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Di Silverio (Anaao): ecco perché i medici devono prendere posizione.
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A leggere le carte dell’audizione di Anaao Assomed alla 10° Commissione del Senato, la posizione dei medici ospedalieri sul decreto liste d’attesa è più critica di come apparsa nei lanci d’agenzia. Si salva in parte la detassazione dal 43 al 15% delle ore aggiuntive retribuite a medici ed infermieri, e si salva il centro di prenotazione unico con “visibilità” sulle agende d’appuntamenti di pubblico e del privato convenzionato. Ma il segretario nazionale Pierino Di Silverio presenta emendamenti specifici. Con alcune critiche sostanziali: troppe scommesse appoggiate sul personale che c’è già, troppe condizioni sospensive (cioè decreti attuativi da costruire) sulla prospettiva di un aumento della spesa per il personale e su future assunzioni. È inappropriato pensare di governare la domanda di prestazioni con un “ispettorato”. E sono necessarie garanzie ulteriori per evitare che i vantaggi economici nella busta paga del dirigente sanitario siano azzerati. Durante la segreteria Di Silverio, Anaao Assomed è stata tra i portavoce di un Manifesto che chiede di superare i tetti di spesa per il personale e valorizzare il lavoro dei medici dipendenti detassandolo in parte; ha firmato il primo contratto dei medici ospedalieri che mette le mani sul calcolo dell’extra-orario per concretizzare il diritto al riposo; infine ha preso posizione contro l’autonomia delle regioni del Nord che proprio in sanità potrebbe accrescere i divari già esistenti fra i territori, i pazienti e i medici. Su questi temi Di Silverio offre un punto a Doctor 33. Il primo è relativo al decreto-legge.
Anaao Assomed chiede da tempo la detassazione delle ore straordinarie. Ora che la ottiene però avverte che i medici fanno già troppi straordinari e il tetto per finanziare le prestazioni aggiuntive in ospedale si esaurisce già a metà anno. Come mai? «La defiscalizzazione delle ore aggiuntive può essere un primo passo. Ma non avrebbe senso se si manterrà inalterato l’articolo 89 del contratto, che inserisce queste prestazioni chieste dall’azienda per far fronte alle liste d’attesa tra quelle rese dai sanitari in libera professione, soggette ad un tetto massimo. La possibilità per le regioni di superare tale tetto, prevista nella prima stesura del decreto-legge, non c’è più nella nuova formulazione. Risulta invece inserita nel disegno di legge dove il governo ha convogliato tutte le misure che devono trovare certa ed idonea copertura. Noi chiediamo che venga reintrodotta ora, perché altrimenti gli sforzi del legislatore sul breve periodo saranno resi inutili».
Veniamo al nuovo contratto. Alcuni medici sottolineano che il metodo di calcolo dell’extra orario previsto all’articolo 27 genera troppe ore extra il cui riconoscimento –in termini di ore/giorni di riposo da recuperare– è subordinato all’ok del direttore di unità operativa. Davvero, in caso di gravi carenze, il primario -pressato dalla regione –può dire no ai riposi pur di tenere aperto un reparto? «No. Questa è una visione distorta dell’impianto e degli obiettivi dell’articolo. L’algoritmo all’articolo 27 ha la funzione di calcolare un eventuale credito orario massimo utilizzabile solo a consuntivo, a fine anno, raggiunti gli obiettivi di risultato. Per l’azienda formalizza un vincolo che prima non c’era, e difatti si generavano centinaia di ore straordinarie non pagate (in media ciascun dirigente ne regalava 250 l’anno). Con questo contratto anche quando l’indennità di risultato attribuita al medico fosse molto alta, nel plafond non compensato dai riposi rientrerebbero al massimo 70-80 ore. E le ore eventuali lavorate oltre quel limite non si possono più regalare all’azienda: andranno recuperate. Chi dice “era meglio prima” non è stato in trattativa. Per verificare in corso d’opera se il medico lavora troppo, il contratto offre altri strumenti (la verifica semestrale dell’orario ndr). In più, rispetto al passato fa un passo avanti perché sancisce che nei reparti sottodimensionati il rimedio non sono le ore in più di attività “istituzionale”: si devono formalizzare e retribuire ore aggiuntive o in alternativa com’è auspicabile assumere».
Infine, l’autonomia. Per Anaao Assomed, che spesso rimarca i crescenti divari Nord-Sud, il varo del Ddl Calderoli “segna l’inizio della fine per l’indivisibilità dei diritti civili e sociali, a cominciare da quello alla salute”. Però la ricerca del Ministero della Salute dice che di ospedali “hub” ce ne sono anche al Sud. Il dato chiave è che fa più volumi di cura il privato convenzionato, ipotetico veicolo di efficienza al Nord come al Sud. «Purtroppo, i fatti sono altri. Il progetto autonomia avviato con il cambiamento costituzionale del 2001 è fallito. In sanità, nove regioni, quasi tutte al Centro-Sud, non riescono ad offrire i livelli essenziali di assistenza chiesti dallo stato per i loro residenti. Il divario in termini di “efficienza recuperabile” si risolve in una battuta: nel Mezzogiorno ci sono più piccoli ospedali inefficienti che non danno i risultati conseguibili in ospedali più grandi. Con l’autonomia il Sud però continuerà a non avere le prestazioni che invece sono garantite al Nord e ancor più nelle regioni finanziate per gestire le nuove materie loro affidate. I divari si allargheranno, le migrazioni in cerca di cure cresceranno. Ma attenzione avverte Di Silverio l’autonomia una volta ottenuta rischia di fare male anche al Nord. Già oggi in termini assoluti la Lombardia, pur prima nell’accoglienza di utenti da fuori, è la seconda regione esportatrice di pazienti, stando al Report sulle Schede di Dimissione del Ministero della Salute. Qualche residente inizia a non ottenere le prestazioni richieste. Domani, se il maggior gettito garantito dall’autonomia non colmasse i bisogni dei residenti, potremmo vedere aziende di regioni “ricche” che, costrette a scegliere tra ricoverare un residente ed un esterno il cui Drg è cinque volte superiore al residente, prendono decisioni impopolari ed inattese. E potremmo vedere regioni che hanno interamente assorbito i residui fiscali loro dedicati contrattare con poche speranze con un governo che si chiede perché non riescano ad erogare i Lea. Tutto questo mentre le sanità di altre regioni affondano. Per l’immediato ci preoccupa la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, i LEP, cioè delle risorse atte a garantire la realizzazione dei diritti costituzionali dei residenti di ogni regione. Ci sono due anni di tempo. Ma ci sono anche nove materie in cui di questi “LEP” non c’è bisogno. Qui ogni regione autonoma può decidere da subito. Vi rientrano le professioni, anche quelle sanitarie. Una regione autonoma potrà destinare una parte del gettito fiscale ai contratti del personale sanitario, attraendo medici ed infermieri da regioni dove già sono pochi e si fa fatica a curare. Potranno persino decidere i requisiti di questo personale. Avremo ventuno sanità sempre più distanti tra loro, un “big bang” irreversibile».
Doctor 33
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