Decreto Salva-Casa e la commerciabilità giuridica dei fabbricati
Per affrontare, nella maniera corretta, la tematica dell’incidenza della disciplina urbanistica sulla circolazione immobiliare (e quindi sull’attività notarile) va sempre tenuta distinta la questione della “commerciabilità giuridica” dalla questione della “commerciabilità economica” dell’immobile.
La commerciabilità giuridica (da intendersi come possibilità di porre in essere validi atti traslativi o divisionali aventi per oggetto edifici) non è preclusa dalla presenza di un qualsiasi abuso edilizio; solo in presenza dei cd. «abusi maggiori» (assenza di titolo o totale difformità) il bene è incommerciabile non potendo essere resa in atto la prescritta menzione del titolo edilizio che sia reale e riferibile all’immobile.
La validità di un atto traslativo o divisionale va esclusa SOLO se manca in atto la dichiarazione del titolo edilizio (anche, eventualmente in sanatoria), con il quale sia stata approvata la costruzione o la ristrutturazione cd. ricostruttiva o la ristrutturazione conservativa cd. «pesante», titolo che sia reale e riferibile all’immobile negoziato ovvero se manca in atto la dichiarazione di costruzione ante 67 che sia comunque veritiera.
L’incommerciabilità giuridica non è determinata dalla presenza dell’abuso edilizio «maggiore» ma dall’impossibilità di rendere in atto una dichiarazione veritiera, reale e riferibile all’edificio non essendo possibile rispettare le prescrizioni poste a pena di nullità dagli artt. 40 legge 28/02/1985 n. 47 e 46 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. in materia edilizia), che prevedono una «nullità testuale»; così Cass. SS.UU. 22 marzo 2019 n. 8230.
Diverso è il discorso in ordine alla commerciabilità economica ossia all’attitudine di un bene a costituire oggetto di un atto traslativo (ossia il suo appeal economico commerciale). La presenza di un abuso, anche se non di gravità tale da escluderne la commerciabilità giuridica, può invece compromettere la possibilità di alienare il bene.
Basti pensare che a seguito dell’eventuale acquisto il nuovo proprietario si troverà esposto alle sanzioni previste per l’abuso commesso (demolizione, rimessa in pristino, sanzione pecuniaria, ecc.), potrà vedersi impedita la possibilità di presentare nuovi progetti edilizi mancando lo “stato legittimo del fabbricato”, non potrà fruire di benefici fiscali (art. 49, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – T.U. in materia edilizia) e, inoltre, potrà incontrare non poche difficoltà nel procedere alla successiva rivendita dell’immobile. Tutto ciò non potrà che disincentivare il potenziale acquirente dal perfezionare l’acquisizione.
Inoltre, la stessa “tenuta” del contratto, se comunque posto in essere, può essere messa in discussione, in quanto la presenza di abusi edilizi (minori), pur non determinando la nullità del contratto, può, tuttavia, legittimare la richiesta di risoluzione dello stesso o la richiesta di riduzione del prezzo ovvero la richiesta del risarcimento dei danni subiti.
In questo contesto va valutato anche il nuovo Decreto cd. “Salva-casa” (D.L. 29/05/2024, n. 69 pubblicato in G.U. n. 124 del 29/05/2024) che agevolando la possibilità di regolarizzare gli abusi cd “minori” di fatto incide esclusivamente sulla cd. “commerciabilità economica”, poco o nulla sulla “commerciabilità giuridica” per la quale rimangono ferme le conclusioni cui si era giunti a seguito della sentenza della Cass. SS.UU. 22 marzo 2019 n. 8230, sopra citata.
Tale finalità è prontamente evidenziata nella stessa relazione illustrativa al Decreto in commento ove si legge che “appare … concreta e attuale la necessità di rimuovere situazioni di incertezza giuridica in merito allo stato di legittimità degli immobili con riferimento alle cd. ‘lievi difformità … difformità che spesso rallentano le operazioni di compravendita, in alcuni casi arrivando addirittura a comprometterle”
Così individua le cd. “lievi difformità” oggetto dell’intervento normativo la surrichiamata Relazione illustrativa:
- difformità cd. “formali”, derivanti da incertezze interpretative della disciplina vigente rispetto alla dimostrazione dello stato legittimo dell’immobile;
- difformità edilizie interne (cd. “tolleranze”), risultanti da interventi spesso stratificati nel tempo, realizzati dai proprietari dell’epoca in assenza di formale autorizzazione o segnalazione, rendendo oggi difficile comprovare lo stato legittimo dell’unità immobiliare;
- difformità che potevano essere sanate all’epoca di realizzazione dell’intervento, ma non sanabili oggi, a causa della disciplina della cd. “doppia conformità” che, richiedendo la conformità alla disciplina edilizia vigente sia al momento di realizzazione dell’intervento sia al momento della richiesta del titolo, non consentono di conseguire il permesso o la segnalazione in sanatoria per moltissimi interventi qualificati come parziali difformità, risalenti nel tempo, pur se conformi agli standard urbanistici.
Al riguardo, si afferma nella suddetta Relazione, che “preme sottolineare l’importanza di mantenere distinte le predette lievi difformità dalle ipotesi di abuso più gravi consistenti in interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire o di SCIA straordinaria, ovvero in assenza di tale titolo, ovvero di variazioni essenziali al progetto approvato”.
Non c’ è spazio, quindi, nel nuovo decreto per una semplificazione del procedimento di regolarizzazione di abusi quali l’assenza del titolo edilizio o la totale difformità, gli unici che possono compromettere la commerciabilità giuridica dell’edificio.
Pertanto, nulla di nuovo, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Salva-Casa, per il Notaio chiamato a stipulare un valido atto traslativo o divisionale.
Detto ciò, va segnalato che il Decreto Salva-Casa non introduce una sanatoria in senso “tecnico” sul tipo delle sanatorie straordinarie previste nel passato dalla legge 28/02/1985 n. 47, dalla legge 23/12/1994, n. 724, dal D.L. 30/09/2003 n. 269, convertito con legge 24/11/2003 n. 326, con possibilità di presentare istanza di sanatoria entro limiti temporali definiti.
Con il Decreto Salva-Casa si è introdotta una disciplina “a regime”, applicabile senza limitazioni temporali (se non in taluni casi solo per l’individuazione degli interventi da regolarizzare). Si è scelto quindi di intervenire, principalmente, sulla disciplina dettata dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. in materia edilizia) modificandone alcune norme.
In particolare vengono modificati:
- i)l’art. 6 del T.U.con ampliamento delle tipologie di interventi rientranti nella cd. “edilizia libera” (sono state previste anche le opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici la cui struttura principale sia costituita da tende, tende da sole, tende da esterno, ecc, con la precisazione che le opere in oggetto non possono determinare la creazione di un organismo edilizio rilevante e, comunque, di uno spazio stabilmente chiuso, con conseguente variazione di volumi e di superfici)
- ii)l’art. 9-bis del T.U.in tema di stato legittimo del fabbricato (per la sola ipotesi di fabbricato realizzato in epoca nella quale era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio); nella nuova norma si prevede che lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare sia stabilito, alternativamente (e non più congiuntamente come in precedenza): (i) o dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione (o che ne ha legittimato la stessa, come nel caso di sanatoria); (ii) o da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, a condizione che tale titolo sia stato rilasciato all’esito di un procedimento che abbia verificato l’esistenza del titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
Con riguardo a quest’ultima modifica, in relazione alla fattispecie di cui sub (ii), si è inteso valorizzare l’affidamento del privato nei casi in cui il Comune abbia nel passato “espressamente accertato” parziali difformità rispetto al titolo edilizio, ma non le abbia considerate rilevanti (procedendo alla contestazione dell’abuso), apparendo, altresì, ragionevole che l’amministrazione non possa poi contestare una difformità che nel procedimento relativo all’ultimo intervento edilizio abbia espressamente considerato tollerabile emanando un provvedimento favorevole al privato.
E’ previsto, inoltre:
- che sono ricompresi tra i titoli abilitativi ai fini dello “stato legittimo” anche quelli rilasciati o formati a seguito di accertamento di conformità previo pagamento delle relative sanzioni o oblazioni (articoli 36 e 36-bis del T.U.);
- che concorrono alla determinazione dello stato legittimo anche le cd. “fiscalizzazioni” (per la rimozione di abusi attraverso il solo pagamento delle sanzioni amministrative) ai sensi degli artt. 33, 34, 37 (commi 1, 3, 4, 5 e 6) e 38 del T.U. e la dichiarazione in tema di tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis del T.U. (resa da tecnico abilitato nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata).
Secondo quanto riportato nella Relazione Illustrativa al decreto le modifiche apportate all’art. 9-bis del T.U. “consentono di semplificare il riconoscimento dello stato legittimo dell’immobile, soprattutto nei casi in cui si è in presenza di difformità formali, stabilendo che lo stesso possa essere comprovato alternativamente in base al titolo originario che ha permesso la sua costruzione ovvero da quello conseguito in seguito a eventuali interventi costruttivi sul medesimo, in tal modo superando le difficoltà, riscontrate a legislazione vigente, nel comprovare lo stato legittimo degli edifici, soprattutto in riferimento agli immobili di passata realizzazione per i quali i titoli abilitativi risalgono a epoche risalenti nel tempo, ciò anche in considerazione del fatto che l’età media degli immobili italiani è tra le più alte in Europa…”.
iii) l’art. 23-ter del T.U. in tema di mutamento di destinazione d’uso. Con la nuova norma viene sempre consentito il mutamento della destinazione d’uso senza opere della singola unità immobiliare, nel rispetto delle normative di settore e ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, purché il mutamento avvenga:
- all’interno della stessa categoria funzionale;
- tra categorie funzionali omogenee tali essendo a tal fine considerate le categorie residenziale, turistico-ricettiva; produttiva e direzionale e commerciale, sempreché, in questo secondo caso, si tratti di singola unità immobiliare in maggiori immobili ricompresi nelle zone classificate A, B e C in base ai vigenti strumenti urbanistici e sempreché il mutamento sia finalizzato alla forma di utilizzo prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nello stesso immobile (esclusa le necessità del reperimento di ulteriori aree per servizi di interesse generale ed escluso il vincolo della dotazione minima obbligatoria dei parcheggi previsto dalle vigenti normative).
Per il mutamento di destinazione d’uso in questione è prescritta la presentazione della segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.).
- iv)l’art. 31 del T.U.in tema di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, per prevedere che l’opera abusiva eventualmente acquisita al patrimonio del Comune per inottemperanza all’applicazione delle sanzioni irrogate possa essere demolita purché la demolizione non contrasti, oltre che con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, come già previsto, anche con rilevanti interessi culturali e paesaggistici. Nel caso in cui l’opera non contrasti con i suddetti interessi, il Comune potrà, previo parere delle amministrazioni competenti ai sensi dell’art. 17-bis legge 07/08/1990, n. 241, in alternativa alla demolizione diretta, provvedere all’alienazione del bene e dell’area di sedime condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive. Il valore venale dell’immobile è determinato dall’Agenzia del Territorio tenendo conto dei costi per la rimozione delle opere abusive.
- v)l’art. 34-bisdel T.U. in tema di tolleranze costruttive ed esecutive.
Innanzitutto, con riguardo alle tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis, comma 1, T.U., si prevede che, in relazione agli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, dette tolleranze sono riparametrate in misura inversamente proporzionale alla superficie utile. Pertanto, minore è la superficie utile e maggiore è il limite consentito percentualmente.
La nuova disposizione prevede che, in relazione agli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro i seguenti limiti:
- del 2% delle misure previste dal titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile superiore ai 500 metri quadrati;
- del 3% delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 300 e i 500 metri quadrati;
- del 4% delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 100 e i 300 metri quadrati;
- del 5% delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile inferiore ai 100 metri quadrati.
Ai fini del computo della superficie utile, la norma in commento precisa che si dovrà tenere conto della sola superficie assentita con il titolo edilizio che ha abilitato la realizzazione dell’intervento, al netto di eventuali frazionamenti dell’immobile o dell’unità immobiliare eseguiti nel corso del tempo. Tale previsione è finalizzata a evitare possibili condotte di frazionamento meramente strumentali a ottenere l’applicazione di un regime più favorevole.
Per gli interventi successivi al 24 maggio 2024 rimane fermo il limite unico del 2% rispetto alle misure di progetto.
Nel decreto “Salva-Casa” si prevede, inoltre, per coordinamento con la normativa in materia di autorizzazioni paesaggistiche, che gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 e di cui all’art. 34-bis T.U. (Tolleranze costruttive) sono soggetti al regime di cui all’art. 2, comma 1, del DPR 13/02/2017, n. 31 con conseguente esclusione dall’obbligo di autorizzazione paesaggistica anche per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 che rientrino nei limiti delle tolleranze costruttive riparametrati ai sensi del nuovo comma 1-bis dell’articolo 34-bis e non solo nel limite del 2% come previsto, in via generale, dalla suddetta norma del DPR. 31/2017 (art. 3, comma 1, D.L. 29/05/2024, n. 69).
Con riguardo, invece, alle tolleranze esecutive di cui all’art. 34-bis, comma 2, T.U., la nuova disposizione prevede che per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 costituiscono tolleranze esecutive (in aggiunta a quelle già previste dal comma 2) anche:
- il minore dimensionamento dell’edificio;
- la mancata realizzazione di elementi architettonici non strutturali;
- le irregolarità esecutive di muri esterni e interni;
- la difforme ubicazione delle aperture interne;
- la difforme esecuzione di opere rientranti nella nozione di manutenzione ordinaria;
- gli errori progettuali corretti in cantiere e errori materiali di rappresentazione progettuale delle opere.
La nuova disposizione prevede poi specifici e articolati adempimenti per il caso di tolleranze costruttive ed esecutive riguardanti unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche a eccezione di quelle a bassa sismicità.
Si prevede, infine, che l’applicazione delle disposizioni in tema di tolleranze costruttive e/o esecutive non può comportare limitazione dei diritti dei terzi. A tal fine il tecnico abilitato dovrà verificare la sussistenza di possibili limitazioni dei diritti dei terzi, e indicare le attività necessarie per eliminare tali limitazioni nonché presentare i relativi titoli edilizi, ove necessari. La formazione dei titoli suddetti e la concreta esecuzione dei relativi interventi è condizione per la redazione della dichiarazione in ordine alle tolleranze costruttive/esecutive da parte di tecnico abilitato ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili ai sensi dell’art. 34-bis, comma 3, T.U.
- vi) l’art. 36 del T.U. in tema di accertamento di conformità. Il Decreto Salva-Casa interviene in materia con misure semplificatorie esclusivamente in relazione alle fattispecie abusive di minor gravità, ossia le parziali difformità.
La caratteristica dell’accertamento di conformità, così come disciplinato dal T.U. sino all’entrata in vigore del Decreto “Salva-Casa”, consisteva nel fatto che la relativa sanatoria poteva essere chiesta e ottenuta soltanto qualora sussistesse il requisito della cd. “doppia conformità” dell’opera sia alla normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della realizzazione sia a quella in vigore al momento della presentazione dell’istanza. Il Decreto “Salva-Casa”, interviene sul punto prevedendo due distinte fattispecie di “accertamento di conformità” con diversa disciplina in ordine alla necessità della “doppia conformità”:
(i) la prima, disciplinata dall’art. 36 T.U., nel testo modificato dal Decreto “Salva-Casa”, e per la quale la sanatoria rimane subordinata alla “doppia conformità” (necessità della conformità alla normativa urbanistico-edilizia vigente sia al momento della realizzazione che al momento della presentazione dell’istanza) che riguarda le ipotesi di:
- assenza, totale difformità o variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire di cui all’articolo 31 T.U.;
- assenza, totale difformità o variazioni essenziali rispetto alla segnalazione certificata inizio attività prevista dall’articolo 23, comma 01, del T.U. (c.d. Super-SCIA).
(ii) la seconda, disciplinata da un nuovo articolo, l’art. 36-bis, per la quale non è più necessaria la “doppia conformità” alla disciplina urbanistico-edilizia, che riguarda le ipotesi:
- di parziali difformità dal permesso di costruire;
- di parziali difformità dalla cd. “Super-SCIA” (art. 34 del T.U.);
- di assenza o difformità dalla SCIA “ordinaria” (art. 37 del T.U.).
Il suddetto nuovo art. 36-bis prevede, in particolare, che in caso di esecuzione degli interventi di cui sopra, fino alla scadenza del termine di cui all’art. 34, comma 1, T.U. (di rimozione e/o demolizione degli abusi fissato nell’ordinanza del Dirigente o del responsabile dell’ufficio) e comunque fino all’irrogazione delle relative sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso di costruire in sanatoria e/o presentare la SCIA in sanatoria se l’intervento risulti conforme:
- alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda;
- ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento.
Per gli abusi di cui all’art. 36-bis del T.U., pertanto si distingue tra conformità alla disciplina urbanistica e conformità alla disciplina edilizia. Per ottenere la sanatoria, infatti, necessitano:
- la conformità alla disciplina urbanistica in vigore al momento in cui viene fatta la richiesta di sanatoria (a prescindere invece dalla conformità alla disciplina edilizia vigente in questo momento);
- la conformità alla disciplina edilizia in vigore al momento della realizzazione dell’intervento (a prescindere invece dalla conformità alla disciplina urbanistica vigente in quel momento).
La richiesta del permesso di costruire o la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria debbono essere accompagnate dalla dichiarazione del tecnico abilitato che attesti le necessarie conformità. Per la conformità edilizia, la dichiarazione è resa con riferimento alle norme tecniche vigenti al momento della realizzazione dell’intervento. L’epoca di realizzazione dell’intervento è provata mediante la documentazione prevista per la determinazione dello stato legittimo ex art. 9-bis, comma 1-bis, del T.U.. Nei casi in cui sia impossibile accertare l’epoca di realizzazione dell’intervento mediante detta documentazione, il tecnico incaricato attesta la data di realizzazione con propria dichiarazione e sotto la sua responsabilità (comma 3, del nuovo art. 36-bis del T.U.).
Si prevede, inoltre, che lo Sportello unico del Comune possa condizionare il rilascio del provvedimento di sanatoria o l’efficacia della S.C.I.A. in sanatoria, alla realizzazione, da parte del richiedente, entro il termine assegnato, degli interventi edilizi necessari ad assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza, igiene, salubrità, efficienza energetica degli edifici e degli impianti negli stessi installati, superamento delle barriere architettoniche e la rimozione delle opere che non possono essere sanate (comma 2, del nuovo art. 36-bis del T.U.).
Con particolare riferimento ai profili procedurali, per il caso di richiesta di rilascio del permesso di costruire in sanatoria, la nuova disposizione introduce il meccanismo del “silenzio assenso” prevedendo che sulla richiesta di permesso in sanatoria, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale debba pronunciarsi con provvedimento motivato entro 45 giorni, decorsi i quali la richiesta si intende accolta. Per le SCIA, si applica, invece, il termine di 30 giorni di cui all’articolo 19, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241.
In caso di immobili soggetti a vincolo paesaggistico, i predetti termini sono sospesi fino alla definizione del procedimento di compatibilità paesaggistica, così come espressamente disciplinato al comma 4 del nuovo art. 36-bis del T.U. Decorsi i predetti termini, eventuali successive determinazioni del competente ufficio comunale sono inefficaci.
Tali termini sono interrotti qualora l’ufficio rappresenti esigenze istruttorie, motivate e formulate in modo puntuale nei termini stessi, e ricomincia a decorrere dalla ricezione degli elementi istruttori. In caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per la sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica le sanzioni del T.U. (comma 6, del nuovo art. 36-bis del T.U.)
Il rilascio del permesso in sanatoria e la presentazione della SCIA in sanatoria, ex art. 36-bis, T.U., sono subordinati al pagamento di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi, e comunque in misura compresa tra €. 1.032,00 e €. 30.987,00.
E’ previsto poi un incremento della sanzione nel caso l’immobile sia soggetto a vincoli paesaggistici ma venga, comunque, accertata la compatibilità paesaggistica, sanzione pari al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione (il relativo importo è determinato previa perizia di stima) (comma 5, del nuovo art. 36-bis del T.U.).
Queste le modifiche apportate al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. in materia edilizia).
Il Decreto Salva-Casa, peraltro, detta anche disposizioni volte al “recupero” delle strutture amovibili realizzate durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, con la finalità di consentire il mantenimento di quelle strutture che si ritengono di utilità sociale, realizzate per finalità sanitarie, assistenziali ed educative.
Tali strutture potranno rimanere installate, in presenza di comprovate e obiettive esigenze idonee a dimostrarne la perdurante necessità, in deroga al vincolo temporale previsto dall’articolo 6, comma 1, lettera e-bis), del T.U. (che prevede l’obbligo di rimozione delle opere stagionali e di quelle dirette a soddisfare esigenze contingenti e temporanee entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto).
Gli interessati dovranno presentare una C.I.L.A. (ai sensi dell’articolo 6-bis del T.U.) nella quale dovranno essere indicate le comprovate e obiettive esigenze idonee a dimostrarne la perdurante necessità oltre all’indicazione dell’epoca di realizzazione della struttura. In ogni caso l’applicazione delle disposizioni contenute della disposizione in commento non può comportare limitazione dei diritti dei terzi.
Nel confermare come il Decreto Salva-Casa incida sulla sola commerciabilità economica degli edifici rimuovendo o consentendo la rimozione di irregolarità che possono rendere poco attrattivi detti immobili sul mercato immobiliare, e ciò non solo con la semplificazione della proceduta di attestazione di stato di legittimo o con l’ampliamento delle fattispecie di mutamento di destinazione d’uso o di tolleranze costruttive ed esecutive ma, soprattutto con la semplificazione della sanatoria mediante l’accertamento di conformità, svincolandola dalla necessità della “doppia conformità”, limitatamente peraltro alle sole parziali difformità.
A tal riguardo, peraltro non si può non osservare come, in molte situazioni, vi sarà un’oggettiva difficoltà di classificazione dell’abuso ossia vi sarà un’incertezza in ordine alla riconduzione della singola fattispecie nell’ambito della parziale difformità piuttosto che nell’ambito della variazione essenziale, con il rischio che si creino diverse e contrastanti prassi applicative, con la conseguenza che la medesima fattispecie abusiva venga considerata parziale difformità con possibilità di sanatoria senza la “doppia conformità” in taluni Comuni ovvero variazione essenziale con possibilità di sanatoria subordinata alla “doppia conformità” in altri Comuni, creando una poco auspicabile disparità di trattamento tra i cittadini e occasioni di contenziosi giudiziari. Ovviamente la disamina che precede dovrà essere rivista alla luce delle presumibili modifiche che al testo del decreto saranno apportate in sede di conversione in legge.
Giovanni Rizzi Notaio in Vicenza
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