Spiagge demaniali. Corte Giustizia Ue dà torto ai balneari.
Le principali associazioni di categoria hanno espresso “sconcerto” e “preoccupazione” per la sentenza della Corte di giustizia UE.
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La Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito con una sentenza che alla scadenza di una concessione balneare le strutture vanno restituite allo Stato, stabilendo quindi che la norma italiana che prevede che le opere non amovibili costruite sulle spiagge vengano acquisite a titolo gratuito dallo Stato italiano al termine di una concessione non costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento.
I giudici della Corte con sede in Lussemburgo si sono così pronunciati sul ricorso della Società italiana imprese balneari (SIIB) al Consiglio di Stato contro il Comune di Rosignano Marittimo, ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia del demanio – Direzione regionale Toscana e Umbria, Regione Toscana dopo che al termine della concessione, le opere che la società aveva costruito nel suo stabilimento balneare sul territorio del comune erano state acquisite a titolo gratuito dallo Stato, in base al codice di navigazione italiano, imponendo di conseguenza il pagamento di canoni demaniali maggiorati.
A seguito del ricorso della SIIB, il Consiglio di Stato si è rivolto alla Corte di giustizia europea per chiedere se la norma nazionale rappresenti una restrizione alla libertà di stabilimento sancito nell’articolo 49 dei Trattati.
“L’articolo 49 del Trattato dell’UE non osta a una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione”, si legge nel testo della sentenza della Corte UE.
Secondo Base Balneare, Donnedamare e Assobalneari Italia, aderente a Federturismo Confindustria, la decisione solleva serie criticità economiche, giuridiche e pratiche, legalizzando di fatto “l’esproprio delle nostre imprese” e costituendo “un pericoloso precedente che minaccia la libertà imprenditoriale in Europa”.
Nella nota congiunta i presidenti delle tre associazioni hanno sottolineato che 30mila imprenditori che danno lavoro a 300mila addetti rischiano di perdere “aziende e investimenti fatti anche a costo di grandi sacrifici personali e familiari in nome di una norma”. Le tre associazioni hanno lanciato un appello al governo guidato da Giorgia Meloni – considerato molto vicino al settore – per dare il via una riflessione più approfondita e di interventi normativi adeguati per tutelare il valore delle imprese e mitigare gli effetti negativi di questa decisione.
“Gli imprenditori di qualunque settore e dimensione hanno bisogno di certezze normative in un contesto quale quello attuale, in cui devono fare i conti già con incertezze economiche e politiche. È inaccettabile e chiediamo al Governo di intervenire immediatamente contro l’ennesimo schiaffo ricevuto dall’Europa”, si legge nella dichiarazione congiunta.
Da parte sua, il presidente del Sindacato italiano balneari, Antonio Capacchione, aderente a Fipe/Confcommercio, ha fatto notare che l’interpello del Consiglio di Stato “riguardava esclusivamente la conformità al diritto europeo della devoluzione delle opere di difficile rimozione alla scadenza delle concessioni in favore dello Stato, non di terzi privati”.
Per Capacchione, la domanda del Consiglio di Stato alla Corte UE era in riferimento, “esclusivamente, alla libertà di stabilimento ex art. 49 del Trattato non anche all’art. 17 della Carta di Nizza sul diritto di proprietà”.
In questo contesto, per Capocchione, la Corte di Giustizia “ha ritenuto conforme la devoluzione delle opere in funzione della tutela della proprietà pubblica e delle finanze dello Stato”, mentre diverso è il caso di confisca in favore di un altro privato eventuale subentrante. A tal proposito, Capacchione sottolinea che con il trasferimento della concessione si trasferisce anche l’azienda che ivi insiste creata dall’attuale concessionario.
“La mancata previsione di un indennizzo – continua – a carico del concessionario subentrante assicurerebbe a costui un arricchimento indebito in contrasto, non solo con i nostri principi costituzionale (v.art.42), ma anche con quelli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 1 del Primo protocollo aggiuntivo) sulla tutela della proprietà”.
Il Partito democratico (PD) ha criticato il governo Meloni, reo di non aver affrontato in modo adeguato la direttiva dell’Unione Europea 2006/123/CE, meglio nota come Direttiva Bolkestein (dal nome del commissario europeo Frits Bolkestein) approvata nel 2006 quando Romano Prodi era presidente della Commissione europea e attuata solo parzialmente dall’Italia con proroghe in settori legati a concessioni pubbliche, in particolare il commercio ambulante e la gestione di aree demaniali balneari.
“L’inerzia e l’incapacità del governo e della maggioranza hanno messo il comparto balneare, colonna del turismo italiano, in una situazione mai vissuta da operatori e comuni italiani e dall’intero Paese: il non affrontare la direttiva Bolkestein sulle concessioni ha creato ormai il caos totale dal punto di vista giuridico e lasciato senza alcuna certezza e prospettiva il futuro delle spiagge e delle coste italiane”, hanno affermato in una nota Piero De Luca, capogruppo PD in commissione Politiche UE alla Camera, ed Andrea Gnassi, rappresentante del PD in commissione Attività produttive ed ex sindaco di Rimini.
Secondo i due deputati PD, “decidere di non decidere non risolve nessun problema” e ciò “si ripercuote in negativo sui comuni che lasciati soli non possono che provare ad interpretare autonomamente il caos normativo”.
De Luca e Gnassi ha fatto presente che non è possibile programmare piani di riqualificazione, osservando che senza una disciplina quadro che definisca i criteri per le procedure di evidenza pubblica “il rischio è che persino gli investimenti fatti dalle imprese per poter garantire servizi e funzioni non vengano considerati, come dimostra l’ultima sentenza della Corte di giustizia”.
Infine, i due deputato chiedono al governo un rapido intervento per emanare immediatamente i necessari decreti legislativi che consentano agli enti concedenti di procedere alle procedure di evidenza pubblica per l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime, sulla base di criteri di ragionevolezza e trasparenza, considerando anche il riconoscimento di un equo indennizzo per gli investimenti realizzati dai concessionari uscenti, anche per le opere inamovibili.
“È finito il tempo della propaganda e demagogia”, concludono.
Considera invece la sentenza una “vittoria” per la tutela dell’ambiente, il portavoce di Europa Verde
e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra (AVS) Angelo Bonelli.
“La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea dell’11 luglio 2024 nella causa C-598/22 rappresenta una vittoria per la tutela ambientale e il riconoscimento delle spiagge come bene comune”, afferma Bonelli in una nota, secondo cui la sentenza che legittima l’esproprio delle opere costruite su demanio pubblico, restituisce “il mare ai cittadini e combattendo l’appropriazione privata delle coste pubbliche”.
Un fondo per compensare i balneari che perderanno i propri lidi
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