pubblici collocando il debito in rapporto al prodotto su una traiettoria stabilmente discendente.
Quanto più la prospettiva di riduzione del debito sarà credibile, tanto minori saranno i rendimenti che gli investitori chiederanno per detenerlo.
Per trovare le risorse che ci consentano di allinearci, sia pure con la gradualità introdotta dei sette anni, sarà necessario tagliare le spese improduttive, senza se e senza ma.
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