Tutto cambia, nulla cambia.
Non solo Ursula: la nuova Commissione Ue sarà una fotocopia della precedente.
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Rispetto a cinque anni fa l’immagine è quella di un’Europa assediata in un mondo in fiamme. La soluzione dei governi quale è? Riconfermare (quasi) tutti i commissari uscenti. Dombrovskis si avvia verso il terzo mandato, al secondo saranno sicuramente Breton, Sefkovic, Schmit. E potrebbe non finire qui…
i solito è troppo tardi. Ed è proprio l’immagine di un’Unione Europea sotto assedio quella che si intravede dopo la riconferma della presidenza von der Leyen per un altro giro in Commissione, decisa dai leader al summit di ieri a Bruxelles. Se il mondo cambia e si apre a incognite che sanno di svolta storica, da quelle legate alle legislative francesi alle presidenziali negli Usa, l’Ue tenta di mantenere la posizione. Della serie, nel dubbio, resto fermo, un po’ come gli ultimi giapponesi alla fine della Seconda guerra mondiale. Quella della tedesca non è l’unico bis a Palazzo Berlaymont. Oltre a lei, i maggiori commissari sono già stati indicati per una riconferma da parte dei loro Stati di appartenenza. E, come cinque anni fa, Ursula potrebbe avere un problema di parità di genere nella squadra, visto che sono poche le donne finora indicate.
Si va verso la riconferma del lettone Valdis Dombrovkis, falco dell’austerity, esponente dei Popolari in Lettonia, che si avvia al terzo mandato a Bruxelles. Al termine di questa nuova legislatura, Dombrovskis avrà trascorso ben 15 anni alla Commissione europea, attraversando fasi tra le più diverse, dalla crisi del debito greca e il trionfo delle politiche rigoriste, al tentativo di rivederle con il Next Generation Eu fino all’attuale ritorno ad una certa rigidità di bilancio con il nuovo Patto di stabilità e crescita. Sempre lui, Valdis, uno dei tre vicepresidenti esecutivi della Commissione von der Leyen, il più potente.
L’altro è il francese Thierry Breton, con delega al mercato unico e industria. Al summit di ieri, Emmanuel Macron lo ha ricandidato per la squadra von der Leyen, chiedendo lo stesso portafoglio. Cosa che si scontra con i desiderata di Giorgia Meloni per il suo candidato, Raffaele Fitto. Certo, la grande incognita sono le legislative in Francia. Se si andrà verso una coabitazione tra il presidente Macron all’Eliseo e il Rassemblement National a Matignon, bisognerà vedere se il governo vorrà mettere bocca sulla scelta del commissario francese: possibile. Ma intanto la vecchia guardia, l’ancienne regime assediato dall’avanzata delle destre punta a confermare ciò che ha, sperando che basti.
Il terzo vicepresidente esecutivo uscente è destinato a cambiare: la danese Margrethe Vestager, stella della concorrenza fino a quando il mercato unico non è finito sotto le grinfie delle crisi e delle nuove spinte nazionalistiche e protezionistiche. Vestager è tramontata man mano che l’Ue ha deciso di sciogliere sempre più i vincoli sugli aiuti di Stato, per favorire la Germania, l’unica con spazio fiscale per spendere per le proprie imprese, almeno fino a qualche tempo fa. Anche il suo rapporto con von der Leyen non è dei migliori: quando Vestager si è candidata alla presidenza della Bei, la tedesca l’ha silurata con una lettera di fuoco in cui la avvertiva dei possibili conflitti di interesse tra il ruolo di commissario e la corsa per la nuova posizione. Un pasticcio in cui la stessa von der Leyen ha sguazzato da quando è diventata Spitzenkandidat dei Popolari, sul filo e non sempre in equilibrio tra il ruolo di presidente e la campagna per succedere a se stessa. Ma ormai è andata così. La Danimarca cambia candidato e, da quello che trapela, potrebbe proporsi la stessa premier Mette Friedriksen, socialista della parte più frugale del partito.
Anche la Slovacchia punta a confermare il suo socialista Maros Sefkovic, responsabile del Green deal e delle relazioni interistituzionali, uomo del discusso Robert Fico, il cui partito è stato sospeso dal Pse a ottobre per aver siglato un patto di governo con l’estrema destra. Nella sua attività in Commissione, Sefkovic si è comportato come un normale socialista, senza le deviazioni che hanno portato il suo partito fuori dalla famiglia. Tra l’altro ora da Bratislava premono per rientrare. Pedro Sanchez e Olaf Scholz sono d’accordo. Ma il Pd di Elly Schlein è fortemente contrario. Sarebbero 6 voti in più per Ursula alla ratifica parlamentare il 18 luglio prossimo, tanti sono gli eletti dello Smer. Ma soprattutto per i socialisti significherebbe pesare di più nel metodo D’Hondt con cui si decidono gli incarichi all’Eurocamera nelle settimane che precedono la plenaria di metà luglio.
Un’altra probabile riconferma è quella di Nicolas Schmit, Spitzenkandidat dei socialisti, lussemburghese, attuale responsabile lavoro e diritti sociali. Nel suo paese il governo è cambiato, ora è del Ppe, ma Schmit non ha perso le speranze di essere indicato per un secondo mandato in Commissione. In alternativa, Lussemburgo potrebbe mandare l’eurodeputato Christophe Hansen.
Ma se si eccettuano la stessa von der Leyen, l’estone Kaja Kallas, che prenderà il posto di Josep Borrell a capo della diplomazia, la danese Friedriksen, sempre che sia lei la candidata di Copenhagen, e la spagnola Teresa Ribera, attuale vicepremier e ministro della transizione ecologica a Madrid che dovrebbe essere la prescelta di Sanchez, le donne in pista scarseggiano. Per ovviare al problema, nel 2019, von der Leyen chiese agli Stati di indicare due candidati, un uomo e una donna. E dopo settimane di discussioni, riuscì a superare l’ostacolo puntando sui piccoli paesi e convincendoli a mandare donne a Bruxelles. Ma ora ci sono persino Stati come l’Irlanda che già hanno messo in chiaro di non volerne sapere di indicare anche una donna: il candidato di Dublino è Michael McGrath, ministro delle Finanze che è già stato sostituito al governo in vista del trasferimento nel continente. Nelle incertezze globali, Bruxelles cerca di restare uguale a se stessa. Scelta scontata, quando le decisioni si prendono altrove e l’Ue agisce solo di risulta.
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