Paga sempre “Pantalone”?
Il 15 marzo 2023 pubblicavo su Diritto e Giustizia questo approfondimento che qui ripropongo con un aggiornamento-
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«Gli Stati Generali della previdenza dei professionisti e la Corte dei conti
Il 1° marzo 2023 è stata pubblicata la sentenza n. 88/2023 della Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello, che ha riformato la sentenza della Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio n. 644/2021.
La successione dei fatti è interessante e merita di essere ripercorsa per far capire, a chi frequenterà gli Stati Generali della previdenza dei professionisti, che la pensione obbligatoria di primo pilastro non può dipendere dai mercati finanziari, checché se ne dica in quella sede!
Con la sentenza n. 644/2021 la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio aveva riconosciuto la responsabilità di due consulenti per aver fatto ingiustamente sostenere all’ENPAM le spese per la ristrutturazione dei titoli finanziari derivati (cd. CDO) acquistati negli anni dal 2004 al 2007, condannandoli, in via solidale, alla rifusione della somma complessiva di € 39.479.541,60, oltre gli interessi legali e le spese di giudizio. Su impugnativa dei condannati, la Sezione Giurisdizionale di Appello della Corte di Appello ha riformato la sentenza con una motivazione che merita di essere ripresa e segnalata. Secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, proprio la criticità della composizione dei titoli sottostanti aveva comportato la necessità della loro ristrutturazione da parte di ENPAM e la loro sostituzione con altri titoli. A parere degli appellanti, a contrario, tale ristrutturazione non sarebbe stata affatto necessaria stante la natura dell’investimento e l’elevato rating dei titoli che ne garantiva la solidità e l’acclusa garanzia di restituzione del capitale alla scadenza. Poiché la scelta di effettuare la ristrutturazione dell’investimento non si sarebbe posta quale scelta necessitata, bensì quale libera e autonoma volontà dei vertici di ENPAM di modificare il portafoglio degli investimenti, non condizionata da alcun imminente rischio di perdita del capitale investito, gli appellanti concludevano nell’affermare che doveva essere esclusa la configurabilità di un qualsiasi nesso di causalità tra il danno patrimoniale prodottosi (le spese connesse alla ristrutturazione dei CDO) e le condotte dei medesimi serbate nella vicenda (la proposizione dell’investimento in titoli CDO).
Sul punto il Collegio ha rilevato che, come confermato dalle consulenze tecniche acquisite agli atti, l’investimento in titoli CDO si sostanziava, in vero, in un investimento in obbligazioni con rimborso del capitale alla scadenza, garantito da una pluralità di emittenti, in funzione di un rating assai elevato (AA+ e AAA), cui andava ad aggiungersi un rendimento annuo, la cui misura percentuale dipendeva dall’andamento di indici o titoli sottostanti. Come evidenziato anche nelle relazioni dei consulenti tecnici del P.M. penale, acquisite agli atti del giudizio di primo grado, le CDO in questione erano state appositamente realizzate per ENPAM, unico sottoscrittore, e godevano di una sorta di “cuscinetto di protezione” che garantiva il rimborso integrale del capitale, anche nell’ipotesi in cui i diversi titoli contenuti nel paniere fossero stati colpiti da default.
Orbene, in disparte il rendimento prodotto annualmente dai titoli in questione, la documentazione versata agli atti del giudizio, compresa quella proveniente dalla stessa fondazione ENPAM, conferma, in modo inequivocabile e incontestato, che i titoli strutturali di cui è causa, al momento della loro scadenza (quasi tutti l’anno 2016), non solo non hanno prodotto perdite, ma hanno addirittura generato rendimenti positivi. A tal fine, a parere del Collegio risultano rilevanti le conclusioni contenute nella consulenza del prof. Antonio Salvi del 29.04.2019 laddove, sulla base dell’effettiva evoluzione della prestazione dei titoli CDO, risulta dimostrato che se ENPAM avesse tenuto gli stessi fino alla loro naturale scadenza, non solo avrebbe guadagnato 6,1 milioni di euro ma avrebbe anche incassato le cedole annuali per un importo complessivo di 30,3 milioni di euro. Ne consegue che se ENPAM avesse mantenuto i citati titoli nel proprio portafoglio sino alla loro natura scadenza (anno 2016), invece che procedere, con notevole anticipo, alla loro ristrutturazione, (rectius: sostituzione), l’ingente danno patrimoniale, oggetto del presente giudizio contabile, non si sarebbe verificato.
Infatti, tutti i titoli, nonostante le sopravvenienze sfavorevoli verificatisi nei mercati finanziari internazionali a partire dal 2008, se la ristrutturazione non avesse avuto luogo, sarebbero stati integramente rimborsati alla loro naturale scadenza e avrebbero generato anche un rendimento positivo, compresi i tre titoli collocati da Lehman Brothers.
Secondo la Corte dei Conti, l’ENPAM avrebbe dovuto ponderare con maggiore attenzione e prudenza la decisione di procedere alla ristrutturazione dei CDO, tanto più che nel 2010 il termine di scadenza risultava ancora lontano (oltre un quinquennio) e che verosimilmente, stante anche la ciclicità degli andamenti dei mercati finanziari, sussistevano ancora ampi margini di recupero delle eventuali perdite (come poi di fatto avvenuto).
Per la Corte dei conti, in buona sostanza, l’operazione di ristrutturazione dei CDO, cui è conseguito l’ingente danno patrimoniale subito da ENPAM, non era affatto necessaria con la conseguenza che deve escludersi qualsiasi nesso di causalità per il danno di cui è causa e le condotte degli appellanti.
Risulta per tabulas che ai fini dell’operazione di ristrutturazione, ENPAM ha sostenuto ingenti costi, pari a complessivi € 65.799.236,00 rappresentanti il danno contestato dalla Procura Regionale nell’atto di citazione e ripartiti come segue:
– € 43.678.532,00 a titolo di commissioni liquidate agli advisor per i titoli CDO;
– € 761.109,38 a titolo di spese legali per la rinegoziazione dei titoli CDO;
– € 3.148.985,82 a titolo di spese legali inerenti alle azioni di rivalsa nei confronti delle banche emittenti i titoli CDO;
– € 17.590.641,74 a titolo di minus valenze realizzata in bilancio a seguito della dismissione dei titoli Safir e del titolo Anthtracite;
– € 619.967,06 a titolo di spese legali attinenti alla negoziazione dei titoli Lehman Brothers.
Chi paga questi danni? Ovviamente Pantalone. E chi è Pantalone? Sono gli iscritti in ENPAM, obbligati per legge ad esserlo.
Le conclusioni le lascerei al valente giornalista Giorgino che condurrà gli Stati generali.
Io riporto le dichiarazioni in allora: “….Però il procedimento – nel quale come Fondazione ci costituimmo parte civile – ha permesso di cristallizzare determinati fatti che oggi ci hanno fatto ottenere dalla Corte dei Conti il diritto a 40 milioni di risarcimento. Tanti penseranno che sono soldi che non vedremo mai. Io posso solo rispondere con i fatti: abbiamo chiesto risarcimenti alle banche e li abbiamo ottenuti (cifre anche ben più alte di quelle indicate in quest’ultima sentenza); quando siamo stati vittime di mala gestio abbiamo fatto causa e non solo sono arrivati i provvedimenti favorevoli dei giudici, ma anche i bonifici. Infine un “com’è andata a finire”: grazie alla ristrutturazione sui Cdo non ci abbiamo rimesso un euro, anzi ci abbiamo guadagnato. Il margine non è stato alto e di sicuro non è stato proporzionale al rischio corso. Di certo il buco non c’è mai stato, il fondo svalutazione si è azzerato in pochi anni e la Giustizia sta facendo il suo corso” (www.enpam.it/2021/la-corte-dei-conti-da-ragione-allenpam-sentenza-da-40-milioni/)» (Gli Stati Generali della previdenza dei professionisti e la Corte dei Conti, Diritto e Giustizia del 15.03.2023).
Ora è accaduto che l’ENPAM ha proposto ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione avverso la sentenza della Corte dei Conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello – n. 88/2023, depositata in data 01.03.2023 e notificata il 29.05.2023.
Ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., il Presidente di Cassazione ha formulato una sintetica proposta di definizione del giudizio, quando ravvisa l’inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso principale comunicando la proposta ai difensori delle parti.
Entro 40 giorni dalla comunicazione la parte ricorrente, in questo caso l’ENPAM, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, poteva chiedere la decisione.
Con ordinanza pubblicata il 07.06.2024, si ha però notizia che è trascorso il termine di 40 giorni senza che l’ENPAM abbia chiesto la decisione del ricorso cosicché, a norma dell’art. 380 bis c.p.c., il ricorso deve intendersi rinunciato e la Corte di Cassazione ha dichiarato estinto il giudizio condannando l’ENPAM al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 25.200,00 oltre al 15% per spese generali e accessori di legge.
Chi pagherà i danni ingenti conseguenti alla ristrutturazione dei CDO e le spese?
Penso Pantalone e cioè tutti gli iscritti ENPAM.
Ricordo che è il MEFOP ad ammonire che “la complessità dei mercati finanziari, unita alle norme vigenti, richiede agli investitori istituzionali, soprattutto a coloro che operano nell’ambito del welfare, di essere dotati di elevate competenze e di mettere in atto sistemi di governance e controllo capaci sia di identificare nuove possibilità di guadagno che di proteggere gli interessi di coloro che vi allocano le proprie risorse”.
Trento, lì 1 luglio 2024
Avv. Paolo Rosa
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