Il nuovo Ccnl promuove l'apprendistato.
Ma gli studi professionali rinunceranno ai tirocinanti gratis?
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Un aggiornamento che cerca di andare nel senso di rinnovare gli studi professionali e aiutarli a trovare personale dipendente da assumere, cercando tra le altre cose di favorire l’ingresso attraverso l’apprendistato per il praticantato, disciplinandolo. Ma ora bisognerà attuarlo attraverso i protocolli con i singoli ordini professionali.
Secondo l’ottavo Rapporto sulle libere professioni dell’Osservatorio di Confprofessioni, in Italia «nel 2022 poco più di 53mila liberi professionisti hanno gettato la spugna. Dopo oltre dieci anni di crescita continua, interrotta solo dalla pandemia, si ferma la corsa dei liberi professionisti in Italia», con un calo di quasi il quattro per cento rispetto al 2021. In questo contesto negativo si ridisegna, però, la configurazione degli studi, con un aumento di quelli con dipendenti.
Gli articoli del nuovo contratto dedicati all’apprendistato sono il 29, 30 e 31: il primo riguarda l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, destinato ai giovani dai 15 ai 25 anni il cui scopo è appunto l’acquisizione di un titolo di studio attraverso la formazione. Apprendistato che può durare fino a un massimo di tre o quattro anni e, una volta conseguito il diploma, può anche essere trasformato in apprendistato professionalizzante.
Di primo acchito quando si pensa a un giovane apprendista in uno studio professionale si fa fatica a figurarsi un minorenne: si pensa più facilmente a figure come avvocati, commercialisti, architetti, per le quali è necessaria una laurea. In realtà però l’apprendistato può essere utilizzato «per molte tipologie di figure che sono di tipo ancillare e di aiuto al professionista, quindi tutte quelle che collaborano attivamente all’interno del processo di studio», spiega alla Repubblica degli Stagisti Andrea Zoppo dell’Ufficio studi di Confprofessioni: «Per esempio, gli assistenti di studio odontoiatrico, che possono effettuare un apprendistato di primo livello, o gli assistenti di studio medico di famiglia, ma anche i collaboratori all’interno degli studi dei consulenti del lavoro. È una tipologia di strumento che si adatta bene a tutte quelle figure che collaborano e coadiuvano il professionista all’interno dello studio».
Sicuramente questo tipo di apprendistato è molto meno usato in Italia rispetto ad altri Paesi, come la Svizzera o la Germania, che vantano una lunga tradizione di apprendistati svolti da minorenni. Zoppo ricorda però che il lavoro minorile è già esistente e disciplinato in Italia, con una sua normativa: «Certamente in altri contesti all’estero c’è una cultura che ruota proprio intorno all’apprendistato per i minorenni: in Italia meno, ma anche da noi si sta diffondendo. La maggiore differenza, forse, è che qui è visto più come uno strumento per le aziende che come un metodo di trasmissione di insegnamenti e di formazione». Non sono necessarie, però, nuove regole per implementarlo: esistono già, e sono quelle relative al lavoro destinato ai giovani a partire dai 16 anni.
All’articolo 30 del nuovo contratto si disciplina, invece, l’apprendistato professionalizzante, che è finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale ai fini contrattuali e destinato ai giovani tra i 18 e i 29 anni. Questo apprendistato può durare fino a un massimo di 36 mesi.
Gli articoli 31 e 32 sono invece destinati all’apprendistato di alta formazione e ricerca e a quello per l’accesso alle professioni ordinistiche. Entrambi hanno una durata definita in base al percorso per l’acquisizione del titolo di studio universitario o di alta formazione, dottorato, o al periodo di praticantato previsto dai singoli ordini. Per il primo tipo nel nuovo ccnl si precisa che le parti firmatarie «manifestano la propria disponibilità ad eventuali sperimentazioni che il ministero del Lavoro, le università, le altre istituzioni formative o le singole Regioni intendano promuovere nell’ambito dell’apprendistato in percorsi di alta formazione e ricerca». In pratica bisognerà vedere se ora il ministero o le regioni decideranno di approfittare del nuovo contratto per firmare accordi che incentivino l’uso dell’apprendistato di terzo livello. Destinatari sono i giovani tra i 18 e i 29 anni in possesso di un diploma di istruzione secondaria superiore, o professionale.
Altro nodo centrale aggiornato nel nuovo contratto è l’apprendistato per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche, disciplinato all’articolo 32, che «deve essere obbligatoriamente svolto presso un professionista abilitato secondo la disciplina del rispettivo Ordine o collegio prima di essere ammessi a sostenere gli esami di abilitazione all’esercizio della professione». Come la Repubblica degli Stagisti aveva già svelato in un lungo approfondimento lo scorso anno, questo tipo di apprendistato esiste da molti anni ma è pressoché inutilizzato: nel 2021 ha coinvolto circa un centinaio di apprendisti, forse addirittura meno, in tutta Italia. E soprattutto è quello su cui si hanno meno dati certi.
«Il censimento sul numero di apprendisti negli studi professionali viene fatto ogni anno da Inapp e una parte cospicua è rappresentata dagli apprendisti di tipo professionalizzante, di secondo livello» spiega Zoppo: «Fare una scomposizione ulteriore per il terzo livello per vedere quanti sono i praticanti è più complicato, è un dato che non è mai stato censito». Il dato in realtà in qualche modo esiste ed è registrato dall’Inps, ma non è di facile reperibilità: «Attraverso le nostre associazioni territoriali abbiamo contezza di quello che succede ma c’è una certa difficoltà pratica nel reperire i numeri».
L’allarme l’aveva lanciato due anni fa anche il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, sottolineando che l’apprendistato per l’accesso alla professione dovesse essere maggiormente utilizzato e per questo fosse necessario snellire le procedure burocratiche per renderlo davvero efficace. Problematica che non riguarda i primi due tipi di apprendistato – per i quali tutto sommato c’è una tipologia di assunzione «abbastanza snella», osserva Zoppo – quanto quello di terzo livello per il praticantato. «In questo caso giocano un ruolo fondamentale altri soggetti, come le Regioni o gli ordini professionali che non sempre sono a favore del suo utilizzo».
La motivazione è presto detta: avere un giovane praticante all’interno dello studio con un vero contratto di lavoro come quello per l’apprendistato significa assumere un dipendente, con un contratto firmato una vera e propria retribuzione, dei contributi. Una situazione completamente diversa dal classico tirocinante che fa il suo percorso per l’accesso alla professione regolamentata, nei confronti del quale il titolare dello studio non ha dei veri obblighi. «Come Confederazione la nostra idea è stata quella di dare nuova linfa allo strumento che non veniva normato da parecchio tempo e renderlo più agevole per poterne ampliare la diffusione, dargli una spinta ulteriore».
Saranno ora i protocolli con i singoli ordini professionali a mettere a terra questi principi. Gli avvocati, per esempio, per loro principio fondante non possono svolgere la professione come dipendenti: quindi non possono assumere o essere assunti, in qualità di avvocati, con contratti subordinati. Al punto che, se un avvocato accetta una proposta di lavoro nell’ufficio legale di un’azienda, deve disiscriversi dall’Ordine degli avvocati. Ma la caratteristica tipica dell’apprendistato è proprio di essere un contratto di lavoro di tipologia subordinata: e al termine della fase formativa, se le parti non recedono il rapporto, questo prosegue in automatico a tempo indeterminato. Come si fa allora?
Zoppo osserva che «astrattamente anche per un avvocato sarebbe possibile, se permesso dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di riferimento della provincia o della regione», procedere all’assunzione di praticanti con un contratto di apprendistato, perché questi praticanti ancora non sono avvocati a tutti gli effetti, in quanto non ancora iscritti all’Albo. Secondo Zoppo ci sono già casi di questo tipo negli studi legali italiani: «non è raro». Anche perché «questo tipo di apprendistato per il praticantato è finalizzato appunto all’abilitazione professionale: una volta ottenuta, il contratto si scioglie e si prosegue l’attività lavorativa libero professionale indipendentemente dal contratto di riferimento».
L’obiettivo del nuovo contratto è anche quello di promuovere un incremento di nuovi apprendisti; ma tra «l’idea e la pianificazione iniziale e quello che poi si realizzerà» non c’è una certezza di rapporto – motivo per cui Zoppo dice che sarà necessario monitorare l’andamento. «Abbiamo cercato di introdurre lo strumento e ora vedremo come reagisce il settore, non abbiamo però fatto previsioni su chi potrà trarne maggiori vantaggi, perché potrebbero essere un po’ tutte le aree: da quella legale a quella tecnica, economica, amministrativa, sanitaria. Tutte le professioni possono trarre vantaggio».
Ora bisognerà aspettare il prossimo rapporto annuale sull’apprendistato di Inapp per vedere almeno a prima vista se i numeri saranno cresciuti anche se sempre col problema della scissione dei numeri non contemplata per il terzo livello che include l’alta formazione e ricerca e quindi l’apprendistato per il conseguimento di master, lauree, dottorati o praticantato, facendo di tutto un unico calderone.
Ma un’analisi di questo tipo interesserebbe anche la stessa Confprofessioni. «Vedremo in futuro quali mosse prendere per avere maggiore contezza di quello che accade», spiega Zoppo, precisando comunque che nell’immediato non è stato ancora pianificato nulla.
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